categoria: montagna
La vicenda Vincendon-Henry (1956)
I primi giorni di gennaio del 1957
perdono la vita sul Monte Bianco il belga Francois Henry, di 23 anni, e
l'allievo guida alpina Jean Vincedon, di 24 anni, parigino; i due alpinisti, sperduti
a 4mila metri d'altezza, muoiono vittime del gelo, dopo aver atteso invano i
soccorsi.
I due alpinisti erano partiti il
22 dicembre 1956 per passare il capodanno sullo Sperone della Brenva del Monte Bianco. Durante l'avvicinamento incontrarono Walter Bonatti e l’istruttore
degli alpini Silvano Gheser, intenzionati a seguire un'altro percorso, ma costretti per le condizioni del ghiaccio a discendere sulla Brenva e a seguire
la cordata di Vincendon. I quattro alpinisti erano però colti da una violenta
tempesta e costretti ad un drammatico bivacco all’aperto durato 18 ore a quota
4.100 m.
L'indomani mattina Bonatti univa
le due cordate e si prodigava per trarre tutti dalle difficoltà. Arrivati sullo
spartiacque, quando non restava che risalire la facile cresta fino alla cima e
scendere al rifugio della Capanna Vallot, i due gruppi si separarono.
La cordata italiana riuscì a
raggiungere, ormai al buio, la Capanna Vallot, e, dopo un altro bivacco all'aperto
e un'avventurosa marcia, raggiunse la salvezza al Rifugio Gonella, sul
versante italiano. Gheser, colpito da gravi congelamenti, ebbe alcune dita di
entrambi i piedi e di una mano amputate.
Vincendon ed Henry decisero invece
di raggiungere direttamente Chamonix, ma persero l’orientamento e finirono per scendere per il canalone che porta al
Gran Plateau, sul versante francese restando bloccati su una cengia di
ghiaccio, senza la forza di risalire o montare almeno la tendina da bivacco.
Il 27 dicembre, i due dispersi erano
individuati col cannocchiale, ma le guide di Chamonix reputarono troppo
pericoloso tentare di raggiungere i due ragazzi da sud, passando per il rifugio
Grand Mulet, e, infatti, la cordata guidata dall’alpinista Lionel Terray rimase
bloccata al rifugio Gran Mulet dal maltempo.
Un elicottero, un Sikorsky, lanciò
pacchi con coperte e viveri, ma i
ragazzi con i piedi e le mani ormai congelati, pur riuscendo a trascinarsi fino
ai pacchi, non riuscirono ad aprirli.
La tragedia si svolse “in
diretta”, infatti, dalle piste di sci, con il cannocchiale, chiunque poteva
vedere i due alpinisti bloccati sulla cengia.
Un giorno un tenente pilota dell'esercito
tentò un atterraggio vicino ai due naufraghi, per un recupero diretto, ma
l'elicottero si schiantò nelle vicinanze, senza conseguenze per i quattro
occupanti, i due piloti dell'elicottero e due guide alpine.
Un secondo elicottero si alzò in
volo, ma adesso si adottò una tecnica meno avventata: quattro guide alpine
furono fatte scendere su una cima non lontana, il Dòme du Gouter, e queste
riescirono a raggiungere a piedi l'elicottero e recuperare i due piloti e le
due guide e portarli, nella tormenta, fino alla Capanna Vallot.
Vincendon e
Henry non erano però in grado di muoversi quindi si potè solo rifocillarli e
sistemarli nell'abitacolo dell'elicottero. “Torneremo a prendervi — dissero le
guide — ma prima di tutto dobbiamo portare in salvo i piloti”.
La tempesta di
neve bloccò però per altri due giorni ulteriori missioni e quella organizzata
il 3 gennaio servì solo a riportare a Chamonix i due piloti e le guide.
L'elicottero venuto a prelevare i soccorritori dalla Capanna Vallot non scorse segni di vita provenire dalla carlinga dell'aereo incidentato, segno che
Vincendon e Henry erano nel frattempo morti per il freddo.
I loro corpi furono poi
recuperati solo a marzo del 1957.
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