venerdì 27 febbraio 2015

LE INFEZIONI URINARIE: cure naturali

categoria: medicina, pronto soccorso, cure naturali

Le infezioni urinarie sono disturbi che, se non curati, possono provocare seri danni all'apparato urinario. Un trattamento naturale con piante medicinali, minerali, oli essenziali e probiotici può essere di valido aiuto.

Sintomi
I segni e i sintomi di un'infezione alle vie urinarie negli adulti vanno dal bruciore durante la minzione al dolore forte, accompagnato spesso dalla sensazione di pesantezza al basso ventre, dalla difficoltà di minzione e dalla necessità di urinare frequentemente con l'emissione di poca urina. Non di rado le urine sono torbide e con la presenza di sangue. Nelle infezioni alle vie urinarie basse la febbre è assente, mentre è comune in quelle alte.
Quando la sintomatologia è assente o non chiara, le prime indagini da eseguire sono l'esame delle urine e l’urinocultura.
Le più comuni infezioni alle vie urinarie sono la cistite e la pielonefrite.
La cistite è sicuramente l'infezione più diffusa e colpisce prevalentemente la vescica, mentre la pielonefrite è un'infezione microbica dell'insieme dell'apparato urinario e può sopravvenire contemporaneamente o in seguito ad un episodio di cistite.
Le cistiti possono anche dipendere dai batteri che raggiungono il tratto urinario non solo per via ascendente, ma anche per via linfatica o ematica per esempio in corso di setticemia.
Le infezioni urinarie possono inoltre dipendere dal ristagno vescicale, anomalie delle vie urinarie, un’ostruzione da calcoli, reflusso vescico-uretrale, presenza di cateteri.
L'incompleto svuotamento della vescica favorisce la proliferazione batterica perché le urine sono un ottimo terreno di coltura per numerosi microrganismi.
Tra le cause più comuni favorenti la cistite troviamo una cattiva igiene intestinale.

La donna
L'uretra femminile è corta e quindi maggiormente esposta al rischio di essere infettata da batteri e funghi, quindi è molto importante insegnare prestissimo alle bambine ad asciugarsi dopo aver urinato e lavarsi almeno una volta al giorno, con acqua e detergenti specifici, con movimenti dall'avanti all'indietro per evitare di condurre i germi fecali a contatto con il meato urinario.
Inoltre è molto comune, nella donna, la cosiddetta "cistite da luna di miele" dovuta ai rapporti sessuali: anche in questo caso è fondamentale una corretta detersione dell'apparato genito-urinario sia maschile sia femminile.
Alcune donne si trascinano delle cistiti anche per anni per non essere state curate bene dall'inizio, perché hanno delle predisposizioni naturali o abitudini scorrette, anche alimentari.

L’uomo
Nell'uomo la cistite spesso si accompagna a un'infiammazione della prostata, causa di recidive.

L’igiene intestinale
Il tratto urogenitale della donna sana è un ecosistema caratterizzato da una flora microbica complessa, il cui equilibrio dipende anche da problemi strettamente collegati all'igiene intestinale (stitichezza, alterazioni della flora batterica intestinale...).
L’uso di ceppi accuratamente selezionati di batteri probiotici a fini profilattici, insieme a vitamine e oligoelementi è una integrazione importante, se non un'alternativa interessante quando possibile, alle lunghe terapie antibiotiche prescritte in presenza di episodi infettivi ripetuti.

Piante ed oligoelementi usati nella cura delle cistiti

UVA URSINA
Fam. Ericacee/Arbutee
Parte utilizzata: estratto secco dalle foglie
L'estratto di Uva ursina è conosciuto come il migliore rimedio naturale per le infezioni urinarie; l’azione astringente è dovuta all'acido tannico, mentre l’azione antisettica sulle mucose delle vie urinarie è dovuta ai glucosidi arbutina e metilarbutina che, a contatto delle urine, si scindono in glucosio e la sostanza antisettica idrochinone. Questo estratto è attivo verso i più comuni batteri causa di cistiti (stafilococchi e coli).

ORTOSIPHON
Fam. Labiate/Ocimee/Moscomee
Parte utilizzata: estratto secco dalle parti aeree
L'Ortosiphon è tradizionalmente usato come diuretico, impiegato sottoforma di infuso (thè di Giava).
L'Ortosiphon è indicato non solo nel trattamento delle cistiti, ma anche delle nefriti, delle coliche nefritiche e della renella: attiva il riassorbimento degli edemi, la dissoluzione più o meno completa dei depositi colesterinici, delle placche ateromatose, dei calcoli e agisce anche sulla glicosuria.

TIMO
Farri. Labiate
Parti utilizzate: olio essenziale
L'olio essenziale di Timo ha una potentissima azione antibatterica e tutti i batteri su cui è stato sperimentato sono, sia pur in varia misura, sensibili alla sua azione.
È da sconsigliarne l'utilizzo in gravidanza .

