Categoria: sopravvivenza, nucleare, meteorologia, alimenti
CHI E RADIOATTIVO NON SIA PASSIVO
INQUINAMENTO NUCLEARE: DUE MESI FA, CERNOBIL. CHE COSA CI È SUCCESSO, CHE COSA CI ACCADRÀ
Un articolo a carattere
divulgativo, della rivista “Salve” del 1986, sull’incidente nucleare di
Cernobyl, mette in risalto l’inadeguatezza delle strutture di controllo dei
livelli di radioattività e la scarsa conoscenza dei pericoli legati alla
ricaduta del pulviscolo radioattivo sul territorio italiano. Spero sia uno spunto di riflessione.
Che cosa sia davvero successo in
ogni regione italiana, in ogni nostra città, in ogni paese e in ognuno di noi
tra gli ultimi di aprile e i primi di maggio del 1986, i giorni della Nube, non
lo sapremo mai esattamente: la più solida certezza, nella sinistra e confusa
vicenda di Cernobyl è e rimarrà questa.
Il 26 aprile avveniva, nei pressi
di Kiev, in Unione Sovietica, quello che sappiamo. Ancora adesso i meteorologi
dicono che, in quella situazione del tempo e dato quel percorso
(Russia-Polonia-Svezia-Germania-Italia), il pulviscolo radioattivo derivante
dalla fusione del “nocciolo” di 18 tonnellate di materiale fissile sarebbe
dovuto arrivare da noi non prima del 2 maggio. In realtà, chissà come, è stato
più veloce: il 30 aprile la Protezione civile comunicava che, nella mattinata, “nelle
regioni centro-orientali del Nord Italia si è registrato un progressivo aumento
della radioattività”, senza fornire cifre, ma precisando che l'infausto evento
faceva già registrare “due volte il valore naturale di fondo”.
Espresso in quali unità di misura?
La radioattività è un fenomeno difficile da capire e ancora di più lo sono i
tanti modi per misurarla [si veda “Le misure del rischio”]: ci sono stati in
effetti grandi equivoci al proposito. Solamente il 2 maggio si è cominciato a
capire che stava succedendo davvero qualcosa di molto serio; e abbiamo dovuto
aspettare fino al 4 maggio perché nei comunicati della Protezione civile
cominciassero ad apparire delle cifre. Che non erano poi un granché: tre
stringati valori medi in aria, vegetali e latte relativi al Nord, al Centro e
al Sud. Se non si è mai riusciti ad avere di più (tranne le medie regionali per
i vegetali, dal 14 al 16 maggio, riportate nella tabella, non è perché l'ENEA
(il Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e
delle energie alternative), la stessa Protezione civile e il ministero della
Sanità si comportassero col riserbo sovietico, ma perché, presumibilmente,
avevano in mano un mucchio di dati parziali, disomogenei, scoordinati; e, in
pratica, non conoscevano neanche loro la situazione nel suo complesso. Il
quadro d'insieme è mancato (e non potremo mai ricostruirlo a modo del tutto)
perché mancava la rete di rilevamento, cioè una serie di stazioni dislocate
razionalmente addette a rilevare la radioattività ambientale. La colpa delle
autorità sta nel non aver mai detto pubblicamente quanti precisamente fossero,
e dove, i punti di rilevamento disponibili. Che la loro rete fosse tragicamente
inadeguata lo ha quasi ammesso, oltre un mese dopo l'inizio dell'emergenza, lo
stesso ministro Giuseppe Zamberletti, in un'intervista apparsa il 3 giugno sul
Corriere della Sera. Anziché un apparato organico avevamo soltanto, ha detto il
ministro, “una rete microscopica, collegata con le poche centrali nucleari”. Cui
va forse aggiunto qualche Centro di ricerche nucleari, qualche Istituto
universitario di fisica. Il tutto con una distribuzione geografica casuale, che
ha vanificato il pur grande lavoro, le pur numerose rilevazioni. È per via di
questa situazione che si è scoperto, dopo la fine dell'emergenza, che su Como e
Lecco erano piovuti molti più radionuclidi che sul resto della Lombardia, che
in Abruzzo c'era stato più fall-out di quanto si pensasse, e via dicendo:
evidentemente le misurazioni, in queste aree, o non erano state fatte, o erano
state fatte molto male. E chissà cos'altro si scoprirà ancora per caso. La
mancanza di rilevazioni secondo un metodo organico è stata aggravata dal fatto
che la ricaduta al suolo del pulviscolo radioattivo non è risultata omogenea su
tutto il territorio italiano, nemmeno suddiviso in Nord, Centro e Sud. In quei
giorni, infatti, si sono verificate condizioni meteorologiche molto anomale, l'aria
alle medie quote andava avanti e indietro, creando addensamenti e rarefazioni
del pulviscolo imprevedibili. Il 15 maggio, in una riunione all'università di
Milano tra esperti e ricercatori dello stesso ateneo, era comunicato che su due
campioni d'erba raccolti in due punti diversi del cortile dell'Istituto di
fisica erano stati rilevati valori diversissimi: uno era dieci volte più
radioattivo dell'altro. Non un caso unico: situazioni simili sono state
riscontrate in molti altri centri attrezzati per queste rilevazioni, solo che
sono in pochi a saperlo. Risultato? Alla fine di tutta questa fiera delle
incertezze e delle confusioni — ecco il motivo di questo lungo riepilogo
-premessa, ce ne scusi il lettore — nessuno di noi può veramente sapere quante
radiazioni si è preso. Forse qualcuno pochissime, ma qualcun altro quante?
