categoria: sicurezza alimentare, pesce
Parte prima - Parassiti presenti nei pesci d’acqua dolce italiani
Le infezioni parassitarie legate al consumo di prodotti ittici sono principalmente legate all'abitudine di cibarsi di pesce crudo o poco cotto. Un'altra causa di problemi legati al consumo di prodotti ittici infettati dai parassiti, anche se devitalizzati con la cottura, sono le allergie.
Botriocefalo (Diphyllobothrium sp.)
I cestodi di questa famiglia sono vermi piatti lunghi più di 5 metri (possono raggiungere 10 metri). Le loro uova racchiudono embrioni immaturi, che per svilupparsi necessitano dell'ambiente acquatico e della presenza di due ospiti intermedi, costituiti da crostacei copepodi e pesci di acqua dolce.
Dopo 15 giorni dalle uova escono degli embrioni ciliati (coracidi) che sono ingeriti dai crostacei copepodi. l coracidi attraversano l’intestino medio di questi crostacei e si localizzano poi nella cavità celomatica dove si trasformano in larve procercoidi.
I pesci d’acqua dolce che ingeriscono questi copepodi sono infettati da queste larve che vanno a localizzarsi nei muscoli, nelle gonadi, nella cavità celomatica, nel fegato e altri organi per evolversi in plerocercoidi. I grandi pesci predatori, in cima alla piramide alimentare, contraggono l’infezione nutrendosi di pesci portatori di plerocercoidi; poiché i plerocercoidi vivono a lungo e si accumulano nei tessuti, i grandi pesci predatori possono presentare cariche infettanti anche molto elevate.
Oltre all’uomo possono essere parassitati anche il cane e il gatto; nell’ambiente selvatico, gli ospiti definitivi sono gli uccelli ittiofagi, l’orso e la volpe.
L’uomo contrae l’infezione consumando pesce crudo o poco cotto come filetti di pesce al limone, carpaccio, tartare o insalate di pesce crudo o degustando uova o gonadi di pesci solo salate e seccate (bottarga). Nell’intestino dell’uomo e degli altri ospiti definitivi i plerocercoidi si trasformano in vermi adulti e iniziano a deporre le uova.
Nell’uomo i cestodi si fissano alla mucosa dell’ileo e più raramente a quella del digiuno, ma raramente causano ostruzione intestinale e la parassitosi decorre nella maggiore parte dei casi in forma subclinica.
La sintomatologia, estremamente variabile, si manifesta 1-3 settimane dall’ingestione del pesce infetto ed è caratterizzata da disturbi nervosi, acuto senso di fame o invece ripienezza epigastrica e perdita di appetito, nausea, vomito, diarrea alternata a stipsi, dolori addominali, perdita di peso, debolezza e anemia. L’anemia megaloblastica è diagnosticata nel 2% dei pazienti.
Informazioni anamnestiche quali la residenza in un’area endemica o l'abitudine a consumare il pesce crudo possono indirizzare il medico a proporre un esame delle feci per verificare il sospetto di botriocefalosi, confermato dal riscontro delle uova opercolate e parti del corpo nelle feci.
Profilassi
Evitare il consumo di pesce d’acqua dolce crudo. Il pesce che si vuole consumare crudo deve essere prima congelato tra –10 e –20 °C per almeno 6 ore per devitalizzare le larve.
La salagione con una concentrazione del 7% o superiore devitalizza le forme larvali presenti nei muscoli del pesce, ma questo processo richiede diverso tempo.
La salagione con una quantità di sale del 35-45% in rapporto al peso del pesce devitalizza le larve in 4-8 giorni ad una temperatura di 10-15 °C; una concentrazione salina del 35-40% in ghiaccio ad una temperatura di –3 –5 °C è in grado di devitalizzare le larve in pesci di 3 kg in 7-10 giorni. I pesci di peso superiore ai 4 kg richiedono 35-39 giorni.
Opistorchide (Opisthorchis felineus)
Il verme adulto è di colore arancione, piatto, lungo circa 1 cm. Questo trematode vive nelle vie biliari di alcuni carnivori e dell’uomo.
