giovedì 31 luglio 2014

controllo dell'emorragia

Il controllo dell'emorragia

Il controllo dell'emorragia è uno degli aspetti più importanti della medicina tattica poiché essa è la principale causa di morte nel campo di battaglia. Nell'ambito del soccorso durante il combattimento (Care Under Fire; CUF) un laccio dovrebbe essere il primo strumento utilizzato per le emorragie massive.
Qualora non si riesca a raggiungere il controllo dell'emorragia utilizzando un laccio emostatico o la posizione della ferita non ne permette l'utilizzo, l'uso di un bendaggio compressivo e/o un agente emostatico è il passo successivo, se la situazione sul campo lo permette.

L'uso di medicazioni emostatiche
Applicando l'agente emostatico direttamente nella ferita, la pressione del sangue potrebbe lavarlo via impedendogli di agire efficacemente. Per evitare che ciò si verifichi sopra l'agente emostatico occorre posizionare una garza e effettuare una compressione. Ciò permette all'agente emostatico di agire nel sito della ferita.

L'uso di un bendaggio compressivo
Considerazioni preliminari: se la ferita è un trauma penetrante causato da un moderno proiettile ad alta velocità, bisogna considerare che esso ha prodotto nel ferito due cavità: una permanente ed una temporanea. La cavità permanente è causata dal contatto diretto del proiettile con i tessuti. La cavità temporanea è causata dalla cessione di energia quando il proiettile passa attraverso il corpo e ciò può danneggiare gravemente tessuti e organi anche molto lontani dalla traiettoria seguita dal proiettile nel corpo della vittima, quindi limitarsi a medicare semplicemente la ferita di entrata ed uscita del proiettile può essere insufficiente, perchè continua indisturbato il sanguinamento interno.
Il sanitario può intervenire applicando una pressione diretta sul sito della ferita, ma questo può essere insufficiente. Applicare una medicazione tenuta ferma da una benda elastica offre poco più di pressione circonferenziale, inutile come un laccio emostatico inefficace, perché non ferma l'emorragia, non riuscendo ad esercitare pressione sul tessuto danneggiato interno creatosi al passaggio del proiettile. L'applicazione di un bendaggio compressivo e una polvere emostatica può forse bloccare il sanguinamento esterno, ma resta un trattamento insufficiente.
Un sanitario può utilizzare una tecnica più “aggressiva”, ma efficace, che consiste nel l'usare un tampone di garza da spingere all'interno della ferita, come descritto in figura, andando decisamente oltre il foro di ingresso/uscita, riuscendo a fermare velocemente delle emorragie non altrimenti gestibili in ambito preospedaliero. Il termine inglese per il tamponamento della ferita con garza è “ pin-point pressure to the wound”.



(Reprinted From Husum H, Gilbert M, Wisborg T,Saving Lives, Saving Limbs, TWN Penang, 2000)

Uso del tourniquet in un conflitto a fuoco. Relazione di un agente di polizia americana al corrispondente del NY Times. Traduzione

Uso del tourniquet in un conflitto a fuoco. Relazione di un agente di polizia americana al corrispondente del NY Times. Traduzione

"Pensavo che vi avrebbe fatto piacere sapere che il laccio emostatico SOF TQT è stato utilizzato con successo il 25/4/07. Nel condurre una ricerca di un soggetto in una zona rurale dello stato di NY, molti dei miei compagni di squadra si sono trovati sotto il fuoco di un individuo armato di un fucile  calibro 30.30 e di una pistola calibro 22. ed uno di essi è stato colpito da una pallottola calibro 30.30 al braccio. Il proiettile ha attraversato l'arto circa a cinque centimetri dall'omero distale distruggendo l'osso insieme ad una grande quantità di tessuti molli.