Chissà…
A CIASCUNO LA SUA DOSE
Certo, non siamo al buio completo.
Sappiamo con certezza per esempio che almeno i quattro quinti della nostra dose
totale di radiazioni-Cernobyl ormai li abbiamo assorbiti, visto che il
pulviscolo inizialmente era fatto per il 65% di Iodio 131, ormai sparito, e
inoltre di vari altri radionuclidi a rapido decadimento, anche se restano il
Cesio 137 e 134, che ne costituivano rispettivamente il 5% e il 2%, e il più
temibile Stronzio, presente nella misura dello 0,3% con i quali avremo ancora a
che fare, sia pure in misura decrescente, nei prossimi anni.
Sappiamo anche che l'assorbimento
medio per individuo (stimato) è stato di 160 millirem per gli adulti e di 4-500
millirem per i bambini, che concentrano di più lo Iodio nella tiroide e, per la
loro vicinanza al suolo, sono maggiormente esposti all'irraggiamento diretto
del pulviscolo ricaduto. Così almeno afferma l'ENEA in un rapporto uscito il 10
giugno. Ma si tratta di una media teorica, cui è quasi assurdo riferirsi: lo
stesso ENEA precisa non per niente che la media al Nord è stata di 360
millirem, al Centro di 90 millirem al Sud di 30 millirem. E sono poi altre medie,
cioè altri valori teorici: perché al Nord un conto era trovarsi in Piemonte, un
altro in Alto Adige, un conto essere rimasti tappati in casa, un altro essersi
rotolati nei prati o essersi presi gli acquazzoni del 1° e del 2 maggio,
carichi di fallout.
“È evidente che ci devono essere
stati dei valori di punta molto più alti”, dice il professor Giampiero Tosi,
direttore del Servizio di fisica sanitaria dell'ospedale di Niguarda di Milano.
“Probabilmente in certi casi si è giunti all'assorbimento di un rem. O anche
più, in condizioni particolarissime. Ma anche facendo la peggiore delle
ipotesi, quella di una persona che non abbia osservato alcuna precauzione
alimentare e si sia trovata in una zona enormemente colpita, credo sia
impossibile che si siano superati i due rem”. Gli adulti, aggiungiamo noi. Che
succede se parliamo invece di bambini, per i quali si calcola la dose
moltiplicando per due o tre? Non drammatizziamo, tutti continuano a dirci; ma
non tranquillizziamoci nemmeno troppo. L'unico vero valore di queste medie,
inutili per capire quanto una singola persona sia stata colpita, è che servono
a far comprendere l'ordine di grandezza: cioè che fortunatamente siamo rimasti,
nonostante tutto, vittime di basse dosi e quindi di un basso rischio. Anche se
pare un po' esagerato dire, come dice l'ENEA, che “è come se tutti gli italiani
fossero andati a stare un anno a Viterbo”, dove la radiazione naturale di fondo
è la più alta d'Italia. Si potrebbe fare anche altre considerazioni, sul guaio
per esempio di considerare veritiera la media teorica di 160 millirem: è una
valutazione così tirata per i capelli che invece di tranquillizzare spaventa,
tanto è evidente in essa la volontà di minimizzare.
GLI ANNI CHE VERRANNO
Si è detto anche, con maggior
buonsenso, che ci sono esami radiografici che irradiano ancora di più. È vero:
un'urografia comporta, tre-quattro rem, una radiografia al torace, come
scrivevamo su queste colonne un mese fa, 100-200 millirem. Ma la radioattività
è una cosa strana, che ci ha colti tutti impreparati, sulla quale non si
finisce mai di imparare.
