Categoria: medicina, malattie infettive, pandemia, scenari apocalittici, survival
Quando gli aborigeni americani vennero in contatto con gli europei subirono impotenti l’attacco delle malattie importate dal Vecchio Mondo, perché erano sprovvisti di anticorpi nei loro confronti.
L'arrivo
degli europei provocò uno squasso immunitario, quello che è definito lo «shock
biologico della conquista»; migliaia e migliaia di indigeni furono vittime di
una strage provocata dallo sconvolgimento della loro immunità naturale da parte
di malattie a loro sconosciute, quali il morbillo, l'influenza, la tubercolosi,
il vaiolo.
Il
vaiolo, esploso nelle Antille nel 1518, risparmiò soltanto poche centinaia di
indigeni isolani. Poi raggiunse il Messico e il Guatemala, proseguendo
successivamente verso sud e raggiungendo il Perù nel 1525. Qui destabilizzò
l'impero degli Incas, dopo aver destabilizzato in Messico l'impero degli
Aztechi; come aveva favorito al nord l'impresa conquistatrice di Hemàn Cortes,
così favorì al sud l'impresa conquistatrice di Francisco Pizarro.
Il
risultato a distanza del ripetersi di queste epidemie fu lo spopolamento
del continente amerindio.
«L'indiano
muore così facilmente», avrebbe scritto un misericordioso missionario, «che
basta la vista o l'odore di uno spagnolo per fargli rendere l'anima a Dio».
Allo
svuotamento demografico dell'America centro-meridionale avrebbero poi sopperito
i coloni travasandovi milioni di schiavi neri, più resistenti e quindi più
disposti a sopravvivere, a moltiplicarsi, a fornire manodopera e forza-lavoro.
Sarà così che in America si costituirà una seconda Africa.
E
noto che le popolazioni amerindie ricambiarono a modo loro i danni
biologico-sanitari inferti dai conquistadores. Oggi, all'idea tradizionale di «scoperta
a senso unico dell'America» si è sostituito il concetto di «scoperta reciproca»;
un interscambio di malattie e salute tra Vecchio e Nuovo Mondo.
Il
bilancio biologico di dare e avere tra Europa e America appare, nel Cinquecento
e nei secoli successivi, fortemente squilibrato a vantaggio delle popolazioni
europee. Queste, esportatrici nel Nuovo Mondo delle malattie ed epidemie
anzidette, importarono la malattia sifilitica e la diarrea dei viaggiatori,
dovuta a un'associazione di protozoi e batteri entero-tossici e detta, con
enfasi, «vendetta di Montezuma».
Lo
sbilancio fu ancora più grande. Un recente studio pubblicato sul Journal of
Bacterìology e compiuto da Douglas E. Berg, professore di microbiologia
molecolare e genetica presso l'Università George Washington di St. Louis, ha
dimostrato che gli armigeri di Pizarro, fondatore della Nueva Grenada (Perù)
veicolarono oltreoceano anche Helìcobacter pylori, il batterio di cui è oggi
portatrice più della metà della popolazione mondiale e che in molti individui
si virulenta determinando l'ulcera e finanche il cancro dello stomaco. Si è
infatti scoperto che i ceppi batterici rilevati in Perù sono diversi da quelli
asiatici (smentendo la loro provenienza dall'Asia, in tempi remoti, attraverso
lo stretto di Bering) e che sono invece assai simili a quelli rilevati in
Spagna, nei discendenti dei cinquecenteschi conquistadores.
Nella nostra epoca i trasporti sono molto più veloci delle "caravelle" e la possibilità di diffusione di una malattia a trasmissione aerea per la quale non abbiamo anticorpi è elevatissima, legata ai milioni di passeggeri che in poche ore possono attraversare il globo da una parte all'altra a bordo di aerei per turismo o lavoro. Una nuova "peste nera", una nuova edizione dell'influenza "spagnola" possono sbucare all'improvviso e farsi gioco di insufficienti e tardivi tentativi di "quarantena" mietendo vittime fino alla scoperta (e la produzione di milioni di dosi) di un vaccino e di medicine antivirali e antibiotiche.
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