L'arteria brachiale è stata recisa. Dopo la ritirata in una posizione riparata l'operatore ha tentato di tamponare l'emorragia applicando il laccio SOF in un punto superiore alla ferita. Dopo essere stato assistito da un altro operatore, il TQT è stato correttamente applicato e l'arteria recisa è stata tamponata con successo e l'operatore ferito è stato evacuato".
L'email dell'agente continua dicendo che il suo compagno di squadra ferito si è salvato e che la dottoressa del pronto soccorso ha detto che l'applicazione del TQT in ambito preospedaliero (PHTLS) è stato determinante.

uso del laccio emostatico (tourniquet) per fermare l'emorragia a livello degli arti. Studio sull'efficacia effettuato in un ospedale militare a Baghdad nel 2006

Uso del laccio emostatico (tourniquet) per fermare l'emorragia a livello degli arti. Studio sull'efficacia effettuato in un ospedale militare a Baghdad nel 2006


Uno studio sull’efficacia dell’uso dei lacci emostatici è stata effettuato per più di 7 mesi nel 2006 in un ospedale militare a Baghdad (NCT00517166; ClinicalTrials.gov).
Tra i 2838 civili e militari ricoverati con ferite agli arti, 232 soggetti (8%) hanno ricevuto lacci emostatici. Lo studio ha valutato i tassi di sopravvivenza e l'esito degli arti cui era stato applicato il laccio emostatico. Lo studio ha ulteriormente distinto l'uso preospedaliero (PHTLS) del laccio emostatico contro quello applicato in ambito del dipartimento di emergenza (ED).

RISULTATI:
- dei 232 pazienti trattati con lacci emostatici 31 sono morti (13%); i tourniquet utilizzati quando lo shock non era ancora comparso sono associati ad alti tassi di sopravvivenza (90%)
- 194 pazienti hanno ricevuto lacci emostatici in ambito pre-ospedaliero e di questi 22 sono morti (11%)
- 38 pazienti hanno ricevuto i lacci emostatici in reparto di emergenza (emergency department; ED) e 9 di loro sono morti (24%)
- 4 pazienti su 232 (1,7%) hanno riportato una paralisi transitoria del nervo a livello del laccio
- nessuno dei 232 pazienti trattati con laccio ha subito una amputazione esclusivamente per l’uso del laccio emostatico

CONCLUSIONI
I tourniquet utilizzati quando lo shock non è ancora comparso sono associati ad alti tassi di sopravvivenza (90%). Questo si intuisce anche confrontando la percentuale di morti nel gruppo di pazienti trattati precocemente in ambito preospedaliero (194 soggetti; 22 morti/11%) rispetto al gruppo arrivato all’ospedale senza essere stati trattati con laccio emostatico (38 soggetti; 9 morti/24%).
I pazienti del secondo gruppo hanno ricevuto il laccio probabilmente più tardi rispetto a quelli del primo gruppo e le loro condizioni, a causa del ritardato controllo dell’emorragia, dovevano essere state mediamente peggiori, quindi più probabile lo stato di shock.
L’osservazione su tutti i pazienti trattati con laccio emostatico ha evidenziato solo una bassa percentuale di effetti collaterali transitori (paralisi transitoria del nervo a livello del laccio; 1,7%) e nessuna amputazione all’arto trattato con il laccio emostatico è da attribuire unicamente all’applicazione di questo mezzo di controllo dell’emorragia.




martedì 29 luglio 2014

1963: avventura nello Yukon. Dispersi dopo un incidente aereo, sopravvivono al freddo inverno nella foresta 49 giorni prima di essere tratti in salvo

categoria: vecchie riviste, episodi di sopravvivenza

Nel 1963, una incredibile prova di sopravvivenza avvenuta in Canada, ebbe un ampio eco nel mondo tanto da meritarsi la copertina della rivista LIFE.


Helen Klaben, ventuno anni, era in volo su un aereo monomotore privato partito da Fairbanks (Alaska) insieme al pilota Ralph Flores, quarantadue anni quando, a causa delle peggiorate condizioni meteo e dei forti venti, l’aereo urtò contro le cime degli alberi, nel remoto territorio dello Yukon (Canada), in inverno con temperature sottozero.

La violenza dell’impatto può essere valutata dai danni subiti all’aeroplano: entrambe le ali rotte e strappate via dall’abitacolo, il motore sbalzato in avanti e i serbatoi di carburante rotti.


