venerdì 29 giugno 2018

Uso del laccio emostatico (tourniquet) per fermare l'emorragia a livello degli arti. Studio sull'efficacia effettuato in un ospedale militare a Baghdad nel 2006

categoria: pronto soccorso, PHTLS, tourniquet

Uso del laccio emostatico (tourniquet) per fermare l'emorragia a livello degli arti. Studio sull'efficacia effettuato in un ospedale militare a Baghdad nel 2006


Lo studio sull’efficacia dell’uso dei lacci emostatici effettuato per più di 7 mesi nel 2006 in un ospedale militare a Baghdad (NCT00517166; ClinicalTrials.gov) ha coinvolto 2838 civili e militari ricoverati con ferite agli arti, 232 dei quali (8%) hanno ricevuto lacci emostatici. Lo studio ha valutato i tassi di sopravvivenza e l'esito degli arti cui era stato applicato il laccio emostatico distinguendo ulteriormente tra l'uso preospedaliero (PHTLS) e quello in ambito del dipartimento di emergenza (ED).


RISULTATI:
- dei 232 pazienti trattati con lacci emostatici 31 sono morti (13%); i tourniquet utilizzati quando lo shock non era ancora comparso sono associati ad alti tassi di sopravvivenza (90%)
- 194 pazienti hanno ricevuto lacci emostatici in ambito pre-ospedaliero e di questi 22 sono morti (11%)
- 38 pazienti hanno ricevuto i lacci emostatici in reparto di emergenza (emergency department; ED) e 9 di loro sono morti (24%)
- 4 pazienti (1,7%) hanno riportato una paralisi transitoria del nervo a livello del laccio, ma nessuno dei 232 pazienti trattati con laccio ha subito una amputazione esclusivamente per l’uso del laccio emostatico



CONCLUSIONI
I tourniquet utilizzati quando lo shock non è ancora comparso sono associati ad alti tassi di sopravvivenza (90%). Questo si intuisce anche confrontando la percentuale di morti nel gruppo di pazienti trattati precocemente in ambito preospedaliero (194 soggetti; 22 morti/11%) rispetto al gruppo arrivato all’ospedale senza essere stati trattati con laccio emostatico (38 soggetti; 9 morti/24%). I pazienti del secondo gruppo hanno ricevuto il laccio probabilmente più tardi rispetto all’altro gruppo e le loro condizioni, a causa del ritardato controllo dell’emorragia, dovevano essere state mediamente peggiori, quindi più probabile lo stato di shock.
L’osservazione su tutti i pazienti trattati con laccio emostatico ha evidenziato solo una bassa percentuale di effetti collaterali transitori (paralisi transitoria del nervo a livello del laccio; 1,7%) e nessuna amputazione all’arto trattato con il laccio emostatico è da attribuire unicamente all’applicazione di questo mezzo di controllo dell’emorragia.

giovedì 28 giugno 2018

Tutte le virtù della Malva


categoria: alimenti di origine vegetale, fitoterapia

TUTTE LE VIRTÙ DELLA MALVA


Per trattare le contusioni Dioscoride Pedanio (40 d.C-90 d.C), consigliava un impiastro di foglie di malva e di salice.
La Malva silvestris (fam. Malvaceae) è una pianta erbacea bienne o perenne alta 30-90 centimetri. Comune nei prati e nelle siepi di tutta Europa, preferisce i luoghi umidi e può essere facilmente confusa con specie affini.
Le foglie della Malva sono tondeggianti, lungamente picciolate con tipico margine crenato, la lamina è sottile, leggermente pelosa. I fiori sono rossastri con caratteristiche venature violacee dovute al contenuto in antocianidine (es. Malvidina).



Conosciuta e apprezzata per le proprietà lenitive e antinfiammatorie, la Malva è stata ed è tuttora impiegata popolarmente in numerose patologie: dalle punture di insetto agli eritemi solari, dalla tosse agli ascessi dentali, alla congiuntivite. Un tempo utilizzata per fini alimentari, resta diffuso il suo impiego medicinale. Era considerata la pianta del benessere intestinale e della vescica, sotto forma di decotto, consumata cruda o cotta oppure usando il decotto per clisteri e semicupi (microclismi di glicerina, malva e camomilla).
In fitoterapia moderna si usano le foglie e i fiori, raccolti poco prima della completa fioritura. La droga contiene principalmente mucillagine (fino al 12-15%) contenenti acido galatturonico, solfati flavonoidici e tannini in piccole quantità. Sono presenti anche vitamine (esempio Gruppo B, C ed E), acidi organici (es. clorogenico e caffeico), antociani. Questi ultimi sono contenuti quasi esclusivamente nei fiori, che hanno invece pochissimi tannini.
I principali impieghi della Malva riguardano le malattie delle vie respiratorie (tosse secca e grassa, laringiti, faringiti) e quelle dell'apparato gastrointestinale (coliti, enteriti, gastriti). Molto diffuso è l'uso esterno per calmare le infiammazioni del cavo orale, in particolare di origine gengivale e dentaria. Come l'Altea, questa pianta è utilizzata nelle infiammazioni oculari. Da ricordare l'impiego nelle tisane per i disturbi delle vie urinarie, in associazione con Uva ursina e altre piante ad attività diuretica. Studi recenti hanno dimostrato inoltre che l'estratto acquoso di Malva è attivo nei confronti sia dei batteri Gram + che Gram -.