GINEPRO
Fam. Cupressinee
Parte utilizzata: olio essenziale
L'olio essenziale trova svariati impieghi, ma è principalmente un antisettico delle vie urinarie.
L'azione diuretica del Ginepro ha dovuto soprattutto al suo olio essenziale che, talvolta, può procurare alle urine un leggero odore di violetta; favorisce l'eliminazione dell'acido urico e delle tossine.

ACEROLA
I microrganismi responsabili della cistite (ad es. il Proteus) posseggono enzimi che scindono l'urea e alcalinizzano le urine rendendo meno attivi gli antibiotici o gli antisettici urinari che presentano l'optimum di attività in ambiente acido. E’ quindi utile nelle cistiti acidificare le urine, impiegando l’acerola, i cui frutti sono ricchissimi di vitamina C.

PROPOLI
La propoli ha una attività antibatterica e antisettica anche verso i più comuni microrganismi responsabili delle infezioni urinarie; è dimostrata inoltre l’attività immunostimolante, dovuta in parte ad una stimolazione del timo e quindi dei linfociti.

MANGANESE e RAME
Manganese e il Rame hanno un’azione stimolante delle naturali difese organiche dell'organismo.
L'oligoterapia elogia le virtù del Rame come antinfettivo e antinfiammatorio. La sua associazione con il Manganese è in grado di produrre un notevole sviluppo delle difese organiche, indispensabile per combattere i processi infettivi a carico di tutti gli apparati dell'organismo e quindi anche di quello genito-urinario.

Consigli
Bere a sufficienza: più di un litro di acqua o di bevande acquose al giorno.
Non trattenere la pipì per lunghi periodi, un'abitudine dei bambini e degli adulti impegnati nel lavoro: ciò favorisce il ristagno delle urine e l'aumento di carica batterica.
Evitare i disordini intestinali assumendo probiotici.
Combattere stitichezza e diarrea, che modificano l'equilibrio della flora batterica intestinale e favoriscono la comparsa di cistiti.
Evitare di usare saponi intimi irritanti: prediligere detergenti intimi alla propoli e a pH fisiologico.

Migliorare l'igiene intima con periodici semicupi a base di associazioni di estratti di piante dall'azione specifica (olio essenziale di Melaleuca, estratto di semi di Pompelmo, oli essenziali di Lavanda, Salvia..)