Le uova emesse da questi vermi, già mature quando sono espulse con le feci, una volta ingerite da molluschi d’acqua dolce, liberano delle larve (miracidi) che dall’intestino si spostano nei tessuti del mollusco e si trasformano per stadi successivi in sporocisti, redie e poi in cercarie. Quest’ultimo stadio larvale si attacca al tegumento di varie specie di pesci d’acqua dolce (soprattutto ciprinidi; secondo ospite intermedio), dove penetra e si insinua nei muscoli. Dopo circa 6 settimane le cercarie sono mature e, quando il pesce infestato viene ingerito crudo dall’ospite definitivo, si insediano nei dotti biliari del fegato dove si trasformano in adulti in poco più di tre settimane.
Questo trematode è diffuso in prossimità di laghi e corsi d’acqua in vari Paesi della Federazione Russa (principalmente Ucraina e Kazakistan). Infezioni sporadiche sono state segnalate in viaggiatori al loro rientro da zone endemiche, che hanno mangiato dei pesci cucinati secondo le abitudini locali, specialmente insalate contenenti pesce crudo.
Casi di infezione per consumo di pesce pescato da un lago dell’Italia centrale si pensa siano dovute dall’introduzione di pesci provenienti da regioni endemiche o da immigrati infetti provenienti da queste regioni le cui feci abbiano contaminato le acque del lago.
Nell’uomo il trematode vive nei canalicoli biliari distali del fegato, dove può sopravvivere fino a 15 anni, provocando proliferazione dell’epitelio biliare, iperplasia del connettivo periportale, formazione di capsule connettivali attorno a nidi di uova deposte nei tessuti e alterazioni delle pareti dei capillari biliari.
L’uomo tollera abbastanza bene una modesta parassitosi, ma in alcuni casi limitate questi vermi provocano ostruzione dei canali biliari, estesa distruzione del parenchima epatico e grave fibrosi con ipertensione portale. Il fegato è soggetto ad ascessi e infezioni batteriche secondarie. Talvolta i parassiti raggiungono anche il pancreas.
Il quadro clinico è caratterizzato da anoressia, problemi di digestione, dolori addominali aspecifici, stanchezza e perdita di peso, diarrea, episodi di ittero con o senza febbre. Nei casi avanzati si sviluppano ipertensione portale, infiammazione cronica e iperplasia dell’epitelio delle vie biliari, compresa la possibile invasione del dotto pancreatico. La cirrosi del fegato, o anche il colangiocarcinoma, possono complicare i quadri tardivi della malattia. Nei casi gravi la letalità raggiunge il 16%; lo stato di malattia può perdurare per anni dopo la morte dei parassiti.
Profilassi
Evitare il consumo di pesce d’acqua dolce crudo.
La presenza di una carica batterica nel pesce appena pescato è normale, perché non vive in ambienti sterili e, una volta catturato, subisce una serie di trattamenti che aumentano il grado di contaminazione batterica della superficie corporea (branchie, pelle) e tratto gastroenterico. I batteri di più spesso isolati sono i generi Pseudomonas, Escherichia, Serratia, Bacillus, Vibrio.
La carica microbica riscontrabile inizialmente sul pesce dipende da numerosi fattori, come la stagione, la temperatura dell’acqua (la carica microbica aumenta con il valore della temperatura dell’acqua), il grado inquinamento microbico delle acque ed il metodo di pesca.
I tessuti muscolari e gli organi interni dei pesci appena pescati sono sterili, ma si contaminano facilmente durante la successiva conservazione del prodotto; nei pesci piatti, questa sembra prevalentemente provenire dalle superfici esterne, mentre, in quelli a sezione rotonda, sembrano più importanti i microrganismi intestinali. Il pesce subisce inoltre una successiva contaminazione, durante l’immagazzinamento, per contatto con utensili e contenitori, specialmente di legno.