La Malva è utilizzata da sempre in cosmetica: gli estratti acquosi o glicerici sono attualmente inseriti nella formulazioni ad attività rinfrescante, decongestionante e idratante per pelli secche e sensibili. Questa pianta è presente nella Farmacopea Ufficiale ed è interessante notare come debba essere evitata la sofisticazione con altre specie congeneri e con la Lavatera thuringia. E bene prestare attenzione anche alla presenza della specie fungina Puccinia malvacearum, riconoscibile per le spore di colore rosso ruggine sulla pagina inferiore della foglia.

lunedì 25 giugno 2018

l'importanza della vitamina D

Categoria: farmacologia, prevenzione malattia

L'importanza della vitamina D

In una situazione di sopravvivenza di lungo termine, prevenire le malattie può essere quasi l’unica arma a disposizione della persona isolata, lontana da una qualsiasi forma di assistenza sanitaria. Il seguente articolo tratta dell’importanza della vitamina D.



Emergenza vitamina D. In calo tra gli italiani giovani e anziani
Gli ormoni che regolano i livelli di calcio e stimolano la crescita dei muscoli sono carenti tra giovani e anziani. La colpa è attribuibile a una dieta insufficiente a garantire giusti livelli di vitamina D ed alla crisi economica, che non permette di andare in vacanza e ricaricarne le scorte. Il problema è in crescita in Italia, soprattutto tra giovani e anziani.

Per preservare la massa ossea nell’arco della vita ci affidiamo alla vitamina D, un insieme di ormoni che il nostro corpo sintetizza durante il giorno attraverso la pelle, grazie all’esposizione alla luce solare.
Il ruolo della vitamina è quello di ottimizzare la disponibilità di calcio e stimolare la crescita del tessuto muscolare, ecco perché mantenerne un livello sufficiente è importante sia per i più piccoli che per gli anziani, nei quali può prevenire il rischio di fratture.

Nei mesi invernali, secondo gli esperti, questacarenza vitaminica colpisce l’80% delle donne over 70 e il 50% degli adulti; anche i giovani sono a rischioperché il tiepido sole invernale delle nostre latitudini non è in grado di stimolare la produzione della vitamina D.In pratica, al di sopra del 37° parallelo che passa pressappoco a livello della città di Catania, nel periodo invernale non vi è la possibilità di produrre adeguate quote di vitamina D attraverso l’irradiazione solare e questo fattore è accentuato nelle grandi città dove glialti livelli di inquinamento atmosferico determinanouna minore penetrazione dei raggi solari fino alla superficie terrestre. Si tratta di una situazione ampiamente documentata,alla base ad esempio dei numerosi casi di rachitismo osservati all’inizio del Novecento nelle città del nord Europa fortemente industrializzate. Nonsi salva nemmeno chi invece ha continuato ad andare al mare sfoggiando abbronzature evidenti, visto che la melanina, la sostanza che determina il colore scuro, agisce da schermo per i raggi ultravioletti. Anche lacrisi economica è chiamata in causa per spiegare i bassi livelli di vitamina D degli italianiperché fa diminuire il periodo che gli italiani passano in vacanza al mare e in montagna.
Anche la dieta non permette di sopperire alla carenza di questi ormoni, perché il pesce non sempre è presente sulle nostre tavole. Salmone e sgombro andrebbero mangiati almeno tre volte alla settimana, ma il menù degli italiani non sempre li prevede.

un pool di esperti italiani di tutte le discipline mediche hanno preparato delle linee guida allo scopo di far emergere il problema dell’insufficienza della vitamina D, la sua importanza per la salute scheletrica e numerose altre funzioni, individuare le condizioni di carenza e trattarle. Secondo gli esperti è necessario controllare regolarmente i propri livelli di vitamina D ed eseguire un’attenta anamnesi al fine di valutare quale possa essere lo stato vitaminico D.
Allegato 1

Supplementazione di calcio e vitamina D. Studio su JAMA fa discutere 10 gennaio 2018 