giovedì 26 febbraio 2015

Il CIRM, Centro Internazionale Radio Medico, funzioni e pubblicazioni

categoria: sicurezza sul mare, medicina, pronto soccorso


La vita del marinaio non è facile e piacevole, neanche  a bordo di moderne navi ultratecnologiche.
Quando l’uomo si avventurava inizialmente sul mare si trattava di una navigazione diurna e costiera; con l’introduzione di cartine nautiche e i mezzi di orientarsi anche di notte, i periodi di navigazione si sono allungati e la vita di bordo divenne più dura per la maggiore mole di lavoro, i rischi delle navigazioni notturne e la mancanza quasi totale di valide infrastrutture di appoggio come fari e boe. Quando il commercio o la guerra imposero agli equipaggi di affrontare lunghe tratte oceaniche, la situazione a bordo peggiorò notevolmente, dovendo affrontare condizioni meteorologiche e climatiche più difficili di quelle in genere presenti nel teatro Mediterraneo, sconosciute malattie che si scoprì dopo essere causate da carenze vitaminiche, la mancanza di una assistenza medica e farmaci adeguati per curare patologie contratte nei luoghi esotici dove la nave approdava.
Oltre alle nuove malattie, il marinaio era nei guai, anche per una patologia “minore” come un semplice mal di denti, le complicanze di una semplice tonsillite o un attacco di appendicite. Gli incidenti di bordo erano causa frequente di mutilazioni e lutti.
Nel 1897 l’invenzione della radiotelegrafia, per merito di uno scienziato italiano, Guglielmo Marconi, permise ai marinai di comunicare rapidamente con la terraferma e poterono svilupparsi i primi centri di radio medicina, ossia assistenza medica via radio, inizialmente limitati solo alle unità di bandiera di singole Nazioni o Compagnie di navigazione, magari disponibili per consigli anche per le navi in transito vicino alle acque territoriali.
In Italia, un giovane medico siciliano stabilitosi a Roma, Guido Guida, che aveva a cuore la situazione in cui si trovavano quelli che viaggiavano per mare, cercò di avviare un servizio di assistenza via radio “globale” e riuscì a coinvolgere lo stesso Marconi e i principali luminari della scienza residenti nell’area della capitale.
La prima “assistenza sanitaria via radio” riguardò il piroscafo Perla, il 7 aprile 1935 alle ore 20.15 al largo delle coste del Senegal, che aveva lanciato una richiesta di soccorso per un fuochista di bordo elencando malore e sintomi; alle 20.35 venivano impartite dai sanitari le istruzioni del caso che terminavano con la frase “informateci domani mattina condizioni paziente”; queste iniziavano a migliorare già nella notte per arrivare alla guarigione.
Il 16 febbraio del 1935 (anno XIII dell’Era Fascista, come recita il documento di costituzione del CIRM stilato al Ministero delle Comunicazioni) nasceva a Roma il Centro Internazionale Radio Medico in grado di fornire gratuitamente la sua assistenza a qualsiasi mezzo navale navigante, senza distinzioni di bandiera, di società armatrice o di distanza dalla sua sede: una struttura che per la prima volta era in grado di avere una vera operatività a livello mondiale.
Oggi il CIRM estende la sua assistenza anche agli aeromobili, si avvale di medici consulenti che rispondono anche a richieste particolari, che spaziano dalla neurologia all’ostetricia e ginecologia, dall’angiologia alla reumatologia, dalla chirurgia d’urgenza all’oftalmologia e tanti altri ancora.
Dall’alfabeto Morse dei vecchi marconigrammi, oramai non più in uso dal 2005, la comunicazione adesso può avvenire tramite fax, e-mail, telex satellitare o in fonia tramite telefoni satellitari.
Nel tempo le richieste di assistenza si sono moltiplicate, da parte di navi mercantili, da crociera e da pesca, aerei, persone in stato di necessità situato su isole, oltre a consulenze per MEDEVAC (evacuazioni sanitarie) su territorio metropolitano.
A questo proposito, nel 2011 il CIRM ha firmato un protocollo di intesa con il Ministero della Salute e il Comando Generale delle Capitanerie di Porto/Guardia Costiera, razionalizzando, al fine di rendere più sicure, le evacuazioni sanitarie attorno alle coste italiane.
Oltre che assistenza diretta ai marittimi, il CIRM si occupa anche di informazione e prevenzione, collaborando a progetti nazionali ed internazionali:
Healthy Ship, è un progetto che consente alle compagnie armatrici italiane che aderiscono all’iniziativa di adempiere, collaborando con il CIRM, alle prescrizioni della sorveglianza sanitaria, raccogliendo i dati medici dei lavoratori marittimi, monitorando eventuali situazioni di stress, le condizioni igieniche sulle navi, le dotazioni della farmacia di bordo.
MILIARE (Maritime High Quality Health Care), è un progetto che coniuga fascicoli sanitari elettronici dei potenziali utenti dei servizi del CIRM, teleformazione sanitaria e varie misure per il telemonitoraggio a bordo.
Numerose sono anche le pubblicazioni curate dal CIRM di primo soccorso e gestione delle emergenze mediche.
Il manuale sul “Primo Soccorso Elementare, Gestione delle Emergenze Mediche ed Automedicazione per i Lavoratori del Comparto Ittico” realizzato grazie al contributo del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Il testo sulle “Buone Pratiche in caso di Infortuni a Bordo delle Navi”, realizzato grazie al contributo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
“Elementi di Primo Soccorso per il Diporto Nautico”, realizzato su input della Capitaneria di Porto di Ancona sotto l’egida del Comando Generale delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, che vuole porsi come interlocutore dei diportisti nautici per guidarli su come prepararsi, anche da un punto di vista sanitario, ad un viaggio, breve o lungo che sia, in mare e su come affrontare una eventuale patologia o infortunio che dovesse verificarsi a bordo.
La pubblicazione “Chiamo il CIRM” è un manuale scritto per i Comandanti delle navi e per tutti i marittimi. Lo scopo del testo è fornire una guida in grado di rendere più semplice il soccorso e l'assistenza medica di una persona che contrae una malattia o subisce un infortunio durante la navigazione, lontano dai porti. Non è assolutamente un testo di medicina, infatti, per quanto possibile, sono stati esclusi i termini tecnici. Nell'indice non si troveranno i nomi di malattie, non vi sono paragrafi relativi ad argomenti come "appendicite", "polmonite", "frattura di un braccio" e via dicendo, ma sono elencati i sintomi più comuni, come "febbre", "tosse" o "dolore all'addome" e gli infortuni che più frequentemente si verificano, come "traumi" od "intossicazioni".
L'esperienza del CIRM insegna che a bordo delle navi, dove non vi è il medico, è corretto esaminare con attenzione i sintomi di esordio della malattia (o valutare il tipo di infortunio subito), considerare tutte le possibilità ed intervenire con prudenza per far si che il malato (o l'infortunato) arrivi al porto di destinazione nelle migliori condizioni possibili. Il manuale è stato così suddiviso in brevi schede, nelle quali sono descritti i sintomi, i segni di malattia e gli infortuni che più frequentemente accadono a bordo delle navi. Tutte le schede sono redatte secondo uno schema prefissato, simile in tutti i capitoli. È stata fatta questa scelta per rendere più semplice il compito di chi consulta il manuale; in questo modo il lettore ritrova sempre la stessa metodologia d'intervento, qualsiasi argomento debba consultare.
Nella prima parte di ogni scheda sono formulate alcune domande per chiarire l'esordio del malessere, o il tipo di infortunio, ciò che i medici chiamano "anamnesi" o storia della malattia. In seguito è descritto come deve essere esaminato il malato e su quali segni porre particolare attenzione per chiarire le condizioni e la gravità del problema. Vi sono poi le istruzioni di primo intervento, che sono state limitate al minimo indispensabile, sufficienti per assicurare il primo soccorso, in attesa di un consulto con un centro radio medico.
Infine vi è un promemoria che ricorda le informazioni più importanti da trasmettere al centro medico di riferimento. Una breve considerazione: limitare al minimo indispensabile le istruzioni terapeutiche è stata una scelta precisa degli autori. Il soccorritore a bordo della nave deve agire in modo autonomo solo all'esordio del problema, poi deve essere guidato da un medico esperto. Se il soccorritore continuasse ad occuparsi del malato senza consultare un medico, in primo luogo potrebbe mettere in pericolo il malato, secondo potrebbe andare incontro a problemi medico legali ed a richieste di risarcimento danni. La richiesta di assistenza radio medica è una tutela sia del malato, sia del soccorritore.
Nella seconda parte del manuale vi è un capitolo riguardante le principali norme di prevenzione e profilassi delle malattie ed un capitolo nel quale sono riportate le istruzioni per eseguire in modo corretto alcune importanti atti diagnostici e terapeutici, per esempio come misurare la pressione arteriosa, eseguire l'iniezione di un farmaco o la rianimazione cardio-.respiratoria. Qui sono stati utilizzati molti disegni per rendere più semplici le descrizioni. Infine sono state inserite due appendici: la farmacia di bordo, sia secondo la normativa italiana, sia secondo le indicazioni OMS-IMO ed un glossario che spiega i termini tecnici utilizzati.
Il CD Rom allegato segue fedelmente il testo scritto ed utilizza alcune tecniche, come l'ipertesto e i database, per rendere più semplice la consultazione e consentono di "navigare" velocemente da un punto all'altro del manuale.