“In realtà sono raffronti che non
hanno molto significato radiobiologico”, dice il professor. Tosi, “perché in un
esame clinico la dose di radiazioni è assorbita in una frazione di secondo. In
questo caso si tratta invece di una irradiazione protratta, con radionuclidi
che vanno a fissarsi e a concentrarsi in certe zone dell'organismo. Quindi, a
parità di dose, col fall-out la ionizzazione e quindi il danno biologico sono
più elevati. Anche perché ci sono in gioco, inoltre, emissioni beta [si veda il
riquadro], assenti negli esami radiologici. Casomai sono più corretti i
raffronti con gli esami di medicina nucleare”. Che infatti vengono praticati
col misurino, con la massima cautela. Dunque, cosa ci ha fatto questa insondabile
Nube! Strana cosa le “basse dosi” di radiazioni: a molti, moltissimi, non
succederà proprio nulla; a pochissimi, rari sfortunati, accadrà invece qualcosa
di assai brutto. Ed è impossibile sapere preventivamente a chi [si veda ancora
il riquadro su come agiscono le radiazioni ionizzanti sulle cellule viventi]. “È
arduo fare previsioni attendibili sulle conseguenze di quanto è successo in
Italia, perché purtroppo non esistono studi dettagliati e precisi sugli effetti
dell'irraggiamento a basse dosi”, continua infatti il professor Tosi. “Ci si
basa su relazioni teoriche tra causa ed effetto, estrapolando linearmente, cioè
ricavando proporzioni dirette con gli effetti delle alte dosi, che sono ben
noti in seguito a Hiroshima e Nagasaki. Alcuni dicono che, estrapolando in
questo modo, si sovrastimano i danni; forse è vero, probabilmente la
proporzionalità non dev'essere lineare. Però sembra anche che le dosi di
Hiroshima siano state calcolate male, per eccesso, per cui i due errori si
compenserebbero. Faccio questa precisazione perché il pubblico di Salve possa
capire la ragione delle diatribe tra gli esperti su questo argomento. Dunque:
facendo i calcoli che si possono fare, attenendoci sia pure a malincuore al
valore medio di assorbimento di poco meno di 200 millirem per persona, possiamo
prevedere circa un centinaio di casi di cancro e alcune centinaia di casi di
leucemia in più nei prossimi 20 anni. Ciò significa che il rischio, pur reale
in termini statistici per la popolazione, è piccolissimo per il singolo
individuo. Ma, sia chiaro, questo non sposta di un millimetro il fatto che
tutto ciò sia stato e sia un avvenimento tragico”.
Situazione strana. È come trovarsi
in una piazza gremita di gente mentre qualcuno, dall'alto, lancia un sasso: è
chiaro che le probabilità di essere colpiti sono piccolissime, ma è altrettanto
chiaro che qualcuno inevitabilmente lo sarà. Come ci si comporterebbe in questa
circostanza? Scappare alla cieca sarebbe eccessivo, qualcuno finirebbe
calpestato, e in fondo il sasso è uno, non una grandinata; però sappiamo che
esiste il rischio che cada proprio su di noi. Allora ci si difende come si può,
facendo attenzione a dove può precipitare, mettendosi una mano sul capo per
attutire il possibile urto e soprattutto sperando che non colpisca proprio noi.
Proprio questo è il comportamento che ci conviene tenere nei confronti della
radioattività. Il rischio esiste, è reale anche se minimo. Vediamo tutto quello
che possiamo fare per minimizzarlo ulteriormente.
La Nube, dunque, a quanto si sa,
aveva questa composizione: Iodio 131, Tellurio 132, Rutenio 103, Cesio 137,
Stronzio 90, tracce di Plutonio 239 (ce n'erano anche altri, ma citiamo i
componenti più importanti; o per quantità, o per persistenza). Le radiazioni
provenienti dallo Iodio e dagli altri radioisotopi a decadimento rapido hanno
dunque colpito tutti, chi più chi meno: i loro effetti ormai «viaggiano» dentro
di noi (e non ci resta che sperare che sia un viaggio senza meta); però non ci
colpiranno più, perché questi radionuclidi non sono più attivi. Quelle del
Cesio e dello Stronzio ci hanno colpiti anch'esse (in quantità minore),
continuano a colpirci e ci colpiranno ancora per molto tempo, sia pure sempre
meno, a causa della loro progressiva diluizione (sono radioisotopi a
decadimento lungo) nell'ambiente.
Che possiamo fare, quindi? Due
cose: prima, cercare di venir a contatto il meno possibile con i radioisotopi
ancora attivi e in circolazione; seconda, vedere di neutralizzare gli effetti
di quelli che ci hanno già colpiti e continuano a colpirci dall'interno del
nostro corpo. Cioè, difesa passiva e difesa attiva.
LA DIFESA PASSIVA
Cibo per cibo, ecco le scelte da
fare e quelle da non fare, in base a ciò che si sa, per sbarrare la porta dell'organismo
alle sostanze radioattive dalla lunga vita.
Si tratta di evitare il più possibile
il contatto o l'ingestione di Cesio 137 (si dimezza in 30 anni), di Stronzio 90
(dimezzamento: 28 anni, ed emissione di sole radiazioni beta) e, per un tempo
più breve, di Cesio 134 (dimezzamento: 2 anni). Tra i vari radioisotopi
rimasti in giro, sono questi quelli con cui bisognerà fare i conti. La
diffusione di ciò che ci è provenuto da Cernobyl è schematizzata nella figura.
Lo schema illustra le vie attraverso le quali il materiale radioattivo emesso da una centrale nucleare, in seguito a un incidente, raggiunge l'uomo: aria, cibi, suolo, tutto contribuisce alla contaminazione.
Il Cesio (137 o 134) viene
metabolizzato dall'organismo come Potassio, perché di quest'ultimo ha la stessa
struttura chimica. Quindi si deposita un po' dappertutto, nel corpo, con una
certa preferenza per i muscoli. Fortunatamente, non vi permane a lungo:
mediamente, il Cesio che sia stato ingerito è espulso dopo 15-20 giorni di
“domicilio” nell'organismo. Più pericoloso, ma meno abbondante, lo Stronzio: è
metabolizzato come Calcio e fissato alle ossa, da cui non se ne va mai più.
