lunedì 31 agosto 2015

infermieri e medici militari nei pronto soccorso

categoria: pronto soccorso

Emilia Romagna. I militari reclutati nei reparti più a rischio degli ospedali. Al via protocollo tra Regione e Difesa

In questo modo verranno mantenute e migliorate le competenze dei professionisti e, in futuro, si penserà a come coinvolgerli nell'organizzazione del servizio sanitario regionale. Ma si tratterà anche di un servizio ulteriore ai cittadini. “In futuro potranno essere impiegati in condizioni estreme, anche sul territorio nazionale”.

28 AGO - Un accordo che consentirà a 35 tra medici e infermieri assunti dall’esercito di operare all’interno delle strutture sanitarie pubbliche dell’Emilia Romagna. Il protocollo, secondo quanto riportato dal quotidiano 'La Repubblica' verrà firmato nei prossimi giorni dal presidente della Regione Stefano Bonaccini e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti. Non si tratterà comunque della prima Regione a misurarsi con questa novità, dato che la strada è già stata intrapresa da Toscana e Friuli Venezia Giulia. Medici e infermieri che oggi lavorano negli ambulatori delle caserme “saranno impiegati nei reparti più a rischio: emergenza, pronto soccorso affinché non “perdano la mano – si legge nel protocollo - a causa dell'inattività nel caso debbano essere impiegati, in futuro, in condizioni estreme, anche sul territorio nazionale”.

“A noi sembra un'ottima idea – ha commentato Licia Petropulacos, direttore generale dell'assessorato alla Sanità - un bell'esempio di collaborazione tra settori della pubblica amministrazione. È un'esperienza tutta da costruire, con le dovute cautele, ma il senso è quello di mantenere e migliorare le competenze dei professionisti e, in futuro, pensare a come coinvolgerli nell'organizzazione del servizio sanitario regionale, visto che parliamo di personale formato”.
L’ottica complessiva dell’operazione è quella di fornire un servizio ai cittadini, come spiega il testo del protocollo. "Il personale sanitario militare, adeguatamente addestrato, può rappresentare una risorsa aggiuntiva del sistema sanitario regionale. Può rappresentare una sinergia virtuosa ampliando le disponibilità per i cittadini”.

effetti indesiderati da piante

categoria: piante

EFFETTI INDESIDERATI DA PIANTE MEDICINALISOMMARIO

Adverse Drug reaction bulletin 4/1997
I preparati da erboristeria sono usati sempre più ampiamente, anche se la conoscenza dei loro effetti indesiderati è limitata, perché l'esperienza di coloro che li usano tradizionalmente può non essere applicabile alla pratica occidentale; inoltre, i prodotti possono essere contaminati da altre piante, da farmaci, impurità chimiche, e anche preparati puri di erbe possono avere effetti rimasti sconosciuti o diversi in popolazioni differenti.

INTRODUZIONE
Diverse piante mostrano un'attività terapeutica o procurare sollievo anche solo attraverso un importante effetto placebo.
Questa rassegna prende in esame alcuni dei problemi generali e descrive i potenziali rischi a cui possono andare incontro i consumatori di piante medicinali.
Effetti indesiderati diretti sono facilmente riconosciuti specialmente se avvengono subito dopo l'inizio del trattamento. Inoltre, l'efficacia di una medicina convenzionale può essere compromessa da una interazione indesiderata con un farmaco di origine vegetale. Per esempio, il preparato oleoresinoso gugulipid (derivato da un'antica pianta medicinale indiana, Commiphora mukul) riduce di un terzo la biodisponibilità di alcuni farmaci sintetici (diazepam e propranololo). Una diminuzione di tale entità sarebbe certamente importante se si verificasse anche con farmaci che possiedono un ristretto range terapeutico.