Puoi contattare il C.I.R.M. attraverso le stazioni costiere italiane e via:
Telefono: 06-5923331/2
Telefax: 06-54223045
Cellulare: 348-3984229


Tentano di entrare in casa, ma trovano il cane ad attenderli, un molosso di 50 kg

categoria: difesa abitativa, cani da difesa
NOVI LIGURE – Una giovane coppia che esce di casa per passare una serata con gli amici. Un ladro (o più d'uno) che pensa di approfittare della situazione per ripulire l'appartamento. E un cane di razza corsa, del peso di mezzo quintale, che riposa nel proprio cestone. Sono i protagonisti della vicenda avvenuta l'altra notte, a Novi Ligure, nella zona di Crosa della Maccarina.

"L'altra notte, quando siamo rientrati a casa - spiega il proprietario dell'alloggio - abbiamo subito notato che la portafinestra che dà sul balcone era stata sfondata. Tutto intorno, oltre ai pezzi di vetro, grandi macchie di sangue. All'inizio abbiamo pensato che i ladri si fossero feriti, oppure che avessero fatto del male al nostro cane. Invece era esattamente il contrario!"
Tiger, questo il nome del cucciolotto da 50 chilogrammi, sulla bocca aveva ancora il sangue dei malcapitati topi d'appartamento: evidentemente li aveva cacciati a forza di morsi. "Dalla casa non è stato portato via nulla, anche se il danno agli infissi è ingente", dice il proprietario.

Anche i vicini, nel corso della notte, hanno sentito i rumori della zuffa. "Abbiamo sentito ringhiare e abbaiare forte - dicono - ma pensavamo che ci fossero i proprietari in casa e non ci siamo preoccupati", dicono. Tiger è descritto da chi lo conosce come un cane estremamente docile. "Ma anche il più timido dei cani può reagire con violenza se qualcuno irrompe nel suo territorio con modalità anomale, come in questo caso", spiega il veterinario Paola Cavanna.

I carabinieri sono intervenuti per raccogliere campioni del materiale ematico che sarà inviato ai laboratori del Ris di Parma per l'analisi del dna
. E' possibile quindi che il ladro finisca presto dietro le sbarre. Di sicuro, la prossima volta, ci penserà due volte prima di introdursi a casa di qualcuno.

mercoledì 25 febbraio 2015

L’impresa di “One World” nel 2006

Categoria: grandi imprese


Il 12 giugno 2006, da Yokohama, l’italiano Alessandro Di Benedetto parte per la traversata transpacifica settentrionale in solitario, senza scalo e senza assistenza, facendo rotta per San Francisco su One World, un minicatamarano sportivo a vela non abitabile appartenente alla categoria "catamarani inferiori ai 20 piedi", lungo 5,67 m del peso di 760 kg. a pieno carico.
A bordo sono stati imbarcati 80 litri di acqua, due dissalatori che funzionano grazie ai pannelli fotovoltaici e uno a mano. Inoltre è stato fatto un abbondante stivaggio di limoni, gallette, miele, cioccolato, latte, integratori energetici e vitaminici.
All'interno dei due scafi sono stati sistemati: un ricevitore INMARSAT che trasmette a un computer analisi meteo, 4 GPS, carte nautiche, un binocolo, un sestante, due bussole, un EPIRB, medicinali, mute stagne e bombolette di camping-gaz.


