categoria: farmacologia
Terapia
antibiotica nelle infezioni delle vie respiratorie
Gli
antibiotici sono tra i farmaci più prescritti e le infezioni a
carico dell'apparato respiratorio rappresentano il principale motivo
di prescrizione di un antibiotico da parte del medico.
Le
infezioni delle vie respiratorie spesso sono di origine virale e
comunque, se batteriche, sono autolimitanti, quindi la prescrizione
di un antibiotico è inutile (quando l'agente infettivo è un virus)
o prematura, quando l'infezione batterica è destinata comunque a
essere vinta dalle difese organiche del paziente.
Rimandare
l'uso dell'antibiotico, in attesa dell'esito della battaglia fra le
difese organiche e l'agente infettivo batterico, non è fatto solo
per fare risparmiare soldi al Servizio Sanitario Nazionale sulla
pelle del paziente, ma perchè quando si usano in maniera irrazionale
ed eccessiva gli antibiotici, si dà modo ai batteri di diventare
immuni alla loro azione, “resistente” (oltre a esporre il
paziente agli effetti collaterali della terapia antibiotica); il
problema della resistenza agli antibiotici è aggravato dal fatto che
la scoperta di nuovi antibiotici è al minimo storico. D’altra
parte, strategie di intervento volte a ridurre l’utilizzo di
antibiotici hanno talvolta portato a risultati opposti, dove alcuni
studi hanno registrato un’associazione tra la riduzione della
prescrizione di antibiotici e l’aumento della mortalità del
paziente.
Queste
due opposte esigenze terapeutiche costringono il medico a
identificare con accuratezza i pazienti da trattare con
l'antibiotico, quelli a rischio di sviluppare complicanze, subito o
dopo accertamenti. I pazienti da trattare sono:
quelli
che stanno cronicamente malati (unwell);
quelli
che hanno segni o sintomi suggestivi di una malattia o di una
complicanza grave (polmonite, mastoidite, ascesso peritonsillare,
complicazioni retrorbitali o intracraniche);
quelli
che sono a rischio di complicanze per malattie preesistenti
(cardiache, polmonari, renali, epatiche, neuromuscolari,
immunitarie, fibrosi cistica);
i
pazienti con età maggiore di 65 anni, affetti da tosse insorta
acutamente e almeno due dei seguenti criteri oppure più di 80 anni
ed uno dei seguenti criteri: ospedalizzazione nell’anno
precedente, diabete, scompenso cardiaco, terapia steroidea.
L'elevata
incidenza di sindromi virali influenzali (influenza stagionale,
influenza pandemica, altre forme virali di tipo similinfluenzale),
possono confondere il medico o generare il dubbio sulla necessità di
una terapia antibiotica.
In
inverno si assiste ad un picco di prescrizione di antibiotici durante
il periodo delle epidemie influenzali ed è verosimile ritenere che
non tutte siano correlate ad una diagnosi di polmonite secondaria o
comunque di complicazioni batteriche. Questo fatto è stato
analizzato diffusamente e le interviste alla classe medica evidenzia
le notevoli “pressioni” che essi ricevono dai pazienti, per
vedere prescritto loro un antibiotico, anche quando le infezioni
sono allo stadio iniziale o benigne e non hanno bisogno e non
beneficeranno di antibiotici.
Le
prescrizioni “difensive” di antibiotici da parte dei medici
sembrano essere moltissime (il NICE scrive che il 97% dei pazienti
che chiedono antibiotici ricevono comunque la prescrizione richiesta
anche quando non indicata) perchè i pazienti non comprendendo che la
loro condizione migliorerà da sola, anche senza la terapia
antibiotica o che gli antimicrobici non sono efficaci nel loro caso,
o peggio, possono comportare dei rischi.
La
consapevolezza della popolazione riguardo l’uso degli antibiotici è
ancora insufficiente e comunque non uniforme tra le classi sociali e
le diverse realtà territoriali e ciò richiede grande attenzione dal
momento che, ad esempio, sono spesso i genitori a somministrare
antibiotici ai propri figli in modo improprio o a chiederne la
prescrizione al medico.
Secondo
uno studio curato dalla British Infection Society, British Toracic
Society e dalla Health Protection Agency, i pazienti con diagnosi
clinica di influenza potrebbero essere suddivisi nelle seguenti
categorie:
Pazienti
senza gravi malattie preesistenti
Non
è indicato l’uso di antibiotici. Se, in questi pazienti, la
febbre persiste oltre la normale durata dell’influenza o ricompare
o peggiora la sintomatologia respiratoria, si può prendere in
considerazione la prescrizione di un antibiotico.