Purtroppo ha un legame chimico più forte di quello del Calcio, e quindi, se un
atomo di Stronzio si trovasse a “competere” con uno di Calcio, sarebbe preferito
il primo. E, ad aggravarne il ruolo, c'è che emette radiazioni beta, più
“energiche” delle gamma e più dannose a distanza ravvicinata.
Orbene: dove troveremo questi
radionuclidi nei prossimi mesi e nei prossimi anni? Da quali alimenti e quali
sostanze sarà meglio stare un po' alla larga (soprattutto adesso, che la
diluizione nell'ambiente deve ancora in gran parte compiersi)? Ecco, qui ci si
trova in una di quelle situazioni che generano stupore e sconforto: non esiste
al mondo uno scienziato, un esperto solo, che sappia rispondere
dettagliatamente e con cognizione di causa. Quando si dice che con il nucleare
è come giocare col fuoco... “Purtroppo, non esistono norme di sicurezza certe
in questo campo”, conferma il professor Giulio Testolin, direttore della
cattedra della fisiologia della nutrizione all'università di Milano, “perché
noi scienziati non sappiamo quasi nulla di preciso sulle reali modalità di
diffusione dei radioisotopi nella catena alimentare, come e quali piante
veramente li assorbano. Per di più, il fall-out di Cernobyl non è stato uguale
dappertutto e non è nemmeno certo che sia stata costante ovunque la sua
composizione. Insomma, si può solo viaggiare a ipotesi. Io e i miei colleghi
potremo dare indicazioni chiare al pubblico solo se, nei prossimi tempi, verrà
attuato un capillare controllo della radioattività degli alimenti e saranno
diffusi dati coerenti e organici”.
Una considerazione: pensiamoci, a
queste cose, prima di dichiararci favorevoli o contrari all'energia nucleare,
pacifica o bellica che sia, checché ne dicano i rapporti ufficiali sui sistemi
di sicurezza. Ma, allora, che fare? Una sola via è possibile: senza
drammatizzare (perché è comunque vero che non si tratta di livelli ad alto
rischio), raccogliere tutti i dati disponibili, ragionare finché è possibile
con la propria testa, e nel dubbio astenersi, preferendo magari alimenti
provenienti da lontane parti del mondo occidentale (frutta, verdura e carni del
Sudamerica, per esempio). Ne avrà un danno l'economia nazionale? Ebbene: questo
danno lo evitino le autorità, istituendo davvero un severo e credibile
controllo degli alimenti, che consenta di informare correttamente i cittadini.
A mettere insieme un po' di dati e a ragionarci su ci prova, per cominciare,
Salve, con l'aiuto dei propri esperti.
ACQUA - Non dovrebbero esserci
problemi riguardo a quella da bere. La penetrazione dei radionuclidi è lenta e
anche lo Stronzio, quello che scende più in profondità, non arriva oltre i
50-100 centimetri sotto il suolo. Le falde acquifere sono molto più in basso.
CEREALI - Il grano (e quindi la
farina e tutti i suoi derivati, pane e pasta) dovrebbe essere salvo, perché
durante il peggiore fall-out non era ancora spigato. Però non si sa, anche se
pare poco probabile, se la sua radice assorba il Cesio e lo Stronzio. La
situazione del riso invece è più critica: secondo uno studio dell'ENEL (Codice
di calcolo per la valutazione delle dosi alla popolazione dovute agli scarichi
radioattivi) tende a concentrare il Cesio e lo Stronzio. E questo vale, a
maggior ragione, per le nostre risaie, che durante il fall-out erano già
allagate.
CARNE - È qui che elettivamente si
deposita il Cesio. Prima ne erano più contaminati gli animali di piccola taglia
e a metabolismo veloce che avevano mangiato vegetali freschi (conigli, pecore,
selvaggina eccetera). Domani il guaio riguarderà i bovini, che accumulano ogni
sostanza molto lentamente; soprattutto se saranno alimentati con foraggi
freschi o raccolti in questo periodo e non controllati. Perché proprio i
foraggi hanno la caratteristica di concentrare i radioisotopi. Nei prossimi
anni la situazione dovrebbe tuttavia migliorare perché il Cesio si diluisce
nell'ambiente e, comunque, quello che è stato ingerito viene anche eliminato.
In quanto allo Stronzio, resta nelle ossa degli animali, che dunque nel suo
caso fanno da benefico filtro.
CROSTACEI E MOLLUSCHI -
Contaminati. Secondo il già citato studio dell'ENEL concentrano i radioisotopi.
In particolare, le cozze anche 40 mila volte. Va tenuto presente che però nel
mare i radionuclidi si diluiscono.
PESCE - Come confermato dalle
recenti rilevazioni dell'ENEA, quello di mare non presenta problemi. Quello di
fiume e altre acque dolci, sì. Sia perché concentra il Cesio di per sé, sia
perché nei corsi d'acqua, in seguito alle piogge, si sono riversati i
radioisotopi che erano precipitati sui terreni. Non si pensi che la corrente a
quest'ora li abbia già trasportati in mare: dopo l'incidente del '57 alla
centrale scozzese di Windscale, si rivelò che mentre l'acqua dei fiumi aveva
valori di radioattività non preoccupanti, essi salivano moltissimo se si
analizzava invece il limo, il fango del fondo. Evidentemente, i radionuclidi si
depositano lì e da lì se ne vanno molto lentamente (contaminando di continuo i
pesci).
