lunedì 28 settembre 2015

La vicenda Vincendon-Henry (1956)

categoria: montagna
La vicenda Vincendon-Henry (1956)


I primi giorni di gennaio del 1957 perdono la vita sul Monte Bianco il belga Francois Henry, di 23 anni, e l'allievo guida alpina Jean Vincedon, di 24 anni, parigino; i due alpinisti, sperduti a 4mila metri d'altezza, muoiono vittime del gelo, dopo aver atteso invano i soccorsi.


I due alpinisti erano partiti il 22 dicembre 1956 per passare il capodanno sullo Sperone della Brenva del Monte Bianco. Durante l'avvicinamento incontrarono Walter Bonatti e l’istruttore degli alpini Silvano Gheser, intenzionati a seguire un'altro percorso, ma costretti per le condizioni del ghiaccio a discendere sulla Brenva e a seguire la cordata di Vincendon. I quattro alpinisti erano però colti da una violenta tempesta e costretti ad un drammatico bivacco all’aperto durato 18 ore a quota 4.100 m.
L'indomani mattina Bonatti univa le due cordate e si prodigava per trarre tutti dalle difficoltà. Arrivati sullo spartiacque, quando non restava che risalire la facile cresta fino alla cima e scendere al rifugio della Capanna Vallot, i due gruppi si separarono.
La cordata italiana riuscì a raggiungere, ormai al buio, la Capanna Vallot, e, dopo un altro bivacco all'aperto e un'avventurosa marcia, raggiunse la salvezza al Rifugio Gonella, sul versante italiano. Gheser, colpito da gravi congelamenti, ebbe alcune dita di entrambi i piedi e di una mano amputate.
Vincendon ed Henry decisero invece di raggiungere direttamente Chamonix, ma persero l’orientamento e finirono per scendere per il canalone che porta al Gran Plateau, sul versante francese restando bloccati su una cengia di ghiaccio, senza la forza di risalire o montare almeno la tendina da bivacco.
Il 27 dicembre, i due dispersi erano individuati col cannocchiale, ma le guide di Chamonix reputarono troppo pericoloso tentare di raggiungere i due ragazzi da sud, passando per il rifugio Grand Mulet, e, infatti, la cordata guidata dall’alpinista Lionel Terray rimase bloccata al rifugio Gran Mulet dal maltempo.


Un elicottero, un Sikorsky, lanciò pacchi con coperte e viveri, ma i ragazzi con i piedi e le mani ormai congelati, pur riuscendo a trascinarsi fino ai pacchi, non riuscirono ad aprirli.


La tragedia si svolse “in diretta”, infatti, dalle piste di sci, con il cannocchiale, chiunque poteva vedere i due alpinisti bloccati sulla cengia.


Un giorno un tenente pilota dell'esercito tentò un atterraggio vicino ai due naufraghi, per un recupero diretto, ma l'elicottero si schiantò nelle vicinanze, senza conseguenze per i quattro occupanti, i due piloti dell'elicottero e due guide alpine.




Un secondo elicottero si alzò in volo, ma adesso si adottò una tecnica meno avventata: quattro guide alpine furono fatte scendere su una cima non lontana, il Dòme du Gouter, e queste riescirono a raggiungere a piedi l'elicottero e recuperare i due piloti e le due guide e portarli, nella tormenta, fino alla Capanna Vallot.
Vincendon e Henry non erano però in grado di muoversi quindi si potè solo rifocillarli e sistemarli nell'abitacolo dell'elicottero. “Torneremo a prendervi — dissero le guide — ma prima di tutto dobbiamo portare in salvo i piloti”.


La tempesta di neve bloccò però per altri due giorni ulteriori missioni e quella organizzata il 3 gennaio servì solo a riportare a Chamonix i due piloti e le guide. L'elicottero venuto a prelevare i soccorritori dalla Capanna Vallot non scorse segni di vita provenire dalla carlinga dell'aereo incidentato, segno che Vincendon e Henry erano nel frattempo morti per il freddo.

I loro corpi furono poi recuperati solo a marzo del 1957.


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