Il recente studio pubblicato su JAMA, che analizza i benefici della supplementazione di vitamina D e dell’integrazione di calcio nella prevenzione delle fratture ossee, può creare confusione in coloro che potrebbero trarne giovamento.
Per cercare di fare chiarezza, arriva un monito dell’American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR), l’ organizzazione scientifica leader mondiale per gli esperti di salute ossea.Andiamo con ordine e vediamo prima cosa dice lo studio, poi la dichiarazione dell’ASBMR ed, infine, un commento del presidente della SIOMMMS.
Studio di JAMA
Il 26 dicembre è stata pubblicata su JAMA una metanalisi, ossia l’analisi di più ricerche sullo stesso argomento, realizzata da un gruppo di ricercatori guidati dal dottor Jia-Guo Zhao del Dipartimento di Chirurgia Ortopedica all’ospedale cinese di Tianjin [Association Between Calcium or Vitamin D Supplementation and Fracture Incidence in Community-Dwelling Older Adults: a Systematic Review and Meta-analysis . JAMA. 2017; 318: 2466-2482].
Questa metaanalisi ha preso preso in esame un periodo di 10 anni (dicembre 2006- dicembre 2016 ) ed ha selezionato un totale di 33 studi clinici randomizzati, che hanno arruolato complessivamente 51.145 partecipanti, che rispondevano ai criteri di selezione identificati dagli autori; e cioè: la popolazione analizzata doveva avere un’età superiore ai 50 anni e vivere nelle proprie comunità e cioè non in ospedali, case di cura o residenze assistite; gli studi dovevano analizzare l’effetto della supplementazione di calcio, di vitamina D o dell’associazione calcio-vitamina D avendo come “end point” le fratture da fragilità rispetto a placebo o nessun trattamento.Sono stati invece esclusi gli studi che includevano soggetti con osteoporosi secondaria da glucocorticoidi o che assumevano farmaci per l’osteoporosi, quelli che utilizzavano analoghi della vitamina D o preparati idrossilati della vitamina D e, infine,quelli che consideravano l’apporto di calcio e vitamina D con la dieta.
La metaanalisi di JAMA ha evidenziato come non vi sia un’associazione significativa tra l’assunzione di supplementi di calcio o di vitamina D o dell’associazione calcio-vitamina D con il rischio di frattura dell’anca rispetto al placebo o nessun trattamento (“end point “ primario dello studio). Non sono state inoltre riscontrate associazioni significative tra la supplementazione con calcio o vitamina D, o integratori combinati di calcio e vitamina D e l’ incidenza di fratture nonvertebrali, di fratture vertebrali o di fratture totali.
La conclusione degli Autori è che gli anziani non istituzionalizzati che assumono calcio o vitamina D oppure calcio più vitamina D hanno la stessa probabilità di subire fratture di quelli che non seguono alcun trattamento.
Dichiarazione dell’ASBMR
In considerazione dell’eco che i risultati della metaanalisi del Dottor Zhao stavano avendo su alcuni importanti organi di stampa statunitensi, quali il Washington Post, l’ASBMR, il 29 Dicembre u.s., ha diffuso una dichiarazione nella quale si chiarisce che, anche se lo studio riporta come non vi sia alcuna prova che i supplementi a base di calcio e vitamina D prevengano le fratture negli adulti di età superiore a 50 anni che non vivono in ospedali, case di cura o altre strutture, è fondamentale tenere presente che questa analisi si è concentrata sugli adulti sani. 
Di conseguenza, i risultati di questo studio non si applicano alle persone affette da osteoporosi o da altre malattie metaboliche dell’osso né a coloro che assumono farmaci protettivi dell’osso. Per questi, è necessario garantire un adeguato apporto di calcio e mantenere adeguati livelli di vitamina D affinché i loro farmaci siano efficaci nella prevenzione delle fratture.“Questi risultati possono causare confusione continua per i pazienti, i loro caregiver e i loro medici su chi dovrebbe e chi non dovrebbe assumere supplementi di vitamina D e calcio “, ha detto il professor Michael Econs, presidente dell’ ASBMR e professore di Medicina presso la Indiana University School of Medicine.” È importante che ognuno comprenda le linee guida che riguardano le proprie condizioni di salute e i propri rischi”.
Il commento dell’ASBMR prosegue sottolineando che per gli adulti con più di 50 anni in buona salute che vivono nella comunità, si dovrebbe mirare ad ottenere il necessario fabbisogno di calcio con la dieta da alimenti come latte, verdura, frutta e legumi. La vitamina D è presente in alcuni alimenti ed è sintetizzata nella cute e può essere ottenuta attraverso l’esposizione quotidiana alla luce del sole. La nota dell’ ASBMR conclude affermando che ciò è in linea con le raccomandazioni aggiornate della Task Force Servizi Preventivi statunitensi dell’ ottobre 2017, anche se le raccomandazioni finali non sono ancora state pubblicate.
Commento del Presidente della SIOMMMS
Questa vicenda ci deve far riflettere su quanto sia importante interpretare correttamente i dati della ricerca onde evitare di diffondere messaggi sbagliati. Da un punto di vista generale occorre tener presente che non è corretto considerare i risultati delle metaanalisi come indicazioni da trasferire direttamente nella pratica clinica, in quanto sono ovviamente influenzati sia dalla qualità degli studi considerati che dai criteri seguiti per la loro selezione. In particolare , anche per quanto riguarda la metanalisi pubblicata su JAMA, è stato rilevato che non tutti gli studi presi in considerazione sono di “qualità” elevata ed inoltre presentano differenze importanti per quanto riguarda dosi, tipo e modalità di somministrazione della vitamina D ed inoltre l’uso del calcio in associazione alla vitamina D nei vari studi è risultato essere poco consistente, tutto ciò può avere influito sui risultati.
Nonostante questi limiti, il messaggio che possiamo ricavare dal lavoro di Zhao e coll. è chiaro e cioè la supplementazione con calcio e vitamina D va fatta nei soggetti che che ne hanno bisogno e non nella popolazione generale magari proponendola come trattamento universale al di sopra di una certa età.
Nella popolazione generale adulta vanno invece promosse campagne educazionali con l’obbiettivo di far raggiungere un adeguato apporto di calcio e vitamina D attraverso una corretta alimentazione ed una adeguata esposizione alla luce solare. E’ noto però come tali norme comportamentali non siano generalmente sufficienti a ripristinare i valori normali di vitamina D in chi ne e’ carente; in tali casi si rende necessario suggerirne una supplementazione.
Il raggiungimento di adeguati livelli di vitamina D è di particolare importanza nei soggetti affetti da osteoporosi in quanto, come ci ricorda la Nota AIFA 79, una carenza di vitamina D riduce in maniera significativa l’effetto dei farmaci anti-fratturativi, sia anti-riassorbitivi che anabolici. Il dosaggio sierico della 25OHvitamina D è sicuramente opportuno per stabilire la presenza e l’entità della carenza di vitamina D. E’ infine importante ricordare come nei pazienti osteoporotici, e/o con elevato rischio fratturato, la supplementazione con calcio e vitamina D non può in nessun modo sostituire il trattamento farmacologico specifico.