FRUTTA E VERDURA - Non si riesce a
capirci quasi nulla. Lasciamo perdere il discorso delle foglie larghe, valido
finché i radionuclidi piovevano dal cielo : ora sono sul e nel terreno. Quali
piante li assorbono? Una volta si pensava che il Cesio non venisse risucchiato
dalle radici, oggi molti sospettano di sì. È giunto così alle ciliegie del
Trentino? Non si sa. Soprattutto qui, sono pochi i dati discretamente certi:
c'è quello che le piante assorbono il 5-10% dei radionuclidi presenti in superficie;
e quello che essi sono maggiormente presenti nei vegetali in foglia e nella
frutta che negli altri (sempre tenendo per buono il già citato studio
dell'Enel). Forse l'unica cosa da fare è mangiare un po' di tutto, niente in
grande quantità.
LATTE E FORMAGGI - Anche qui i
pareri si sprecano. Ma sembra ragionevole non fidarsene troppo. Intanto perché
al Calcio, di cui latte e latticini sono ricchi, può essere frammisto lo
Stronzio, che è il suo «gemello» cattivo. E poi perché, secondo il professor
Testolin, i radionuclidi, in forma ionica, sono idrosolubili e se è vero che
molta dell'acqua del latte se ne va come siero, è anche vero che una certa
frazione di essa rimane pur sempre intrappolata nella cagliata. Quindi, per
questi prodotti non resta che invocare gli opportuni controlli e magari fidarsi
(ma con misura) di quei produttori che hanno dato prova di correttezza
dimostrando la propria innocenza in questo ultimo periodo fitto di accuse.
SALUMI - Si potrà stare tranquilli
se solo gli allevatori avranno pensato ad alimentare i suini con mangimi molto
ben controllati per un paio di mesi prima della macellazione, in modo da non
rinnovare la quota di Cesio già assorbita dalle loro carni. Ma occorrerà fare
comunque molta attenzione : perché il mangine per i maiali è fatto in buona
parte proprio col siero del latte (che accumula gran parte della radioattività
eventualmente presente nel latte stesso) scartato dalle industrie casearie.
LE MISURE DEL RISCHIO
Curie. È la quantità di
radioattività emessa. Un curie corrisponde alla radioattività di una sorgente che
emette 37 miliardi di disintegrazioni al secondo (più o meno come un grammo di
radio, il primo elemento, appunto, radioattivo studiato).
Il sottomultiplo
nanocurie è un miliardesimo di curie. Adesso questa misura è ufficialmente
sostituita dal becquerel, corrispondente a una disintegrazione al secondo.
Rem. Indica la quantità
dell'effetto biologico delle radiazioni: il danno è diverso a seconda che sia
determinato dai raggi gamma o alfa o beta; dipende anche dalla loro energia. "Rem" sono le iniziali di “Rad equivalent man”: si tratta di un effetto
biologico da radiazioni equivalente a quello provocato da un rad di raggi X sul
tessuto umano (rad è l'unità di misura della
radiazione assorbibile da una
sostanza: è uguale a 100 erg di energia per grammo di materia). Millirem è un
millesimo di rem. Questa misura comunque è stata recentemente sostituita,
almeno in teoria, dal sievert, uguale a 100 rem.
Tempo di dimezzamento. È il tempo
necessario a un certo radioisotopo per veder dimezzare il numero dei suoi
radionuclidi instabili, e quindi la quantità di radiazione ionizzante che
emette. La vita media è un valore simile a questo, ma non è la stessa cosa:
corrisponde a 1,443 del tempo di dimezzamento. Il tempo di decadimento è invece
il tempo che occorre a un radioisotopo per veder cessare tutta la sua
instabilità e quindi per trasformarsi in un altro elemento, che si chiama
”prodotto di decadimento”: equivale a molti dimezzamenti successivi.
LA DIFESA ATTIVA
E contro le radiazioni che,
comunque, già ci siamo presi, ci stiamo prendendo e ci prenderemo nei prossimi
anni? Un'alimentazione equilibrata, un prodotto del lavoro delle api (se salirà
al di sopra dei sospetti) e, soprattutto, i cosiddetti antiossidanti naturali:
le vitamine A, C,E e il selenio.
Abbiamo detto che cosa evitare.
Ma si tratta, è evidente, di difese parziali: le radiazioni ormai le abbiamo
prese; quelle dello Stronzio 90, fissatosi nelle nostre ossa, per poche che
siano, ce le terremo; un pò di
Cesio, anche adottando tutte le precauzioni che si sono dette, continua e
continuerà a entrare nel nostro corpo (ma per fortuna non vi rimane più di
15-20 giorni). Insomma: nessuno può pensare di chiudersi sotto una campana di
vetro e restare completamente immune al dopo-Cernobyl. Si può, piuttosto,
mettere in pratica una difesa attiva, cioè fare anziché non fare, dall'azione
delle radiazioni ionizzanti?
