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lunedì 12 dicembre 2016

Acido acetilsalicilico

categoria: farmacologia, pronto soccorso, antiaggreganti piastrinici

Acido acetilsalicilico


Origine dell'acido acetilsalicilico: estrazione dalle foglie e corteccia del Salice




Il genere Salix L. appartiene alla famiglia delle Salicacee. Originario dell'Europa, Asia e Nord America, comprende circa 300 specie di alberi, arbusti e piante perenni legnose o fruticose, generalmente a foglia caduca; le specie arboree arrivano ai 20 metri di altezza.
Le foglie e la corteccia del salice sono menzionati in antichi testi medici egizi del II millennio a.C. (papiro Ebers, papiro Edwin Smith). Il celebre medico greco Ippocrate ne descrisse nel V secolo a.C. le proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie, ribadite e ulteriormente studiate da altri medici antichi, come Dioscoride e Plinio.
In modo meno documentato, le foglie e la corteccia del salice furono usati da molti popoli, anche primitivi, come gli Indiani d'America e gli Ottentotti, nonché dalla medicina popolare medioevale.


La Scuola medica salernitana, come già Dioscoride, attribuiva al salice proprietà antiafrodisiache.
Nel 1763 il reverendo inglese Edward Stone studiò le proprietà antimalariche della corteccia di salice. Benché fosse in errore nell'attribuire affinità tra il salice e il chinino, i suoi risultati dimostrarono inequivocabilmente le proprietà antifebbrili della corteccia di salice.
Nell'Ottocento i progressi della chimica permisero di isolare il principio attivo contenuto nella corteccia del salice: la salicina, isolata allo stato puro per la prima volta da Henri Leroux nel 1828. (Wikipedia)


Proprietà farmacologiche dell'acido acetilsalicilico: l'effetto antiaggregante piastrinico

L'acido acetilsalicilico (ASA) è l'antiaggregante piastrinico più utilizzato nel mondo.
Già a basse dosi, comprese tra i 75 e i 325 mg/die, agisce da inibitore irreversibile della COX-1, l'enzima che catalizza nelle piastrine la trasformazione dell'acido arachidonico in prostaglandina H2, precursore del tromboxano A2 (TxA2), induttore dell'aggregazione piastrinica. Essendo le piastrine cellule sprovviste di nucleo (anucleate), queste non sono in grado di sintetizzare nuovo enzima COX-1, essendo quello presente nella piastrina bloccato irreversibilmente dall'ASA.
A dosi superiori (~1g/die) l'ASA inibisce anche la COX-2 con i ben noti effetti analgesici e antipiretici, ma non si ha alcun vantaggio nell'inibizione dell'aggregazione piastrinica, che potrebbe potenzialmente anche ridursi per la contemporanea inibizione della produzione di prostaciclina (antiaggregante e vasodilatatore) da parte delle pareti vasali. Inoltre, a dosi maggiori aumentano i rischi di sanguinamento e la gastrolesività.
In ogni caso, la sola inibizione del TxA2 non è in grado di bloccare completamente l'aggregazione piastrinica, essendo molteplici i percorsi attraverso cui si può giungere all'attivazione e alla aggregazione piastrinica. Per questa ragione, spesso l'ASA viene associata ad altri farmaci antiaggreganti (es. clopidogrel, prasugrel, ticagrelor), che agiscono con meccanismi diversi.

Indicazioni terapeutiche
Numerosi studi hanno documentato l'efficacia dell'ASA nella prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari in pazienti con Sindrome Coronarica Acuta (SCA), storia di ictus o attacchi ischemici transitori (TIA) riducendo il rischio di infarti miocardici non fatali, ictus non fatali e morti per cause vascolari.

Effetti indesiderati e precauzioni
Gli effetti indesiderati più comuni sono di tipo gastrointestinale (dispepsia, gastriti erosive o ulcera peptica con sanguinamento e perforazione), dose dipendenti e possono essere in parte ridotti con l'assunzione durante i pasti o, se necessario, con inibitori della pompa protonica. Poiché la risposta clinica all'ASA non è dose dipendente, a differenza degli effetti indesiderati gastrointestinali, è sempre vantaggioso utilizzare la dose più bassa dimostratasi efficace.
L'ASA può provocare effetti indesiderati a carico dell'apparato respiratorio nello 0,3% circa della popolazione, percentuale che sale al 5-10% nei pazienti asmatici. I sintomi compaiono dopo 0,5-3 ore dall'assunzione e consistono in rinorrea, congestione nasale, lacrimazione, iperemia congiuntivale e/o broncospasmo.
Sono possibili reazioni di ipersensibilità che possono interessare la cute (orticaria e/o angioedema), reazioni sistemiche di tipo anafilattoide (ipotensione, edema laringeo, prurito generalizzato, tachipnea).
Per il suo effetto antiaggregante l'ASA non deve essere utilizzato o la terapia, se necessaria va attentamente monitorata, nei pazienti con tendenza ad episodi emorragici, storia di emorragia cerebrale o ictus emorragico, traumi recenti o interventi chirurgici, malattia peptica e sanguinamenti gastrointestinali.

Le informazioni per il paziente

L'impiego regolare di prodotti contenenti ibuprofene può interferire con l'effetto inibitorio sull'aggregazione piastrinica dell'acido acetilsalicilico. Questo effetto non sembra avere una particolare rilevanza per un impiego saltuario.

Molti, troppi tecnici medici complicati. In seguito conto di riprendere il testo per renderlo più comprensibile ai profani della materia e completare l'articolo con riferimenti al processo di coagulazione del sangue e patologie a esso riferibili

martedì 21 ottobre 2014

Salice e chinino, piante ad azione antipiretica

categoria: medicina, pronto soccorso

Il salice, la pianta da cui si estrae l'acido salicilico, era usato fin dall'antichità per le sue qualità curative.
Documenti egizi del 1500 a. C., parlano delle virtù antidolorifiche della corteccia e delle foglie della pianta e lo stesso fanno Ippocrate e dallo storico Erodoto, suo contemporaneo (V-IV secolo a. C.). Altre popolazioni, quali gli Ottentotti dell'Africa Sudoccidentale e i nativi americani, ne conoscevano le proprietà.
Dalla scoperta dell'America sino al XIX secolo il più diffuso antipiretico fu il chinino, estratto dalle bacche della china, di origine sudamericana. Tuttavia, il blocco continentale imposto da Napoleone nel 1806 fece a poco a poco riscoprire il salice come pianta officinale. Si narra però che il primo a rivalutarlo, e ad analizzarne le proprietà curative, fu il sacerdote inglese Edward Stone, che intorno al 1760 assaggiò per caso un pezzo di corteccia di salice e stabilì un'analogia tra l'amaro di questa pianta e quello del chinino.

Le scoperte più rilevanti sarebbero però arrivate nel XIX secolo, prima con l'estrazione dell'acido salicilico da parte di Raffaele Piria (1838), poi con quella dell'acido acetilsalicilico (in forma impura)
 da parte del francese Charles Frédéric Gerhardt (1853),
 per arrivare alla formulazione
 dell'Aspirina, il cui inventore
 ufficiale è Felix Hoffmann,
 chimico della Bayer (recenti rivelazioni danno però come vero ideatore lo scienziato 
ebreo tedesco Arthur Eichengrun).

Nota bushcraft: i rami giovani (i cosiddetti viminali) della pianta servono a realizzare cesti e in agricoltura possono servire per fare la legatura di piante.