Al traguardo intermedio delle 1.000 miglia, l’imbarcazione si dimostra affidabile, nonostante le difficili condizioni del mare; i problemi sono piccole e medie avarie: una randa che ha richiesto qualche cucitura, l’ancora galleggiante "scoppiata", problemi al secondo autopilota (che poi si romperà definitivamente) e all'antenna satellitare dell'apparato IRIDIUM (un sistema di telefonia satellitare).
Il cattivo tempo, con nebbia e pioggia frequente, ha sovente impedito ai pannelli solari di produrre energia e ricaricare le batterie.
Di Benedetto, nonostante tutto, riesce anche a dormire, a tratti, sommando i quali si arriva alle sei ore al giorno. Durante il percorso ha dovuto assumere antibiotici per curare una patologia di carattere respiratorio. Il mare comunque regala forti sensazioni che ripagano il navigatore di tenti sacrifici. Durante una comunicazione via IRIDIUM: "Ora navigo su bolle luminose. Sto attraversando sacche con grande concentrazione di plancton e il passaggio degli scafi di One World smuovendo l'acqua genera esplosioni di luce, di ghirlande luminose, di scintille stellate che si disperdono sulla superficie dell'Oceano e si rilanciano in volo confondendosi prima di svanire con gli astri del firmamento. Uno spettacolo che mi conforta, mi ripaga degli sforzi, del freddo, della impossibilità di riposare. Alla via così, la strada è ancora lunga e le miglia da percorrere ancora tante".

Il 5 luglio si taglia il 180° meridiano: è la linea del salto di data.
I problemi continuano: Il navigatore è costretto a cambiare la muta stagna per un inconveniente agli alluci, per essere stati troppo a lungo costretti negli stivali di neoprene.
L’alternanza di sole, nebbia, pioggia crea condizioni molto pesanti per chi non dispone di un sia pur precario riparo.
Durante la giornata Di Benedetto passa il tempo pescando alla traina, riparando le vele e sartiame, danneggiate durante le burrasche succedutesi nel tempo.
Le vele sono ancora efficienti e non deformate malgrado la navigazione dura. Così l'attrezzatura in tessile e le dormienti.
Quando si avvicina alla meta un forte vento laterale e pericolosi frangenti, con onde spesso che superano i 5 metri di altezza, fanno rischiare il rovesciamento.
Alla fine la piccola imbarcazione passa sotto i rossi piloni del Golden Gate.


Il rappresentante del WSSRC certificherà l’arrivo di One World a San Francisco, l'11 agosto 2006 alle 20 GMT, dopo 62 giorni e 17 ore 51 minuti 55 secondi di navigazione.

martedì 24 febbraio 2015

pediculosi

MINISTERO DELLA SALUTE
DIREZIONE GENERALE DELLA PREVENZIONE UFFICIO III - MALATTIE INFETTIVE E PROFILASSI INTERNAZIONALE

Che cosa è la pediculosi?
E’ un’infestazione causata dalla presenza di pidocchi, piccoli insetti grigio-biancastri senza ali, con il corpo appiattito e le zampe fornite di uncini particolari che permettono loro di attaccarsi fortemente a
capelli e peli; il loro apparato buccale è adatto a perforare la cute e a succhiarne il sangue.
I pidocchi agiscono come parassiti (organismi che vivono “a carico” di altri organismi) e si nutrono pungendo la parte del corpo colpita (cuoio capelluto, corpo o pube), depositando un liquido che causa prurito. Caratteristica fondamentale dei pidocchi è quella di vivere, quasi esclusivamente, sul corpo umano, poiché non possono vivere a lungo lontani dall’ospite.
Il contagio avviene fra persona e persona, per contatto diretto e attraverso lo scambio di effetti personali quali: pettini, cappelli, asciugamani, sciarpe, cuscini etc.
Tra le numerose specie di pidocchi esistenti in natura, quelle che diventano parassiti dell’uomo sono: il pidocchio del capo (Pediculus humanus capitis) che causa la maggior parte delle infestazioni, quello del corpo (Pediculus humanus corporis) e quello del pube (Phthirus pubis).

Essi si riproducono attraverso le uova dette lendini. La femmina del pidocchio vive 3 settimane e depone circa 300 uova, che maturano e si schiudono in 7 giorni alla temperatura ottimale di 32° C.
Va precisato che le infestazioni sono ancora frequenti, anche nei Paesi sviluppati, nonostante le migliorate condizioni igieniche in cui viviamo.
Le infestazioni da pidocchi (pediculosi) restano ancora un problema attuale, nonostante la prevenzione da parte degli organi sanitari competenti, soprattutto nelle scuole.