E'
una prassi abituale del medico di medicina generale (MMG) indicare,
nel corso della prima visita, una prescrizione “ritardata” di
antibiotici, istruendo adeguatamente il paziente quando cominciare
l’antibiotico al peggioramento dei sintomi;
Pazienti
con broncopneumopatie cronico ostruttive (BPCO) o altre gravi
malattie preesistenti
L’uso
di un antibiotico è da prendere fortemente in considerazione già
alla prima visita.
Il
problema delle riacutizzazioni di bronchite cronica
La
diagnosi di riacutizzazione di bronchite cronica è quasi
esclusivamente clinica. Essa viene definita come “un prolungato
peggioramento dello stato del paziente rispetto alle condizioni di
base, al di là delle normali variazioni giornaliere, a esordio
acuto e che richiede un trattamento aggiuntivo”. A fini pratici, il
medico deve rilevare la presenza di:
sintomi
maggiori (incremento della dispnea e dell’espettorato, espettorato
purulento);
sintomi
minori (tosse, sibili, senso di costrizione toracica, respiro
corto).
La
frequenza delle riacutizzazioni di bronchite cronica è stata messa
in relazione al declino della funzionalità respiratoria ed al
peggioramento della qualità di vita del paziente.
Il
ruolo degli antibiotici nella loro terapia è stato oggetto di
numerose discussioni, ma numerosi studi clinici ne hanno dimostrato
l’efficacia, cioè i pazienti trattati con antibiotici avevano una
risoluzione dei sintomi più veloce ed una più alta percentuale di
successi terapeutici rispetto ai non trattati, con beneficio maggiore
per quei pazienti con sintomi più gravi (incremento della dispnea,
dell’espettorato ed espettorazione purulenta).
I
soggetti affetti da bronchite cronica presentano una alterazione
significativa dei meccanismi di difesa polmonare e per questo motivo
le loro secrezioni bronchiali possono contenere batteri
potenzialmente patogeni in alte concentrazioni. Tale colonizzazione
ha un impatto negativo sulla storia naturale della malattia e
giustifica l'utilizzo degli antibiotici.
Naturalmente
anche altri fattori, intrinseci al paziente (fumo, età, coesistenza
di più patologie diverse in uno stesso individuo) od estrinseci
(specie batteriche e resistenze, inquinamento ambientale) concorrono
a ridurre progressivamente nel tempo la funzione polmonare.
Quali
antibiotici usare
Secondo
le Linee Guida ERS (European Respiratory Society), gli antibiotici
prescrivibili sono l’amoxicillina associato o meno con l'acido
clavulanico, le tetracicline, i macrolidi, le nuove cefalosporine ed
i fluorochinolonici (moxifloxacina e levofloxacina).
Le
tetracicline siano di fatto molto poco usate in Italia;
l’amoxicillina è raccomandata al dosaggio di tre compresse da 1
grammo al giorno.
I
macrolidi presentano dati di resistenza dello Streptococcus
pneumoniae del 40% in Italia. Per i fluorochinolonici c’è
indicazione al trattamento solo per le forme più gravi, inoltre la
moxifloxacina è stata sottoposta dall’AIFA (Agenzia Italiana del
Farmaco) a nota informativa precauzionale a causa dei suoi effetti
tossici a carico del fegato.
Una
nuova opportunità terapeutica: il cefditoren pivoxil
Il
cefidtoren è una cefalosporina di terza generazione. In Italia questo farmaco è prodotto dalla ditta Zamboni con il nome di GIASION.
Il cefidtoren
è un profarmaco che viene attivato dopo l'azione degli enzimi
esterasi intestinali. L’assunzione delle compresse durante i pasti
favorisce l’assorbimento e la biodisponibilità di cefditoren.
Questa
cefalosporina ha una spiccata stabilità rispetto all’azione
delle betalattamasi ed un ampio spettro di azione nei confronti di
germi Gram-positivi e Gram-negativi, con particolare riferimento ai
patogeni responsabili di infezioni respiratorie:
Streptococcus
pyogenes, anche resistente ai macrolidi;
Streptococcus
pneumoniae, che è senza dubbio il patogeno più importante nelle
infezioni delle alte e basse vie respiratorie. Le resistenze in
Italia sono del 40% nei confronti dei macrolidi e del 16-20% nei
confronti delle penicilline e il cefditoren pivoxil si è dimostrato
più attivo in vitro nei confronti dello pneumococco anche
resistente a macrolidi e fluorochinolonici;
Staphylococcus
aureus meticillino-sensibile;
Haemophilus
influenzae anche produttori di betalattamasi;
Moraxella
catarrhalis.