Diciamo subito: sono anche questi
campi che la scienza ha indagato abbastanza poco, per cui può darsi che
esistano armi efficaci che non conosciamo, che ancora non abbiamo scoperto.
Però qualcosa, anche se poco, si può fare già oggi. Contro le radiazioni già
assorbite, da radionuclidi non più attivi, si può intervenire in una minima
misura: i radicali liberi hanno ormai agito sul Dna, si può solo sperare che
non sia successo nulla. Però permane un effetto secondario e meno noto delle
radiazioni ionizzanti: “Una riduzione delle difese immunitarie si verifica
anche nei casi in cui non si generano mali peggiori”, dice il professor Luciano
Pecchiai, primario patologo all'Ospedale dei bambini “Vittore Buzzi” di Milano.
“Per prevenire il conseguente incremento delle malattie da immunodeficienza,
quelle dovute appunto alle scarse difese dell'organismo, io suggerisco intanto
un'alimentazione il più possibile equilibrata e naturale. È un modo per
rinforzarci al meglio ed evitare che i danni delle radiazioni siano amplificati
da quelli che provocano le varie sostanze inquinanti, a volte presenti nei
cibi. In secondo luogo, consiglio l'uso regolare di un prodotto delle api, la
propoli, che svolge un 'importante funzione immunomodulante”. A patto che non
salti fuori ufficialmente, come già si sente dire, che anche i frutti
dell'alveare sono adesso radioattivi... Di più, invece, si può contro le
radiazioni ionizzanti che continuano a colpirci. La maggior parte dei danni ad
esse addebitabili [si veda il riquadro] passa attraverso la formazione, nelle
cellule, di radicali liberi. Quindi le si può combattere, anche se non si
tratta di una difesa totale, con le sostanze capaci di bloccare questi radicali
liberi. Quali? I cosiddetti antiossidanti naturali: cioè le vitamine A, C, E e
un oligoelemento, il selenio. Bisognerebbe dunque includerli,
adesso e nei prossimi mesi e anni, sempre in una certa quantità nell'alimentazione
quotidiana.
La vitamina A si trova in forma
subito utilizzabile nella lecitina di soia e nel mirtillo nero. Molto più
comune è però il carotene, suo precursore (vuol dire che è nel nostro organismo
che si trasforma in vitamina A), e abbondante nelle carote, nella frutta rossa,
in molte verdure.
La vitamina C, lo sanno tutti, è
presente un pò in tutta la frutta e la verdura. In particolare ce n'è molta
negli agrumi, nei peperoni e nella rosa canina.
La vitamina E, oltre che nel latte
e i suoi derivati, si trova nelle arachidi e in tutti gli oli, soprattutto in
quello di germe di grano.
II selenio, invece, è un problema:
in teoria se ne trovano tracce un pò in tutti i vegetali, ma la quantità
risulta apprezzabile solo se le piante crescono in terreni ricchi di questo
elemento. Quindi è molto diffìcile dire che cosa consumare in particolare, tra
le tante verdure disponibili: tanto più che, sfortunatamente, recenti ricerche
hanno rivelato che nel suolo italiano c'è pochissimo selenio.
Va tuttavia segnalato che esistono
alcuni prodotti farmaceutici e dietetici che comprendono nella loro
composizione appunto il selenio, oltre a diverse vitamine …. (cancellato il
nome commerciale).
GLI AGENTI DEL DISORDINE
Raggi alfa, beta, gamma: il
ventaglio della radioattività. È capace di portare lo scompiglio in tutte le
materie, ma soprattutto in quella vivente. I danni che le provoca sono spesso
interamente riparabili. Non sempre, però: è tutta questione di probabilità.
Radioattività è il fenomeno fisico
per cui certi atomi, in stato di “instabilità”, tendono ad assumere in un tempo
più o meno lungo una forma stabile a più bassa energia: durante questo processo
emettono energia.
Cosa, esattamente, sputano fuori?
Raggi diversi, che vanno sotto il nome comune di radiazioni ionizzanti: cioè
raggi gamma (energia elettromagnetica che passa attraverso la materia, parente
di quella dei raggi X), alfa (particelle corpuscolari “pesanti”, in pratica
nuclei di atomi di elio, che penetrano poco nella materia, nemmeno un
millimetro, ma con relativa violenza) e beta (particelle molto più piccole,
elettroni ad alta velocità con una capacità di penetrazione e di distruzione a
metà strada tra quella dei gamma e degli alfa). Alcuni radionuclidi — così si
chiamano gli atomi instabili di certi elementi (i radioisotopi) — emettono solo
radiazioni alfa (come il pericolosissimo Plutonio); quasi tutti i rimanenti
emettono beta e gamma, mentre lo Stronzio e pochi altri solo beta. Tutte queste
radiazioni, come si è detto, esercitano un'azione violenta sulla materia in cui
s'imbattono: scontrandosi con gli atomi, o portano loro via degli elettroni
creando così uno squilibrio elettrico che si chiama ionizzazione (gli atomi
colpiti diventano appunto ioni), o glieli spostano di orbitale (ed “eccitano” gli
atomi stessi). In entrambi i casi, le radiazioni ionizzanti creano un gran
disordine: energia e particelle urtate da tutte le parti, e non è detto che
tutto riesca a tornare poi allo stato di quiete di prima. Questi è ancora più
grave quando gli atomi colpiti appartengono a strutture molecolari delle
cellule viventi. Il motivo è facilmente comprensibile se esaminiamo, appunto,
gli effetti della radiazione ionizzante sulla materia vivente. La sua azione
distruttrice più frequente è indiretta, "frantuma" le molecole d'acqua,
numerosissime nei nostri tessuti: ne risultano molecole di acqua ossigenata e
ioni H+ e OH-, cioè i famosi radicali liberi, oggi
accusati di una grande quantità di malefatte tra cui il cancro e la senescenza.