La composizione dei pesci (contenuto di acqua, elevato tenore in acidi grassi insaturi), ne determina la particolare deperibilità per l’azione dei batteri che sfruttano come substrato di crescita gli aminoacidi, i peptidi e altre fonti diverse dai carboidrati producendo cataboliti di sapore ed odore sgradevoli. Le alterazioni compaiono rapidamente, in quanto il pH rimane elevato (> 6) per la carenza di zuccheri, ed è presente una notevole quantità di azoto non proteico e di ossido di trimetilamina e acidi grassi insaturi suscettibili di ossidazione.
Una volta colonizzato il tessuto muscolare e raggiunti valori microbici critici (107-108 ufc/g) VEDI, i pesci diventano inadatti al consumo alimentare.
Il Bacillus cereus e il Bacillus antracis
Il Bacillus cereus è un batterio a forma di bastoncino in grado di produrre due enterotossine: una, stabile al calore e di basso peso molecolare, che provoca vomito, e un’altra, di alto peso molecolare e sensibile al calore, che causa invece diarrea.
Il Bacillus antracis, noto anche per il suo uso in campo terroristico, raramente è implicato in intossicazioni alimentari. È un organismo ubiquitario nel suolo e, in generale, nell’ambiente, spesso rinvenuto a bassa concentrazione nei cibi crudi, secchi e anche lavorati.
Il Bacillus antracis produce due enterotossine: una causa diarrea acquosa, coliche, dolori e crampi addominali, ma raramente nausea e vomito; il secondo tipo causa nausea e vomito quasi subito dopo il consumo del cibo.
L’Escherichia coli
L’Escherichia coli è un batterio che vive normalmente nella parte inferiore dell’intestino di animali a sangue caldo dove svolge un ruolo fondamentale nel processo digestivo; questo batterio di norma, non si ritrova nel terreno o nell’acqua e quindi riscontrarne la presenza nelle acque è quindi un chiaro indicatore di contaminazione fecale.
Quando questo batterio esce dal suo normale ambiente può diventare patogeno per uomo causando infezioni del tratto urinario, meningite, peritonite, setticemia e polmonite.
Alcuni ceppi di E. coli producono tossine causa di diarrea. La contaminazione avviene da carni infette non adeguatamente cotte, da latte non pastorizzato, formaggi derivati e altri alimenti contaminati dalle feci.
Lo Staphylococcus aureus
Lo Staphylococcus aureus è un batterio sferico (cocco) in grado di crescere anche in ambienti caratterizzati da elevate concentrazioni saline (fino al 7,5%). La maggioranza dei soggetti adulti ospitano normalmente questi batteri a livello della cute e nelle prime vie respiratorie.
Lo S. aureus produce enterotossine causa di avvelenamento alimentare con mal di testa, crampi muscolari e variazioni effimere nella pressione sanguigna e nel polso. Generalmente, il periodo di guarigione dura due giorni. Tuttavia, non è inusuale che il periodo di completa guarigione sia di tre giorni o, nei casi più gravi, anche superiore. L’inizio dei sintomi, generalmente è rapido ed acuto dipende dalla suscettibilità individuale alle tossine, dalla quantità di cibo contaminato ingerito, dalla quantità di tossine contenute nel cibo e dallo stato di salute generale della vittima.
La Salmonella
La Salmonella, nelle sue varie forme, è l’agente batterico più comunemente isolato in caso di infezioni alimentari causa di gastroenterite, setticemia, polmonite e aborto. La Salmonella è inattivata a 56°C in 10-12 minuti.
Le salmonellosi sono malattie contagiose a decorso acuto, subacuto e cronico che colpiscono animali e l’uomo.
Nell’uomo le salmonellosi causano diarrea, febbre, e crampi addominali nel giro di 12-72 ore dopo l’infezione. La persona infetta solitamente guarisce nel giro di 4-7 giorni, senza bisogno di particolari trattamenti, ma in qualche caso è necessario ricovero, reidratazione e trattamento con antibiotici per prevenire la diffusione dell’infezione ad altri organi attraverso il flusso sanguigno. Purtroppo molte salmonelle sono diventate resistenti agli antibiotici, in parte anche grazie all’uso frequente degli stessi negli allevamenti animali.
