Il fuoco
Il
fuoco soddisfa esigenze vitali per la sopravvivenza e la sua conquista è stata
uno dei punti cardine nella storia dell’uomo, mediante il quale ha potuto
illuminare, riscaldare la sua dimora, tenere lontani gli animali pericolosi, cuocere
i cibi, lavorare gli utensili.
L'uomo
iniziò cominciando a conservare il fuoco reperibile naturalmente, causato dalla
lava nei pressi dei vulcani, dai fulmini abbattutisi sulle foreste o
dall'autocombustione delle erbe secche in estate; in seguito l’uomo ha imparato
a produrre il fuoco quando ne aveva bisogno per frizione o percussione.
Solo
dal Seicento, i fenomeni della combustione furono studiati con grande
interesse, e la spiegazione del fuoco divenne forse il problema chimico più
importante.
Per
Robert Boyle (1627-1691), sostenitore della teoria corpuscolare, le particelle
del fuoco si combinavano con i metalli, aumentandone il peso.
Georg
Ernst Stahl (1659-1734) ipotizzò l'esistenza nei corpi combustibili di un
principio infiammabile chiamato «flogisto», che in greco significa appunto
infiammabile, formato da particelle che durante la combustione erano emesse dai
corpi e assorbite dall'aria; quando l'aria era satura di flogisto la
combustione cessava.
Antoine-Laurent
Lavoisier (1743-1794) dimostrò, attraverso la combustione di candele in
recipienti chiusi sul mercurio, che la combustione non flogisticava l'aria
comune, ma trasformava la parte più pura dell'aria (ossigeno) in aria fissa
(anidride carbonica), che non è preesistente, ma è un composto. Il fatto che in
un recipiente chiuso ermeticamente, dopo un certo tempo, la fiamma di una
candela si spegnesse, non era dovuto a eccesso di flogisto, ma a mancanza di
ossigeno. Di qui la conclusione che i processi di combustione non erano dovuti
alla fuoriuscita di flogisto, ma alla fissazione di ossigeno: la combustione
dunque doveva essere considerata una reazione chimica in cui l'ossigeno svolge
una funzione fondamentale.
La
reazione di combustione è un processo chimico in cui l’ossigeno reagisce con
delle sostanze combustibili e dalla quale si produce calore. Quando si accende
un fiammifero, lo sfregamento riscalda la capocchia a una temperatura in cui le
sostanze chimiche contenute reagiscono e bruciano sotto forma di fiamma,
producendo del calore che si diffonde nell'aria. Se c'è vento che disperde il
calore o il legno dello stelo del fiammifero è umido, lo sfregamento non innalza
a sufficienza la temperatura d’innesco della combustione che non può iniziare.
Una
volta acceso, il calore proveniente dalla fiamma sprigionata dalla capocchia innalza
la temperatura della parte più vicina dello stelo del fiammifero e
dell'ossigeno dell'aria ad esso adiacente permettendo lo svolgersi della reazione
di combustione: il carbonio (C) del legno e l'ossigeno (O) dell'aria
circostante si riscaldano sufficientemente e dalla loro combinazione si ottiene
il monossido di carbonio (CO).
Durante
la reazione di combustione, per effetto del calore, l'ossigeno si muove sempre
più velocemente e si scontra con il carbonio e si combina con esso originando
la molecola di monossido di carbonio (CO) e liberando energia termica.
Il
monossido di carbonio reagisce a sua volta con l'ossigeno e si trasforma in
biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2) oltre a liberare
un’altra quota di energia termica.
C
+ 1/2 O2 =
CO + 26,5 kcal
CO
+ 1/2 O2 = CO2 + 67,6 kcal.
In
totale, nel corso della reazione, si sviluppano 94,1 kcal; il calore sviluppato
durante il processo, riscalda il carbonio e l'ossigeno adiacenti, innescando
una nuova reazione.
Questa
energia liberata dalla combustione del legno è la quota di energia solare
immagazzinata dalla pianta sottoforma di materia organica vegetale prodotta con
la fotosintesi clorofilliana.
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