Categoria: alimentazione, farmacologia
Enterococchi negli alimenti: ruoli e potenziali pericoli
Marilena
Marino
Dipartimento
di Scienze degli Alimenti
Università
degli Studi di Udine
Igiene
Alimenti – Disinfestazione & Igiene Ambientale
Maggio/Giugno
2004
Estratto di un articolo del 2004 dove sono discusse le implicazioni connesse alla
presenza di enterococchi negli alimenti, con particolare attenzione
al loro ruolo batteri nella maturazione degli alimenti fermentati di
origine animale, ma anche all'emergenza sanitaria correlata alla
diffusione di ceppi resistenti agli antibiotici
Introduzione
Gli
enterococchi sono un gruppo di batteri lattici particolarmente
importanti in microbiologia ambientale, alimentare e clinica; sono
presenti in una vasta gamma di habitat, soprattutto grazie alla loro
elevata capacità di crescere e sopravvivere in ambienti ostili.
Poiché costituiscono una parte essenziale della microflora autoctona
nel tratto gastrointestinale dell'uomo e degli animali, possono
essere considerati come normali commensali del loro organismo.
La
presenza di Enterococcus faecalis ed E.faecium negli
alimenti è stata considerata per lungo tempo un indice di
contaminazione fecale: di fatto la sopravvivenza in ambienti ostili,
la resistenza a condizioni frequenti di pH ambientale ed alle
concentrazioni saline elevate, sono dei prerequisiti per far sì che
un microrganismo venga considerato un indicatore di contaminazione.
Attualmente, tuttavia, l'opinione più diffusa è quella che
considera gli enterococchi una parte normale della microflora degli
alimenti e non solo degli indicatori di scarsa igiene.
Presenza
degli enterococchi negli alimenti
La
presenza degli enterococchi nel tratto gastrointestinale degli
animali può facilmente portare alla contaminazione delle carni nel
corso della macellazione, infatti ceppi di E.faecalis ed E.faecium
sono stati isolati nei tagli di carne bovina e suina fresca,
insaccati cotti a base di carne suina e carni fermentate come salame
e salsicce, dove questi batteri possono moltiplicarsi grazie alla
loro capacità di resistere a condizioni estreme di temperatura, pH e
concentrazioni saline.
Gli
enterococchi sono, tra i batteri non sporigeni, i più
termotolleranti; per questo motivo possono creare problemi di
alterazione nelle carni nonostante i trattamenti termici cui vengono
sottoposte, anche se questi portano la temperatura al cuore del
prodotto a valori di 60-70°C; la sopravvivenza di E. faecalis
ed E. faecium a questi trattamenti è la premessa alla
comparsa di fenomeni di deterioramento in prodotti carnei
pastorizzati. La termoresistenza degli enterococchi in questo tipo di
prodotti è influenzata dalla presenza di componenti come il sale, i
nitriti ed i tessuti carnei; per prevenire lo sviluppo di alterazioni
è necessario limitare il più possibile la contaminazione iniziale
delle carni ed adeguare le temperature di trattamento alla resistenza
termica degli enterococchi isolati dalle carni. Anche la presenza
degli enterococchi nei prodotti caseari è stata a lungo considerata
un indice di condizioni igieniche inadeguate nel corso della
produzione e dei successivi trattamenti del latte legata a episodi di
contaminazioni dovute a feci bovine, acque di lavaggio, attrezzature
utilizzate durante la mungitura e serbatoi per il latte.
Attualmente,
invece, l'opinione della maggior parte degli autori è quella di
suggerire l'ipotesi secondo cui la presenza degli enterococchi in
alcuni formaggi potrebbe invece essere auspicabile, poiché
contribuiscono alla sviluppo di aroma nel corso della maturazione,
poiché l'alta quantità di enzimi proteolitici che producono
degradano la caseina del latte, incrementando la concentrazione di
gruppi amminici e frazioni azotate solubili, con conseguente
miglioramento di sapore, aroma, colore, struttura e profilo
sensoriale globale dei formaggi; tra gli effetti positivi correlati
alla presenza di enterococchi nei formaggi vanno anche ricordati
l'idrolisi dei grassi del latte a opera di esterasi specifiche e la
formazione di aromi tipici legati a composti quali acetaldeide,
acetoino e diacetile. In ragione del loro ruolo nello sviluppo dei
fenomeni biochimici correlati alla maturazione ed alla formazione di
composti dell'aroma nei formaggi, alcuni autori hanno proposto
l'inclusione di alcuni ceppi di enterococchi in miscele di starter
per diversi formaggi europei (Mozzarella, Feta greca ecc.).