La Salmonella vive nell’apparato intestinale degli uomini e degli animali, e può essere trasmessa attraverso cibi contaminati da feci animali.
I pesci sono contaminati da Salmonella quando le acque in cui vivono ricevono scarichi di origine civile (fognature non trattate).
La cottura degli alimenti abbatte totalmente il rischio di infezione.
Vibrio cholerae
V. cholerae è un batterio abitante di due ecosistemi: l’ambiente acquatico e l’intestino umano. Questo batterio causa una malattia infettiva nota come colera. La malattia, dopo un periodo di incubazione di 1-5 giorni, si manifesta con diarrea improvvisa e intensa con scariche sempre più liquide e incolori, e quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio. Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione. Il paziente è ipoteso, tachicardico e con diuresi ridotta o addirittura assente (anuria). Se non interviene la cura reidratante, si ha shock irreversibile e morte. A volte però la malattia si presenta in forma molto attenuata e quindi benigna. Essa è comunque sempre grave quando interessa i bambini, in quanto in questi l’equilibrio idrico ed elettrolitico è molto delicato.
L’infezione si contrae con gli alimenti o le bevande inquinati. Gli alimenti a maggior rischio sono i frutti di mare, il pesce, la verdura, la frutta, l’acqua da bere e le bevande prodotte con acqua inquinata. La cottura degli alimenti potenzialmente contaminati elimina il rischio di infezione.
La trasmissione si verifica perché il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto per carenze del sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell’acqua, per cui può arrivare all’uomo sano, attraverso alimenti e bevande. Più rara è la trasmissione da malato a sano nelle condizioni di scadente igiene personale.
Campylobacter termo tolleranti
Campylobacter è un batterio a bastoncello che vive solo quando i livelli di ossigeno sono ridotti (3-5% di ossigeno e 2-10% di anidride carbonica perché la crescita sia massima). Oggi è ritenuto uno dei principali patogeni veicolati dagli alimenti; negli USA causa più gastroenteriti di Salmonella spp. E Shigella spp. messe insieme.
I meccanismi della patogenesi non sono ancora chiari, ma il batterio sicuramente produce una tossina sensibile al calore. Questo batteri infettano abitualmente bovini, polli e altri uccelli, che all’osservazione appaiono sani; è stato trovato anche nelle mosche. Normalmente l’enterite da Campylobacter è dovuta all’ingestione di carne di pollo o di maiale cruda o poco cotta, ma l’infezione può essere contratta anche attraverso la manipolazione di pesci, rettili e anfibi, sulla cui epidermide può essere presente il batterio.
La sua presenza nell’ambiente acquatico è probabilmente dovuta alla contaminazione da materiale fecale, proveniente da insediamenti civili o da allevamenti zootecnici.
Listeria spp.
Listeria monocytogenes è un batterio a forma di bastoncello, dotato di motilità mediata da flagelli.
Questo batterio è molto diffuso nell’ambiente. I principali habitat sono il suolo, il foraggio, l’acqua, il fango e il foraggio fermentato. In effetti, è stato notato che l’uso di foraggio fermentato (insilato) nell’alimentazione animale aumenta l’incidenza della listeriosi negli animali.
Listeria monocytogenes si trova anche negli animali domestici e selvatici (mammiferi, uccelli e probabilmente anche alcune specie di pesci e molluschi), e nelle persone.
Di particolare nota è la sua capacità di sopravvivere sorprendentemente bene, per un batterio non sporigeno, al freddo, all’essiccamento e al caldo. Cresce bene al freddo, fino a temperature di 3°C, quindi anche nei frigoriferi.
Il batterio invade l’epitelio gastrointestinale, è trasportato nel sangue e si stabilisce poi nei monociti (da cui il nome specifico, monocytogenes), nei macrofagi e nei leucociti polimorfonucleati. La presenza intracellulare nei fagociti permette l’accesso al cervello e probabilmente il passaggio attraverso la membrana placentare. La patogenicità è quindi data proprio dalla capacità di moltiplicarsi nei fagociti dell’ospite.