Nell’impatto Helen si ruppe il braccio sinistro mentre il pilota restò incosciente per un’ora con naso e mascella fratturati. Entrambi subiranno il congelamento alle dita dei piedi.
Benché fosse stato raccomandato dalle autorità preposte che ogni aereo avesse un’ampia dotazione di provviste, attrezzi e un’arma per cacciare, in realtà i due sopravvissuti non poterono contare su molte provviste e gli unici attrezzi a disposizione furono un’accetta, uno scalpello e il coltello da caccia di Ralph.
I due si sistemarono nella cabina e cercarono di isolarla dal freddo rivestendo il pavimento con i rami di abete rosso strappati dall’aereo durante la caduta.
Le provviste di bordo, succhi di frutta, due scatole di sardine e un pacco di crackers durarono una settimana, mentre l’unica acqua a disposizione venne ricavata sciogliendo la neve, con il fuoco acceso con i fiammiferi. Finite le provviste ebbero solo acqua calda per colazione, pranzo e cena, ma tennero alto il morale immaginando che fosse brodo di carne o zuppa di verdure, aranciata o qualche altra bibita nutriente.
Fortunatamente, Helen e Ralph iniziarono la loro disavventura soprappeso e i loro organismi poterono contare su riserve di grasso per sopperire alla mancanza di cibo, inoltre restare inattivi tutto il giorno dentro la cabina ridusse il loro consumo di calorie; a bordo inoltre erano presenti alcune confezioni di vitamine appartenenti a Ralph.
I due passarono molto tempo leggendo i libri presenti sull’aereo.
Ralph costruì una fionda usando dei tubi di gomma presi dall’aereo, per cacciare gli scoiattoli, ma non riuscì mai a prendere bene la mira.



Il 7 Marzo Ralph decise di abbandonare il luogo dell’incidente, perché la zona era troppo fittamente alberata e disperava di essere visto dall’alto. Questa decisione andava contro la regola d’oro della sopravvivenza, mai lasciare il relitto dell’aereo, ma comunque le ricerche erano state abbandonate il giorno prima. La decisione era comunque corretta perché anche gli investigatori che visitarono il sito dell’incidente dichiararono che gli alberi non avrebbero mai permesso il loro avvistamento dall’alto.
Ralph costruì delle rudimentali racchette da neve e si ingegnò un modo per trasportare comodamente le braci accese per poter disporre facilmente di un fuoco, quindi partì da solo cercando uno spiazzo aperto fra gli alberi.
Ralph trovò un posto ideale abbastanza vicino all’aereo e quindi tornò indietro per prelevare anche Helen, usando una slitta improvvisata con una lamiera fatta dell’aereo.
Prima di partire i due lasciarono sull’aereo delle indicazioni per eventuali soccorritori scrivendo la direzione presa e la data di partenza: 16/3/1963.


Raggiunto lo spiazzo aperto i due prepararono un riparo ed iniziarono a predisporre delle segnalazioni visibili dall’alto e l'occorrente per accendere velocemente un fuoco, inoltre la ragazza camminò nella neve disegnando una grossa SOS e una freccia che indicava la posizione del loro rifugio.


Il giorno 24 Marzo il pilota Chuck Hamilton della B.C. Yukon Air Service avvistò i due, sorvolò più volte il loro accampamento  e prese nota anche del numero identificativo del loro aeroplano, letto sulla lamiera dell’aereo che i due avevano staccato e trasportato con loro: N5886.
Dopo qualche tempo arrivarono i soccorsi via terra e i due superstiti furono medicati, rifocillati e portati in un ospedale.





Degna di nota la battuta fatta da Helen ai giornalisti giunti numerosi ad intervistarli: “consiglio questa avventura a chi desidera iniziare una dieta”.
Nel 1975 dalla avventura fu ricavato un film per la televisione dal titolo  “ Hey, i’m alive”.


                            


sabato 19 luglio 2014

Sicurezza alimentare: i pericoli nascosti nel pesce consumato crudo

categoria: sicurezza alimentare, pesce


Parte prima - Parassiti presenti nei pesci d’acqua dolce italiani


Le infezioni parassitarie legate al consumo di prodotti ittici sono principalmente legate all'abitudine di cibarsi di pesce crudo o poco cotto. Un'altra causa di problemi legati al consumo di prodotti ittici infettati dai parassiti, anche se devitalizzati con la cottura, sono le allergie.