L'isolamento
di enterococchi in un gran numero di formaggi, specialmente quelli
prodotti con metodiche artigianali utilizzando latte crudo o
pastorizzato e anche in innesti naturali a base di latte o siero,
utilizzati per la lavorazione di molti formaggi italiani prodotti con
latte crudo o pastorizzato, può essere dovuto alla resistenza
termica di questo tipo di microrganismi, in grado di resistere ai
processi di pastorizzazione del latte crudo di buona qualità e alla
successiva incubazione a 42-44°C per 12-15 ore, condizioni che
favoriscono la selezione di batteri lattici termofili e
termoresistenti, solitamente Streptococcus thermophilus ed
Enterococcus spp.
La
predominanza del gruppo microbico degli enterococchi nel corso del
processo di stagionatura dei formaggi è legato alla loro capacità
di crescere in un ampio intervallo di temperature e la loro
tolleranza ai trattamenti termici, all'elevate concentrazioni saline
e all'elevata acidità.
Un
potenziale problema legato alla presenza di enterococchi negli
alimenti fermentati quali insaccati, formaggi, vino, birra, olive e
prodotti a base di pesce è correlato alla produzione di ammine
biogene, metaboliti che derivano dalla decarbossilazione degli
amminoacidi; quando queste ammine sono presenti in concentrazioni
elevate, come conseguenza di contaminazioni massicce, possono
verificarsi dei casi di intossicazione alimentare, i cui sintomi
possono essere anche molto intensi: emicrania, vomito, aumento della
pressione sanguigna e fenomeni allergici. I microrganismi coinvolti
nella produzione di ammine biogene negli alimenti possono appartenere
alla microflora starter come anche a quella contaminante. I formaggi,
in particolare, possono costituire un ottimo substrato per la
produzione e l'accumulo di ammine biogene, in particolare la
tiramina, da parte di ceppi di enterococchi in grado di
decarbossilare la tirosina.
Enterococchi
come produttori di batteriocine
Molti
ceppi di enterococchi, tra cui E. faecium ed E. faecalis,
producono batteriocine, peptidi attivi contro bersagli di membrana,
in grado di inattivare microrganismi simili alla specie che produce
la batteriocina, in genere altri enterococchi e Listeria
monocytogenes, un'altro microrganismo molto affine ad un enterococco
da un punto di vista filogenetico. Alcune enterocine sono attive nei
confronti di alcuni batteri lattici e di ceppi di Clostridium,
fra cui C. botulinum, C. perfringens e
C. tyrobutyricum.
Enterococchi
produttori di batteriocine sono stati isolati da un gran numero di
substrati alimentari, tra cui carni fermentate, prodotti
lattiero-caseari e vegetali; questi ceppi sono stati utilizzati come
agenti anti-Listeria nell'industria casearia, in particolare
in alcuni tipi di formaggi molli (Camembert e Taleggio), dove il pH
nella zona esterna aumenta a livelli che possono essere compatibili
con la crescita di L. monocytogenes. L'attività
batteriocinogenica degli enterococchi è stata testata con successo
anche nei confronti di Clostridium tirobutyricum, che causa
gonfiori nei formaggi a lunga stagionatura. L'utilizzo di colture
starter di ceppi di enterococchi produttori di batteriocine al fine
di incrementare la sicurezza sanitaria dei formaggi o di prolungarne
la conservabilità non è ancora praticato su scala industriale, ma
tentativi finalizzati a questo scopo sono auspicabili per il futuro.
Enterococchi
come probiotici
I
probiotici sono colture singole o miste di microrganismi che, se
ingeriti, sono in grado di produrre benefici nel consumatore
migliorando le proprietà della flora autoctona dell'ospite. Tra gli
effetti funzionali dei probiotici si possono includere l'inibizione
dei microrganismi patogeni, il rafforzamento della barriera mucosa
dell'apparato gastro-intestinale, l'effetto antimutagenico e
anticarcinogenico, la stimolazione del sistema immunitario e la
riduzione dei livelli di colesterolo nel sangue. La maggior parte
delle colture probiotiche sono di origine intestinale e contengono
bifìdobatteri e lattobacilli; tuttavia, anche microrganismi
appartenenti al gruppo degli enterococchi sono stati a volte
utilizzati come probiotici. Una coltura di E. faecium è stata
utilizzata con successo nel trattamento di disordini intestinali come
alternativa all'utilizzo di antibiotici; un altro tipo di coltura,
contenente Streptococcus thermophilus ed E. faecium, è
stata in grado di ridurre, nel breve termine, il livello di
colesterolo nel sangue. L'utilizzo di ceppi di enterococchi come
probiotici è, tuttavia, ancora in discussione: sebbene gli effetti
benefici di alcuni ceppi siano ormai assodati, l'emergenza relativa
ai ceppi antibiotico-resistenti ed all'incremento dell'associazione
di ceppi di enterococchi, con l'insorgenza di talune malattie
nell'uomo, hanno fatto sorgere in alcuni studiosi numerosi dubbi
sull'opportunità di utilizzare questi ceppi come probiotici. Il
timore che a livello del tratto gastrointestinale possano venire
trasferiti, ai ceppi di probiotici, geni che codificano per la
resistenza agli antibiotici o per taluni fattori di virulenza
contribuisce ad aumentare le perplessità.