Come si presenta?
Le tre specie di pidocchi parassiti dell’uomo sono molto simili tra loro: succhiano il sangue del soggetto che parassitano, vivono su un solo ospite e si sviluppano in tre stadi successivi; in condizioni favorevoli, dalle uova (lendini) si schiudono le ninfe, che attraverso tre stadi di maturazione si trasformano in pidocchi adulti.
Le uova, sono attaccate alla radice del capello con una loro colla naturale, difficilissima da sciogliere, sono opalescenti, lunghe circa 1 mm e di forma allungata.
La ninfa esce dall’uovo con già la forma dell’insetto adulto e, attraverso 3 passaggi (mute), in 7-13 giorni raggiunge la maturità, nutrendosi di sangue da 2 a 5 volte al giorno.
L’insetto adulto maschio è più piccolo della femmina. Le uova sono deposte 24 o 48 ore dopo l’accoppiamento, a seconda della temperatura più o meno favorevole.
La femmina del pidocchio del capo depone circa 5 uova al giorno.
Pediculus humanus capitis, il pidocchio del capo, di colore grigiastro, spesso si mimetizza con il colore dei capelli dell’ospite. Si ritrova solitamente sulla testa dei bambini ed in particolare nelle zone della nuca e dietro le orecchie.
L’insetto è munito di zampette uncinate che si ancorano ai capelli ed il passaggio da un ospite all’altro avviene per contatto diretto del capo o, indirettamente, attraverso lo scambio di effetti personali: cappelli, pettini, sciarpe, cuscini ecc.
Pediculus humanus corporis, il pidocchio del corpo, non si distingue per la forma da quello del capo e la diagnosi differenziale si effettua in base alla localizzazione. Si ritrova spesso negli indumenti usati da persone infestate e in questi può sopravvivere anche per un mese. Anche questo pidocchio si trasmette per contatto diretto oppure attraverso indumenti e biancheria da letto.
Phthirus pubis, il pidocchio del pube denominato anche piattola per la sua forma schiacciata, è fornito di arti e uncini molto robusti capaci di ancorarsi a peli più corposi del capello.
Il pidocchio del pube si trasmette per contatto intimo, soprattutto negli adulti.

Perché sono importanti dal punto di vista sanitario?
Gli unici pidocchi in grado di diventare possibili vettori di microrganismi patogeni per l’uomo sono i pidocchi del corpo, che presentano problemi di sanità pubblica nei periodi caratterizzati da calamità naturali o da guerre, in cui sono frequenti situazioni di promiscuità e di disagio sociale.
Quelli del capo, pur rappresentando un problema di sanità pubblica per la rapidità con cui si propaga l’infestazione, coinvolgendo spesso intere classi di alunni, presentano il vantaggio di non poter sopravvivere più di due o tre giorni al di fuori del corpo umano e di essere facilmente attaccati dai vari sistemi di disinfestazione.

Come si manifesta?
L’infestazione si manifesta con un intenso prurito al capo o al pube, secondo il tipo di pidocchio e della sua localizzazione. A un attento esame tra i capelli (per quanto riguarda i pidocchi del capo) si notano, soprattutto all’altezza della nuca o dietro le orecchie, le lendini (le uova dei pidocchi), che hanno l’aspetto di puntini bianchi o marrone chiaro, di forma allungata, traslucidi, poco più piccoli di una capocchia di spillo.
A differenza della forfora, con cui si potrebbero confondere, le lendini sono fortemente attaccate ai capelli da una particolare sostanza adesiva.

Che cosa fare quando si è infestati?
Il problema è facilmente risolvibile seguendo scrupolosamente le indicazioni di trattamento che seguono, anche se bisogna dire che nessun prodotto ha effetto preventivo, per cui non si può escludere una successiva reinfestazione.
Ecco di seguito le precauzioni da seguire scrupolosamente in caso di infestazione:
- effettuare una accurata ispezione del capo, magari con l’aiuto di una lente d’ingrandimento e in un ambiente intensamente illuminato, per rimuovere manualmente i pidocchi e le lendini
- lavare i capelli con uno shampoo specifico e risciacquare con aceto (100 gr. in un litro di acqua calda)
- ispezionare nuovamente il capo e staccare manualmente con pazienza tutte le lendini rimaste, servendosi anche di un pettine fitto, pettinando accuratamente ciocca per ciocca, partendo dalla radice dei capelli
- ripetere il trattamento dopo 8 giorni, il tempo necessario affinché le uova si schiudano
- disinfettare le lenzuola e gli abiti, che vanno lavati in acqua calda o a secco (in particolare i cappelli), oppure lasciare gli abiti all’aria aperta per 48 ore (i pidocchi non sopravvivono a lungo lontani dal cuoio capelluto)
- lasciare all’aria aperta anche pupazzi o peluches venuti, eventualmente, a contatto con la persona infestata
- lavare e disinfettare accuratamente pettini e spazzole
- nel caso di infestazione delle ciglia, i parassiti e le uova vanno rimossi con l’uso di pinzette, previa applicazione di vaselina.