Botriocefalo (Diphyllobothrium sp.)
I cestodi di questa famiglia sono vermi piatti lunghi più di 5 metri (possono raggiungere 10 metri). Le loro uova racchiudono embrioni  immaturi, che per svilupparsi necessitano dell'ambiente acquatico e della presenza di due ospiti intermedi, costituiti da crostacei copepodi e pesci di acqua dolce.
Dopo 15 giorni dalle uova escono degli embrioni ciliati (coracidi) che sono ingeriti dai crostacei copepodi. l coracidi attraversano l’intestino medio di questi crostacei e si localizzano poi nella cavità celomatica dove si trasformano in larve procercoidi.
I pesci d’acqua dolce che ingeriscono questi copepodi sono infettati da queste larve che vanno a  localizzarsi nei muscoli, nelle gonadi, nella cavità celomatica, nel fegato e altri organi per evolversi in plerocercoidi. I grandi pesci predatori, in cima alla piramide alimentare, contraggono l’infezione nutrendosi di pesci portatori di plerocercoidi; poiché i plerocercoidi vivono a lungo e si accumulano nei tessuti, i grandi pesci predatori possono presentare cariche infettanti anche molto elevate.
Oltre all’uomo possono essere parassitati anche il cane e il gatto; nell’ambiente selvatico, gli ospiti definitivi sono gli uccelli ittiofagi, l’orso e la volpe.
L’uomo contrae l’infezione consumando pesce crudo o poco cotto come filetti di pesce al limone, carpaccio, tartare o insalate di pesce crudo o degustando uova o gonadi di pesci solo salate e seccate (bottarga). Nell’intestino dell’uomo e degli altri ospiti definitivi i plerocercoidi si trasformano in vermi adulti e iniziano a deporre le uova.
Nell’uomo i cestodi si fissano alla mucosa dell’ileo e più raramente a quella del digiuno, ma raramente causano ostruzione intestinale e la parassitosi decorre nella maggiore parte dei casi in forma subclinica.
La sintomatologia, estremamente variabile, si manifesta 1-3 settimane dall’ingestione del pesce infetto ed è caratterizzata da disturbi nervosi, acuto senso di fame o invece ripienezza epigastrica e perdita di appetito, nausea, vomito, diarrea alternata a stipsi, dolori addominali, perdita di peso, debolezza e anemia. L’anemia megaloblastica è diagnosticata nel 2% dei pazienti.
Informazioni anamnestiche quali la residenza in un’area endemica o l'abitudine a consumare il pesce crudo possono indirizzare il medico a proporre un esame delle feci per verificare il sospetto di botriocefalosi, confermato dal riscontro delle uova opercolate e parti del corpo nelle feci.

Profilassi
Evitare il consumo di pesce d’acqua dolce crudo. Il pesce che si vuole consumare crudo deve essere prima congelato tra –10 e –20 °C per almeno 6 ore per devitalizzare le larve.
La salagione con una concentrazione del 7% o superiore devitalizza le forme larvali presenti nei muscoli del pesce, ma questo processo richiede diverso tempo.
La salagione con una quantità di sale del 35-45% in rapporto al peso del pesce devitalizza le larve in 4-8 giorni ad una temperatura di 10-15 °C; una concentrazione salina del 35-40% in ghiaccio ad una temperatura di –3 –5 °C è in grado di devitalizzare le larve in pesci di 3 kg in 7-10 giorni. I pesci di peso superiore ai 4 kg richiedono 35-39 giorni.

Opistorchide (Opisthorchis felineus)
Il verme adulto è di colore arancione, piatto, lungo circa 1 cm. Questo trematode vive nelle vie biliari di alcuni carnivori e dell’uomo.
Le uova emesse da questi vermi, già mature quando sono espulse con le feci, una volta ingerite da molluschi d’acqua dolce, liberano delle larve (miracidi) che dall’intestino si spostano nei tessuti del mollusco e si trasformano per stadi successivi in sporocisti, redie e poi in cercarie. Quest’ultimo stadio larvale si attacca al tegumento di varie specie di pesci d’acqua dolce (soprattutto ciprinidi; secondo ospite intermedio), dove penetra e si insinua nei muscoli. Dopo circa 6 settimane le cercarie sono mature e, quando il pesce infestato viene ingerito crudo dall’ospite definitivo, si insediano nei dotti biliari del fegato dove si trasformano in adulti in poco più di tre settimane.
Questo trematode è diffuso in prossimità di laghi e corsi d’acqua in vari Paesi della Federazione Russa (principalmente Ucraina e Kazakistan). Infezioni sporadiche sono state segnalate in viaggiatori al loro rientro da zone endemiche, che hanno mangiato dei pesci cucinati secondo le abitudini locali, specialmente insalate contenenti pesce crudo.
Casi di infezione per consumo di pesce pescato da un lago dell’Italia centrale si pensa siano dovute dall’introduzione di pesci provenienti da regioni endemiche o da immigrati infetti provenienti da queste regioni le cui feci abbiano contaminato le acque del lago.