Enterococchi
come patogeni opportunisti nell'uomo
Gli
enterococchi sono da tempo noti come importanti patogeni ospedalieri
che causano batteriemie, endocarditi, infezioni del tratto urinario e
di altri apparati. Negli Stati Uniti sono responsabili di circa il
12% di tutte le infezioni ospedaliere; tra i microrganismi causa di
queste infezioni prevale Enterococcus faecalis (80% dei casi)
mentre ceppi di Enterococcus faecium lo sono per la
percentuale restante dei casi.
La
batteriemia è la forma più comune di infezione da enterococchi, con
mortalità generalmente elevata probabilmente a causa delle
complicazioni della malattia; i fattori di rischio sono operazioni
chirurgiche cui i pazienti vengono sottoposti, traumi multipli o
precedenti terapie antibiotiche.
Altre
forme di infezione da enterococchi sono costituite da endocarditi
batteriche, infezioni del tratto urinario, specialmente in pazienti
ospedalizzati, infezioni del sistema nervoso centrale in neonati e
persone sottoposte a procedure di tipo neurologico, ascessi ed
episodi di sepsi addominali e pelviche. Un importante fattore che
contribuisce all'insorgere di superinfezioni enterococciche è
l'utilizzo di taluni antibiotici cui gli enterococchi sono
resistenti. In effetti, una causa specifica che contribuisce alle
caratteristiche di patogenicità degli enterococchi è la loro
resistenza ad una grande varietà di antibiotici: questa può essere
innata, e in questo caso è legata alla presenza di geni specifici
sul cromosoma o su plasmidi, oppure acquisita. Tra gli esempi di
resistenza innata si possono ricordare la resistenza alle
cefalosporine e ai beta-lattamici, mentre tra le resistenze acquisite
quella al cloramfenicolo, all'eritromicina ed alla vancomicina.
La
resistenza alla vancomicina è di grande interesse in quanto questo
antibiotico era, fino a qualche tempo fa, considerata l'ultima
risorsa per il trattamento delle infezioni da enterococchi a
resistenza multipla, non trattabili con le comuni terapie
antibiotiche.
L'elevata
resistenza agli antibiotici e la loro ampia diffusione nelle materie
prime alimentari di origine animale e vegetale sono i due elementi
chiave che contribuiscono al frequente ritrovamento di enterococchi
antibiotico-resistenti sia negli alimenti fermentati che non
fermentati; ceppi di questo tipo sono di fatto stati isolati da
prodotti a base di carne, prodotti lattiero-caseari, prodotti pronti
per il consumo e persino in colture proposte come probiotici. Nel
corso di un'indagine effettuata nel 1999, da formaggi europei sono
stati isolati numerosi ceppi di E. faecalis ed E. faecium
resistenti a molti antibiotici di uso comune nella terapia clinica;
lo stesso quadro emerge per quanto riguarda i prodotti carnei, dove
oltre il 70% dei ceppi isolati da pollame erano resistenti a
tetraciclina, eritromicina e vancomicina. Questi dati, piuttosto
preoccupanti, pongono la questione relativa al possibile
trasferimento nella catena alimentare di geni che codificano per la
resistenza agli antibiotici: esiste di fatto una forte evidenza
epidemiologica dell'esistenza di un legame stretto tra l'uso
massiccio di antibiotici in medicina umana ed animale e l'emergenza
relativa alla diffusione e persistenza di ceppi resistenti negli
alimenti di origine animale che potrebbero poi diffondersi nell'uomo.
L'emergenza relativa agli enterococchi antibiotico-resistenti pone di
fatto due importanti problematiche: il ruolo giocato da questi
batteri nella diffusione ambientale di geni legati alla resistenza
agli antibiotici e il rischio per la salute umana correlato
all'utilizzo massiccio di tali sostanze in agricoltura.
Bibliografia
Bourgeois
C.M., Mescle J.F., Zucca J., 1990 -
Microbiologia alimentare.
Aspetti microbiologici della sicurezza e della qualità. Tecniche
nuove/Milano.
Jay
J.M., 1996 - Modem food microbiology. Chapman & Hall, New York.
Tiecco
G.,1997 - Igiene e tecnologia alimentare. Edagricole, Bologna.
ciao, s
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