Allegato 2
Linee guida su prevenzione e trattamento dell’ipovitaminosi D con colecalciferolo 
Guidelines on prevention and treatment of vitamin D deficiency 
S. Adami1, E. Romagnoli 2, V. Carnevale2, A. Scillitani3, A. Giusti4, M. Rossini1, D. Gatti1, R. Nuti5, S. Minisola2
1Unità di Reumatologia, Dipartimento di Medicina, Università di Verona;2Dipartimento di Medicina, Università La Sapienza, Roma; 3Unità di Endocrinologia, Ospedale S. Giovanni Rotondo, Foggia; 4Ospedale Galliera, Genova, Italia; 5Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Siena 
SUMMARY
The Italian Society for Osteoporosis, Mineral Metabolism and Bone Diseases (SIOMMMS) has elaborated the following guidelines about the definition, prevention and treatment of inadequate vitamin D status. The highlights are presented here. 
  • Daily vitamin D allowance ranges from 1,500 IU (healthy adults) to 2,300 IU (elderly with low calcium 
    intake). Since the average Italian diet includes around 300 IU/day, subjects with no effective sun exposure 
    should be supplemented with 1,200-2,000 IU vitamin D per day. 
  • The serum 25-hydroxy-vitamin D [25(OH)D] levels represents the most accurate way to assess vitamin D 
    repletion, even though there are still no standardized assay methods. 
  • Conditions of “deficiency” and “insufficiency” are defined by the following ranges of 25(OH)D levels: less 
    than 20 ng/ml and 20-30 ng/ml, respectively. 
  • In Italy, approximately 50% of young healthy subjects have vitamin D insufficiency during the winter months. 
    The prevalence of deficiency increases with ageing, affecting almost all elderly subjects not on vitamin D 
    supplements.
  • When a condition of deficiency has been identified, a cumulative dose of 300,000-1,000,000 IU, over 1-4 
    weeks is recommended. 
  • In subjects recently treated for deficiency-insufficiency, a maintenance dose of 800-2,000 IU/day (or weekly 
    equivalent) is recommended. In patients on daily doses over 1,000 IU, 25(OH)D levels should be checked 
    regularly (e.g. once every two years). 
  • The highest tolerated daily dose has been identified as 4,000 IU/day. 
  • Vitamin D supplementation should be carefully monitored in patients at higher risk of vitamin D intoxication 
    (granulomatosis) or with primary hyperparathyroidism. 
  • In pregnant women, vitamin D supplements should be given as in non-pregnant women, but bolus administra- 
    tion (i.e.: single dose >25,000 IU) should be avoided. 

Reumatismo, 2011; 63 (3): 129-147