Possono per esempio reagire con le molecole del Dna sul quale sono “scritti” i
nostri codici genetici, cioè come le proteine del corpo debbano essere
costruite. I danni alle doppie eliche del Dna sono spesso riparati
dall’organismo, ma qualche volta, invece, il colpo è particolarmente duro : è
così quando si verifica una rottura doppia in due punti corrispondenti del Dna,
lungo le due eliche. Accade nel 5% dei casi. A volte vi si ripara
correttamente, a volte no, perché qualche elemento viene ricombinato male. In
questo caso due sono le possibilità: o la cellula non si riproduce, o si
determina un'anomalia cromosomica che resta e si perpetua diventando manifesta
magari a distanza di molto tempo: cancro, leucemia, malformazioni ereditarie.
Lo stesso accade, ma è più raro, se la radiazione colpisce direttamente qualche
punto “debole” del Dna. I tessuti più vulnerabili sono quelli che si riproducono
con la maggiore rapidità: sono in effetti facilmente attaccati il midollo
osseo, produttore dei globuli rossi (e si ha la leucemia) e le gonadi (anomalie
ereditarie). La probabilità che il processo si inneschi è tanto più alta quanto
più numerose sono le radiazioni ionizzanti. In teoria, d'altra parte, può
bastare a determinarlo un solo raggio gamma, una sola particella alfa o beta.
Per questo non esiste una soglia di radioattività accettabile. Entro certi
limiti comunque l'effetto è statisticamente sopportabile: non per niente siamo
sempre esposti a una piccola dose di radiazione ionizzante proveniente dal
cielo («piove» una particella per decimetro quadrato ogni secondo: sono i raggi
cosmici), che si somma a quella che emanano il terreno e le rocce, che ovunque
contengono un po' di radioisotopi. L'insieme si chiama “radiazione naturale di
fondo”, ed è diversa da zona a zona, [si veda la cartina trovare??].
Statisticamente sopportabile perché la probabilità che un raggio gamma faccia
“centro” è bassissima; non inesistente.
In conclusione: ogni radionuclide,
prima di decadere nella forma stabile, è una piccola bomba che spara radiazioni
ionizzanti a destra e a manca. Se è relativamente facile difendersi dal
pulviscolo radioattivo al suolo (basta non toccarlo, starne lontani), è però
difficilissimo evitare quello nell'aria o negli alimenti. E dentro di noi, è
una minaccia che può innescare mine vaganti.
I FIGLI DELLA PAURA
Nel mese di maggio, in Italia, le
richieste d'interruzione volontaria della gravidanza sono aumentate del 30 per
cento. È giustificabile la paura che ha colto quasi tutte le nostre gestanti?
Nello scorso mese di maggio,
secondo i dati forniti dall'Aiecs (Associazione italiana educazione
contraccettiva e sessuale), il numero delle richieste di interruzione di
gravidanza è aumentato del 30% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, per
effetto della paura dì avere un figlio malformato che ha colto tutte le donne
incinte trovatesi sotto la nube di Cernobyl. Una paura giustificata? Le future
mamme, che sono ancora tali, hanno veri molivi di apprensione? In teoria sì,
perché come basta una sola emissione gamma che centri il bersaglio a provocare
un cancro, così ne può bastare una sola a causare un danno al feto o all'embrione.
Ma solo in teoria: “In America”, dice il professor Gianpiero Tosi, direttore
del Servizio di fisica sanitaria dell'ospedale di Niguarda di Milano, “viene
raccomandato ai medici di non dire nulla alle pazienti incinte che abbiano
assorbito per errore, a scopi diagnostici, dosi di radiazioni inferiori ai
cinque rem, perché a questo livello il rischio in più rispetto alla media
naturale delle anomalie è così piccolo da non giustificare né provvedimenti né,
appunto, informazioni che finirebbero solo col creare stati d'ansia. Ora, visto
che in Italia la dose media è stata di 100-200 millirem e che in nessun caso,
comunque, può essere stata superata la dose di uno-due rem, è evidente che non
ci si deve preoccupare molto. In condizioni – naturali -, ogni 10 mila bambini
nati si riscontrano 300 anomalie, tra gravi, meno gravi e insignificanti; il
rischio, dopo la Nube, è che da 300 la media si alzi a 301, 302. Non di più”.