Nell’uomo il trematode vive nei canalicoli biliari distali del fegato, dove può sopravvivere fino a 15 anni, provocando proliferazione dell’epitelio biliare, iperplasia del connettivo periportale, formazione di capsule connettivali attorno a nidi di uova deposte nei tessuti e alterazioni delle pareti dei capillari biliari.
L’uomo tollera abbastanza bene una modesta parassitosi, ma in alcuni casi limitate questi vermi provocano ostruzione dei canali biliari, estesa distruzione del parenchima epatico e grave fibrosi con ipertensione portale. Il fegato è soggetto ad ascessi e infezioni batteriche secondarie. Talvolta i parassiti raggiungono anche il pancreas.
Il quadro clinico è caratterizzato da anoressia, problemi di digestione, dolori addominali aspecifici, stanchezza e perdita di peso, diarrea, episodi di ittero con o senza febbre. Nei casi avanzati si sviluppano ipertensione portale, infiammazione cronica e iperplasia dell’epitelio delle vie biliari, compresa la possibile invasione del dotto pancreatico. La cirrosi del fegato, o anche il colangiocarcinoma, possono complicare i quadri  tardivi della malattia. Nei casi gravi la letalità raggiunge il 16%; lo stato di malattia può perdurare per anni dopo la morte dei parassiti.

Profilassi
Evitare il consumo di pesce d’acqua dolce crudo.

La presenza di una carica batterica nel pesce appena pescato è normale, perché non vive in ambienti sterili e, una volta catturato, subisce una serie di trattamenti che aumentano il grado di contaminazione batterica della superficie corporea (branchie, pelle) e tratto gastroenterico. I batteri di più spesso isolati sono i generi Pseudomonas, Escherichia, Serratia, Bacillus, Vibrio.
La carica microbica riscontrabile inizialmente sul pesce dipende da numerosi fattori, come la stagione, la temperatura dell’acqua (la carica microbica aumenta con il valore della temperatura dell’acqua), il grado inquinamento microbico delle acque ed il metodo di pesca.
I tessuti muscolari e gli organi interni dei pesci appena pescati sono sterili, ma si contaminano facilmente durante la successiva conservazione del prodotto; nei pesci piatti, questa sembra prevalentemente provenire dalle superfici esterne, mentre, in quelli a sezione rotonda, sembrano più importanti i microrganismi intestinali. Il pesce subisce inoltre una successiva contaminazione, durante l’immagazzinamento, per contatto con  utensili e contenitori, specialmente di legno.
La composizione dei pesci (contenuto di acqua, elevato tenore in acidi grassi insaturi), ne determina la particolare deperibilità per l’azione dei batteri che sfruttano come substrato di crescita gli aminoacidi, i peptidi e altre fonti diverse dai carboidrati producendo cataboliti di sapore ed odore sgradevoli. Le alterazioni compaiono rapidamente, in quanto il pH rimane elevato (> 6) per la carenza di zuccheri, ed è presente una notevole quantità di azoto non proteico e di ossido di trimetilamina e acidi grassi insaturi suscettibili di ossidazione.
Una volta colonizzato il tessuto muscolare e raggiunti valori microbici critici (107-108 ufc/g) VEDI, i pesci diventano inadatti al consumo alimentare.

Il Bacillus cereus e il Bacillus antracis
Il Bacillus cereus è un batterio a forma di bastoncino in grado di produrre due enterotossine: una, stabile al calore e di basso peso molecolare, che provoca vomito, e un’altra, di alto peso molecolare e sensibile al calore, che causa invece diarrea.
Il Bacillus antracis, noto anche per il suo uso in campo terroristico, raramente è implicato in intossicazioni alimentari. È un organismo ubiquitario nel suolo e, in generale, nell’ambiente, spesso rinvenuto a bassa concentrazione nei cibi crudi, secchi e anche lavorati.
Il Bacillus antracis produce due enterotossine: una causa diarrea acquosa, coliche, dolori e crampi addominali, ma raramente nausea e vomito; il secondo tipo causa nausea e vomito quasi subito dopo il consumo del cibo.