Questa
cefalosporina colpisce le proteine enzimatiche batteriche che
provvedono al continuo modellamento della parete cellulare in
accrescimento (le PBP: Penicillin Binding Proteins). L’affinità
di cefditoren verso le PBP di S. pneumoniae e H. influenzae è
superiore a quella di altre cefalosporine.
Dal
punto di vista farmacodinamico, l’efficacia del ceftidoren pivoxil,
come di tutte le betalattamine, è tempo/dipendente, vale a dire che
è necessario mantenere per un tempo sufficientemente lungo le
concentrazioni dell'antibiotico nella sede di infezione.
Le
patologie trattate sono state le esacerbazioni acute di bronchite
cronica, le polmoniti acquisite in comunità, la sinusite mascellare
acuta, la faringotonsillite acuta e le infezioni non complicate della
cute e dei tessuti molli.
La guarigione clinica è stata generalmente definita come risoluzione dei segni e sintomi senza necessità di ulteriore terapia. Il fallimento terapeutico è definito come un peggioramento o un non miglioramento dei segni e sintomi clinici.
Il profilo di tollerabilità del ceftidoren pivoxil è risultato essere molto buono, con lievi effetti collaterali.
Le tradizionali cefalosporine di prima generazione possiedono una buona attività nei confronti dei Gram-positivi ma molto scarsa nei confronti dei Gram-negativi ed inoltre richiedono somministrazioni più frequenti rispetto alle cefalosporine di seconda generazione, che sono più attive nei confronti dei Gram-negativi ma meno verso i Gram-positivi.
Le infezioni di cute e tessuti molli
Le infezioni di cute e tessuti molli (SSTIs, skin and soft tissue infections) sono un gruppo eterogeneo di patologie di frequente osservazione in Medicina Interna, che si manifestano con caratteristiche diverse per quanto riguarda la sede, la localizzazione, le caratteristiche cliniche e l’agente eziologico. Cute e tessuti molli sono una delle sedi più frequenti di infezione batterica nell’uomo, ma a causa dell’ampia variabilità delle SSTIs una determinazione precisa della loro incidenza (incidenza ~ 24,6 per 1.000 soggetti/anno) e prevalenza (pazienti ospedalizzati prevalenza stimata 7-10%) risulta difficile. L’incidenza aumenta in relazione all’invecchiamento della popolazione, nei pazienti critici, negli immunocompromessi (neoplasie, HIV, trapiantati) ed in relazione ai patogeni multiresistenti.
La gravità dell’infezione varia in relazione alla profondità dei piani interessati, alle condizioni cliniche del paziente, alla presenza di comorbilità ed alla “resistenza” del patogeno.
La Food and Drug Administration(FDA) esclude dai trials clinici le infezioni necrotizzanti profonde, per le quali è prevedibile un esito sfavorevole e classifica le SSTIs come complicate e non complicate (1). Quelle complicate (cSSTI) coinvolgono i tessuti profondi, richiedono un significativo intervento chirurgico o si sviluppano in presenza di comorbilità che possono compromettere la risposta alla terapia. L’infezione è considerata complicata in presenza di una di queste cinque condizioni:
- coinvolgimento dei tessuti profondi, incluso grasso sottocutaneo
- necessità di intervento chirurgico
- coinvolgimento dell’area perianale
- infezione del piede diabetico
- presenza di fattori di rischio quali diabete mellito, immunocompromissione, obesità.
Queste infezioni includono gli ascessi complicati, le ustioni infette, le ulcere infette, le infezioni del piede diabetico e le infezioni degli spazi profondi. Per definire il livello di gravità è importante oltre la sede anche la dimensione della lesione, fattore decisivo per la stratificazione di gravità. Qualunque infezione che interessa una superficie superiore al 9% deve essere considerata grave, con l’eccezione delle infezioni delle mani e della testa. La testa e la mano rappresentano rispettivamente il 9% e il 2% della superficie corporea, ma le lesioni che interessano tutta la mano o metà della testa sono considerate gravi.
Articolo
originali:
“Quali pazienti trattare con terapia antibiotica nelle
infezioni delle vie respiratorie”
Alessandro
Rossi Area Infettivologica, SIMG
Rivista
della Società Italiana di Medicina Generale. Ottobre 2009
"Infezioni di cute e tessuti molli complicate"
Ido Iori
Direttore 1^ Medicina Interna, Centro Emostasi e Trombosi, Stroke Unit Azienda Ospedaliera – I.R.C.C.S. - A.S.M.N. Reggio Emilia