È evidente come pensare
addirittura all'interruzione della gravidanza sia decisamente spropositato,
fuori luogo. Sarebbe diverso se si trattasse di dosi nettamente superiori a
queste. Si vuole attuare veramente il massimo della prevenzione? Secondo il professor
Bruno Brambati, della 1° cattedra ostetrico-ginecologica dell'università di
Milano, si potrebbe sottoporre i bambini che nasceranno in questi mesi a test
per svelare malattie della tiroide al momento della nascita e screening dell'apparato scheletrico e dello sviluppo in statura. Questo nella
lontanissima ipotesi che si verificassero dei disturbi riscontrabili poi,
durante la crescita.
PRIMA E DOPO I NANOCURIE
Nei laboratori dell'EURATOM di Ispra,
un'italiana qualunque è stata sottoposta al “Total body counter”, il più
preciso conteggio possibile oggi della radioattività nel corpo umano. Lo
straordinario è che la stessa signora aveva fatto lo stesso esame nello stesso
posto nel '71,15 anni prima di Cemobyl: ecco le differenze principali fra le
due indagini.
Una rondine non fa primavera.
Tuttavia, nel caos dei dati che arrivano dall'Italia e dall'estero sulla
sorveglianza radioattiva nelle zone contaminate, Salve può presentarvi un punto
fermo tranquillizzante: la scarsa differenza in radioattività riscontrata in
una donna esaminata prima o dopo Cernobyl. L'esame che permette di calcolare la
radioattività che ciascuno di noi si porta addosso si chiama Total body counter: si tratta di una camera delle dimensioni di circa due metri per due,
completamente isolata da pareti di piombo, nella quale la persona da
controllare entra e rimane chiusa per circa 12 minuti, distesa su un lettino.
La sua radioattività è registrata dagli opportuni rilevatori con una
misurazione molto precisa. Ebbene: la signora Silvia Nanni, per caso, aveva
eseguito un Total body counter nel 1971, cioè molto prima di Cernobyl. Nello
stesso laboratorio (l'EURATOM di Ispra), lo stesso esame le è stato ripetuto su
richiesta di Salve, 35 giorni dopo Cernobyl dall'equipe della divisione di
radioprotezione diretta dal professor Guido Dominici. I grafici dei due esami
sono i seguenti.
Prima di Cernobyl il grafico della
signora Nanni presentava un picco, cioè un valore particolarmente elevato, che
del resto tutti mostreremmo e lo avrebbe fatto registrare anche l'uomo di
Neandertal, in corrispondenza del Potassio 40 (k40), un isotopo radioattivo che
è presente in natura. Dopo Cernobyl, oltre a questo picco, che è rimasto
invariato, sono comparsi tre altri picchi di radioattività, sebbene tutti di
modesta entità.
Il primo è quello dello Iodio 131
(I131), che si accumula quasi tutto nella tiroide: nessuno in Italia
gli è sfuggito. Il professor Dominici osserva che la modestia del valore di
questo picco dipende dal fatto che l'emivita, cioè il tempo di dimezzamento
dello Iodio, è di otto giorni: subito dopo Cernobyl si trovavano picchi molto
più alti, ma ormai questo isotopo sta scomparendo.
II secondo picco riguarda il
Rutenio 103 (Ru103), emivita 40 giorni. Questo elemento non entra
nel metabolismo dell'uomo (tranne che, in minima quantità, nel fegato) e,
quindi, è eliminato rapidamente con le feci. Il modesto valore fatto rilevare
dalla signora Nanni è relativo a molecole presenti nel suo tubo digerente, ingerite
con gli alimenti.
Il terzo picco si riferisce in
realtà a due valori diversi: quelli del Cesio 134 (Cs134), vita media due anni,
e del Cesio 137 (Cs137), vita media 30 anni. Questi due isotopi, nel corpo
umano, si concentrano nei tessuti molli e nei muscoli. I valori relativi ci
stanno adesso crescendo dentro, con il passare dei giorni, e si prevede che
ancora di più aumenteranno in futuro, perché passeranno in sempre maggiore dose
in noi attraverso l'ingestione di latte e derivati, di carni e di vegetali. Si
spiegano così il divieto — imposto delle nostre autorità ma chissà quanto
osservato — di nutrire i bovini con erba fresca e l'imposizione dì
somministrare a questi animali il fieno raccolto prima di Cernobyl.
Fortunatamente, il tempo di residenza del Cesio nel nostro organismo è
abbastanza basso: il metabolismo tende a espellerlo in fretta.
Non sono stati invece osservati,
nella signora Nanni picchi di Stronzio 90, vita media 28 anni, che,
metabolizzato con il calcio, si fissa nelle ossa (ma è possibile che in futuro
comparirà in lei e in noi anche Stronzio 90, come noto
presente nella nube di Cernobyl: esso passa all'uomo attraverso latte,
latticini e prodotti vegetali).
In conclusione: 35 giorni dopo
Cernobyl almeno nella persona esaminata le differenze, pur rilevanti rispetto
al «prima della Nube», non erano tali da poter essere considerate pericolose.
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