L’Escherichia coli
L’Escherichia coli è un batterio che vive normalmente nella parte inferiore dell’intestino di animali a sangue caldo dove svolge un ruolo fondamentale nel processo digestivo; questo batterio di norma, non si ritrova nel terreno o nell’acqua e quindi riscontrarne la presenza nelle acque è quindi un chiaro indicatore di contaminazione fecale.
Quando questo batterio esce dal suo normale ambiente può diventare patogeno per uomo causando infezioni del tratto urinario, meningite, peritonite, setticemia e polmonite.
Alcuni ceppi di E. coli producono tossine causa di diarrea. La contaminazione avviene da carni infette non adeguatamente cotte, da latte non pastorizzato, formaggi derivati e altri alimenti contaminati dalle feci.

Lo Staphylococcus aureus
Lo Staphylococcus aureus è un batterio sferico (cocco) in grado di crescere anche in ambienti caratterizzati da elevate concentrazioni saline (fino al 7,5%). La maggioranza dei soggetti adulti ospitano normalmente questi batteri a livello della cute e nelle prime vie respiratorie.
Lo S. aureus produce enterotossine causa di avvelenamento alimentare con mal di testa, crampi muscolari e variazioni effimere nella pressione sanguigna e nel polso. Generalmente, il periodo di guarigione dura due giorni. Tuttavia, non è inusuale che il periodo di completa guarigione sia di tre giorni o, nei casi più gravi, anche superiore. L’inizio dei sintomi, generalmente è rapido ed acuto dipende dalla suscettibilità individuale alle tossine, dalla quantità di cibo contaminato ingerito, dalla quantità di tossine contenute nel cibo e dallo stato di salute generale della vittima.

La Salmonella
La Salmonella, nelle sue varie forme, è l’agente batterico più comunemente isolato in caso di infezioni alimentari causa di gastroenterite, setticemia, polmonite e aborto. La Salmonella è inattivata a 56°C in 10-12 minuti.
Le salmonellosi sono malattie contagiose a decorso acuto, subacuto e cronico che colpiscono animali e l’uomo.
Nell’uomo le salmonellosi causano diarrea, febbre, e crampi addominali nel giro di 12-72 ore dopo l’infezione. La persona infetta solitamente guarisce nel giro di 4-7 giorni, senza bisogno di particolari trattamenti, ma in qualche caso è necessario ricovero, reidratazione e trattamento con antibiotici per prevenire la diffusione dell’infezione ad altri organi attraverso il flusso sanguigno. Purtroppo molte salmonelle sono diventate resistenti agli antibiotici, in parte anche grazie all’uso frequente degli stessi negli allevamenti animali.
La Salmonella vive nell’apparato intestinale degli uomini e degli animali, e può essere trasmessa attraverso cibi contaminati da feci animali.
I pesci sono contaminati da Salmonella quando le acque in cui vivono ricevono scarichi di origine civile (fognature non trattate).
La cottura degli alimenti abbatte totalmente il rischio di infezione.

Vibrio cholerae
V. cholerae è un batterio abitante di due ecosistemi: l’ambiente acquatico e l’intestino umano. Questo batterio causa una malattia infettiva nota come colera. La malattia, dopo un periodo di incubazione di 1-5 giorni, si manifesta con diarrea improvvisa e intensa con scariche sempre più liquide e incolori, e quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio. Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione. Il paziente è ipoteso, tachicardico e con diuresi ridotta o addirittura assente (anuria). Se non interviene la cura reidratante, si ha shock irreversibile e morte. A volte però la malattia si presenta in forma molto attenuata e quindi benigna. Essa è comunque sempre grave quando interessa i bambini, in quanto in questi l’equilibrio idrico ed elettrolitico è molto delicato.
L’infezione si contrae con gli alimenti o le bevande inquinati. Gli alimenti a maggior rischio sono i frutti di mare, il pesce, la verdura, la frutta, l’acqua da bere e le bevande prodotte con acqua inquinata. La cottura degli alimenti potenzialmente contaminati elimina il rischio di infezione.
La trasmissione si verifica perché il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto per carenze del sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell’acqua, per cui può arrivare all’uomo sano, attraverso alimenti e bevande. Più rara è la trasmissione da malato a sano nelle condizioni di scadente igiene personale.