Il trattamento con prodotti farmaceutici
I prodotti contro la pediculosi si presentano sotto forma di polveri, creme, shampoo che, in ogni caso, devono essere consigliati dal medico, che prescriverà il trattamento più idoneo.
A tale proposito, si sottolinea che i prodotti contro la pediculosi vanno utilizzati per il trattamento dell’infestazione da pidocchi e non per prevenirla.
La permetrina risulta il prodotto più efficace contro i pidocchi.
Si tratta di un piretroide sintetico che uccide sia i pidocchi che le uova, che si mantiene a lungo dopo l’applicazione e che rende in genere sufficiente un solo trattamento. L’emulsione all’1% si può impiegare in tutti i tipi di pediculosi, applicando sui capelli puliti e sulla pelle un sottile strato di crema da lasciare agire per dieci minuti e da rimuovere con abbondante risciacquo.
All’estero la permetrina è in uso da anni e vengono riportati casi di resistenza; non essendo nota la situazione del nostro paese, a scopo precauzionale appare ragionevole aumentare i tempi di contatto.
La permetrina è ben tollerata, anche se sono possibili reazioni cutanee locali; è sconsigliato l’uso di questo prodotto sotto i sei mesi di età.
Il malathion è un antiparassitario organofosforico rapidamente attivo contro pidocchi e lendini.
Il gel allo 0,5% deve essere spalmato in modo uniforme sulla capigliatura asciutta e sulla cute sottostante e lasciato in sede per almeno dieci minuti; successivamente va asportato con un accurato lavaggio.
Nella maggior parte dei casi non è necessario ripetere l’applicazione.
Con analoghe modalità d’uso può essere impiegato contro la pediculosi del pube.
Va evitato il contatto con mucose e occhi. Non vi sono segnalazioni di effetti tossici quando sono rispettate le avvertenze d’uso.
Le piretrine naturali associate al piperonil butossido, e quelle sintetiche come fenotrina e tetrametrina, sono antiparassitari efficaci e ben tollerati che devono essere applicati sui capelli e lasciati agire per dieci minuti.
Non uccidono però tutte le uova, non possiedono una attività antiparassitaria residua e sono disponibili solo sottoforma di shampoo (troppo diluito e perciò meno efficace del gel): per tale ragione dopo 7 giorni è consigliabile ripetere l’applicazione per eliminare eventuali larve nate da lendini sopravvissute al primo trattamento.
Va evitato il contatto con gli occhi.
La comparsa di resistenze ha aumentato gli insuccessi terapeutici.
Dopo il trattamento, i capelli devono essere lavati e pettinati con un pettine a denti fitti per asportare le uova e i pidocchi morti.
La rasatura non è in genere necessaria. Quando la localizzazione fosse tra le ciglia o le sopracciglia, è necessario effettuare per parecchi giorni applicazioni locali di pomata all’ossido giallo di mercurio all’1%.
Da tener presente che per la pediculosi del pube vanno trattati, contemporaneamente, anche i partner delle persone infestate e che può essere utile la rasatura.

Come si evita
Come già accennato, non è possibile prevenire l’infestazione né i prodotti usati nel corso di una prima infestazione rendono immuni da una possibile reinfestazione. Tuttavia è possibile mettere in atto alcune precauzioni che sono le sole a poter evitare la trasmissione della pediculosi. Eccole di seguito:
- educare i bambini ad evitare che i capi di vestiario vengano ammucchiati (soprattutto nelle scuole e nelle palestre sarebbe opportuno che ad ogni bambino venga assegnato un armadietto personale ad ogni bambino)
- educare i bambini ad evitare lo scambio di oggetti personali quali pettini, cappelli, sciarpe, nastri, fermagli per capelli, asciugamani
- mettere in atto una sorveglianza accurata, con ispezioni settimanali del capo, in particolare sulla nuca e dietro le orecchie, sia da parte dei genitori che del personale sanitario delle scuole, per escludere la presenza di lendini
- in caso di infestazione scolastica, nelle famiglie con bambini in età scolastica effettuare un controllo sistematico a tutti i familiari, in particolare ai figli più piccoli, e alla scoperta di eventuali lendini, applicare in modo scrupoloso le regole descritte per il trattamento dell’infestazione da pidocchi.

lunedì 23 febbraio 2015

Beretta ARX 160 cal. 5,56x45 mm (e versione priva dell’opzione del tiro a raffica ARX 100)

categoria: armi

Beretta ARX 100

Beretta ARX 100

Facilità di smontaggio e rimontaggio anche per personale non addestrato, senza uso di spine e viti.
Leggero.
Smontaggio da campagna della Beretta ARX
Calcio retrattile per ridurre ingombro e adattarsi alla corporatura del tiratore/ presenza di protezioni balistiche; calcio abbattibile in avanti per ridurre ulteriormente l’ingombro. Non sparare però con il calcio ruotato in avanti.
Disposizione degli agganci per cinghie tale da adattarsi alle necessità del tiratore.
Leve sicura/colpo singolo/(raffica) e pulsanti di sgancio cricatore e sgancio canna facilmente raggiungibili e facili da azionare.
Possibilità di ruotare facilmente la manetta di armamento a destra o sinistra agendo semplicemente sulla leva di armamento e ruotandola dove serve.
Possibilità di decidere il verso di espulsione dei bossoli.
Rinculo inesistente, ma è comunque preferibile sparare a colpo singolo per non disperdere i colpi.
Mire: diottria posteriore con regolazione ogni 100 metri fino a 600 m; regolazione solo sul mirino anteriore in alzo/deriva tramite clic, senza usare strumenti particolari.
 