Campylobacter termo tolleranti
Campylobacter è un batterio a bastoncello che vive solo quando i livelli di ossigeno sono ridotti (3-5% di ossigeno e 2-10% di anidride carbonica perché la crescita sia massima). Oggi è ritenuto uno dei principali patogeni veicolati dagli alimenti; negli USA causa più gastroenteriti di Salmonella spp. E Shigella spp. messe insieme.
I meccanismi della patogenesi non sono ancora chiari, ma il batterio sicuramente produce una tossina sensibile al calore. Questo batteri infettano abitualmente bovini, polli e altri uccelli, che all’osservazione appaiono sani; è stato trovato anche nelle mosche. Normalmente l’enterite da Campylobacter è dovuta all’ingestione di carne di pollo o di maiale cruda o poco cotta, ma l’infezione può essere contratta anche attraverso la manipolazione di pesci, rettili e anfibi, sulla cui epidermide può essere presente il batterio.
La sua presenza nell’ambiente acquatico è probabilmente dovuta alla contaminazione da materiale fecale, proveniente da insediamenti civili o da allevamenti zootecnici.

Listeria spp.
Listeria monocytogenes è un batterio a forma di bastoncello, dotato di motilità mediata da flagelli.
Questo batterio è molto diffuso nell’ambiente. I principali habitat sono il suolo, il foraggio, l’acqua, il fango e il foraggio fermentato. In effetti, è stato notato che l’uso di foraggio fermentato (insilato) nell’alimentazione animale aumenta l’incidenza della listeriosi negli animali.
Listeria monocytogenes si trova anche negli animali domestici e selvatici (mammiferi, uccelli e probabilmente anche alcune specie di pesci e molluschi), e nelle persone.
Di particolare nota è la sua capacità di sopravvivere sorprendentemente bene, per un batterio non sporigeno, al freddo, all’essiccamento e al caldo. Cresce bene al freddo, fino a temperature di 3°C, quindi anche nei frigoriferi.
Il batterio invade l’epitelio gastrointestinale, è trasportato nel sangue e si stabilisce poi nei monociti (da cui il nome specifico, monocytogenes), nei macrofagi e nei leucociti polimorfonucleati. La presenza intracellulare nei fagociti permette l’accesso al cervello e probabilmente il passaggio attraverso la membrana placentare. La patogenicità è quindi data proprio dalla capacità di moltiplicarsi nei fagociti dell’ospite.

lunedì 14 luglio 2014

La termoregolazione

La termoregolazione

Nell'individuo normale la temperatura corporea è relativamente costante, tenuta sotto controllo da centri termoregolatori cerebrali posti a livello dell'ipotalamo. Il calore nel corpo umano si genera per i processi endocellulari di produzione di energia, arriva dall'esterno tramite l'ingestione di cibi e bevande calde o per riscaldamento della superficie corporea. La stessa quantità di calore prodotta deve essere dispersa verso l'esterno (si tratta di un equilibrio!) attraverso: - scambio termico con l'esterno grazie ai processi di irradiazione, conduzione e convezione (complessivamente questi meccanismi sono responsabili della dispersione del 70% del calore prodotto); - scambi gassosi della respirazione dove aria fredda entra durante l'inspirazione (deve essere riscaldata e umidificata prima di arrivare ai polmoni) mentre aria caldo/umida è allontanata con la respirazione (la nuvoletta che si emette d'inverno verso l'esterno è il vapore acquoso che condensa) - la traspirazione (il sudore che evapora dalla pelle sottrae calore; il termine corretto sarebbe perspiratio insensibilis) - eliminazione di feci ed urine Riguardo l'ultimo punto, in ambito di sopravvivenza, i militari che fanno addestramento in ambito montano/artico, durante i loro pernottamenti in buche di neve, imparano a raccogliere l'urina in sacchetti di plastica invece di eliminarla, per sfruttare tutto il calore consrvato nel liquido, una sorta di "borsa dell'acqua calda".

domenica 13 luglio 2014

significato dei termini medici: eziologia

Il termine eziologia deriva dalla lingua greca ("causa", "parola/discorso") ed è utilizzato in medicina in riferimento alle cause che provocano le malattie.