L'ampia disponibilità di accessori per la Beretta ARX




Tre lunghezza di canna: 10", 12", 16"

Impressioni: decisamente positive. Mi sono trovato bene a sparare senza usare l’impugnatura opzionale anteriore, facilmente smontabile, ma forse è un ausilio utile per chi deve indossare protezioni balistiche ingombranti. Sparati colpi singoli usando solo la diottria, ma provato mira con ottica e punto rosso montate su altre armi, usando la slitta Piccatinny superiore.



domenica 22 febbraio 2015

La coagulazione, tempo di protrombina e INR

categoria: medicina

Il sangue scorre fluido dentro i vasi. Quando si crea una ferita, si attiva il sistema emostatico, tendente a chiudere l’apertura da cui il sangue può fuoriuscire: le piastrine (corpuscoli che circolano con il sangue) si aggregano tra di loro e liberano alcune sostanze che attivano una serie di reazioni chimiche a cascata. Alla fine di queste la protrombina si trasforma in trombina, che favorisce la trasformazione del fibrinogeno, una proteina circolante nel sangue, in fibrina, sostanza filamentosa e insolubile. Questa crea una rete nella quale rimangono intrappolate le cellule sanguigne: si forma così il coagulo, un tappo che chiude la ferita.

Quando occorre fluidificare
A volte il prezioso meccanismo grazie al quale sono chiuse le ferite produce coaguli che non servono, e sono anzi pericolosi: i trombi.
I trombi si creano all'interno dei vasi sanguigni e possono ostruirli creando così gravi danni, per esempio al cervello. Questo può avvenire tra l'altro per un'alterazione della composizione del sangue che aumenti la tendenza alla coagulazione, per un rallentamento della circolazione (dovuto per esempio a malattie che costringano a letto), per fratture alle gambe, interventi chirurgici, disturbi del ritmo cardiaco, tumori. In questi casi può essere necessaria una terapia con farmaci anticoagulanti, che fluidificano il sangue riducendo la tendenza alla formazione di trombi.

Tempo di protrombina e INR
Il processo di coagulazione del sangue comprende una serie di reazioni chimiche in sequenza, tra le quali la conversione della protrombina (una proteina prodotta dal fegato e presente nel sangue) in trombina.
Il test del tempo di protrombina, detto anche tempo di Quick e noto pure come PT(dalla dicitura inglese di prothrombin time) valuta la funzionalità del processo di coagulazione attraverso la misurazione del tempo necessario per la formazione di un coagulo in un campione di sangue - prelevato da una vena del braccio o da un polpastrello - trattato con alcuni reagenti.
Il tempo di protrombina si esprime in secondi, oppure (per evitare la variabilità legati al metodo di analisi) come percentuale rispetto al tempo che con la stessa procedura si ottiene in un individuo sano.
Per rendere ancora più paragonabili i risultati indipendentemente da come si esegue il test, si è introdotto il parametro INR (International normalized ratio o Rapporto normalizzato internazionale), che in base a un calcolo elimina le differenze tra i test. La maggior parte dei laboratori riporta il valore di PT e quello di INR. Durante la terapia anticoagulante il medico userà frequentemente I'INR per aggiustare il dosaggio del farmaco.

Come interpretare i risultati
Valori normali
Per il tempo di protrombina 12-16 secondi (secondo la metodica di analisi) o 70-100% del tempo in un individuo sano, corrispondenti a un INR intorno a 1,0. Pazienti in cura con anticoagulanti dovrebbero avere un INR da 2,0 a 3,0. Per pazienti con alto rischio di formazione di coaguli, il valore di INR deve essere da 2,5 a 3,5.
Valori superiori possono dipendere da …
- carenza di vitamina K;
- assunzione di anticoagulanti e altri farmaci (acido acetilsalicilico e simili, cimetidina, alcuni antibiotici tra cui le cefalosporine);
- difetti genetici della coagulazione come quelli dell'emofilia;
- malattie del fegato;
- alcune anemie.
Valori inferiori possono dipendere da …
- assunzione di vitamina K con farmaci,
- integratori alimentari e anche cibi come fegato di manzo e maiale, tè verde, broccoli, ceci,
 cavolo, rape, soia;
- uso di farmaci come barbiturici, corticosteroidi,
contraccettivi orali, ormoni da assumere dopo la menopausa.