LIMITI DELL'ESPERIENZA TRADIZIONALE
Il fatto che esista un'antica tradizione per molte cure a base di erbe dimostra che vi è una considerevole esperienza informale sui loro effetti desiderati e indesiderati. Questo è un mezzo efficace per l'identificazione degli effetti indesiderati che possono insorgere rapidamente dopo l'inizio della terapia in una elevata percentuale di utilizzatori. Classici esempi sono gli effetti cardiotossici della digitale e i sintomi anticolinergici indotti dalla belladonna. Tuttavia può essere più difficile identificare le reazioni che cominciano a manifestarsi solo durante un uso prolungato. Un esempio è il manifestarsi di miastenia da ipopotassiemia per chi usa per lungo tempo lassativi antranoidi a base di erbe (quali senna e cascara). Può essere anche difficile riconoscere gli effetti indesiderati che non sono correlati alle proprietà farmacologiche principali di un farmaco e che non migliorano dopo la riduzione della dose. Tali reazioni cosiddette di tipo B sono spesso mediate immunologicamente. Ne sono esempi le rare reazioni cutanee e respiratorie da Echinacea, e casi isolati di epatotossicità negli utilizzatori di certe formule tradizionali cinesi per malattie cutanee.
Possono anche non essere riconosciuti gli effetti teratogeni e cancerogeni dei medicamenti a base di erbe. Per esempio le amine di alcune piante medicinali nigeriane, in condizioni gastriche simulate, possono essere convertite in cancerogeni N-nitrosi. Un esempio clinico è la presenza di acidi aristolochici in diverse specie medicinali del genere Aristolochia. Questi acidi sono altamente cancerogeni nei roditori, e sono stati descritti casi di tumore nell'uomo associati ad Aristolochia.
In conclusione, una esperienza consolidata può insegnarci moltissimo circa tossicità acute sorprendenti e prevedibili, ma è uno strumento meno affidabile per la scoperta di reazioni che non si manifestano comunemente, che si instaurano con gradualità o dopo un prolungato periodo di latenza, o che diano segni e sintomi che potrebbero essere senza difficoltà ascritti a cause non-vegetali.

RISCHI NON TRADIZIONALI
Modi non tradizionali di usare piante tradizionali possono anche portare a effetti indesiderati prima non noti. Ci si può chiedere, per esempio, fino a che punto l'eccellente primato di sicurezza orale che vantano certe erbe sia applicabile alle sigarette di erba. Inoltre, vi sono prove a sostegno del fatto che certi rischi respiratori attribuiti al fumo di tabacco possono essere estesi al fumo di prodotti vegetali diversi dal tabacco, in particolare la marijuana. In una segnalazione da Taiwan, un'epidemia di bronchiolite obliterante era correlata all'ingestione di Sauropus androgynus, un’erba tradizionalmente cotta prima di essere consumata come una verdura, ma in questo caso consumata come succo di foglie non cotte, secondo un metodo non dimostrato di controllo del peso.

CAUSE DI REAZIONI LEGATE AL MEDICAMENTO
La composizione reale e la modalità d'uso sono i principali determinanti della tossicità potenziale di un particolare medicamento a base di erbe. Sfortunatamente, non sempre è sufficiente il controllo dell'etichetta di una confezione di erbe per escluderne la nocività, perché alcune delle preparazioni attualmente disponibili sono contaminate, sia intenzionalmente che accidentalmente, con potenti sostanze vegetali o non vegetali. Per esempio, un avvelenamento anticolinergico è stato associato a un South American Paraguay Tea, che conteneva alcaloidi tossici della belladonna invece degli attesi derivati delle xantine. Di particolare preoccupazione è la costante presenza di metalli tossici (piombo, arsenico, mercurio, cadmio, tallio) e di farmaci occidentali (per esempio, corticosteroidi, antiinfiammatori non steroidei e benzodiazepine) in medicamenti a base di erbe e altri rimedi etnici di origine asiatica.
I medicamenti sicuri a base di erbe dovrebbero anche essere privi di residui di pesticidi o di sostanze fumiganti e di microorganismi patogeni, ma la contaminazione è sempre un rischio da non sottovalutare. Esemplificativo è il caso segnalato di un soggetto che aveva ricevuto un trapianto di midollo, il quale aveva probabilmente contratto una micosi epatica per ingestione di un farmaco naturale contaminato da un fungo.

CAUSE DI REAZIONI LEGATE AL CONSUMATORE
La possibilità che un farmaco di origine vegetale determini un effetto indesiderato può anche dipendere dalle caratteristiche del consumatore, quali età, caratteristiche genetiche e malattie concomitanti. Per esempio, i metabolizzatoti lenti della chinolizidina, alcaloide della sparteina, saranno più predisposti al potenziale effetto ossitocico e ad altri effetti tossici del Cytisus scoparius rispetto ai metabolizzatoli rapidi. Un altro esempio interessante è che i cinesi sono più sensibili agli effetti dell'atropina sulla frequenza cardiaca rispetto ai bianchi, che a loro volta sembrano essere più sensibili dei neri. Una conseguenza teorica di queste differenze razziali è che l'esperienza locale con un'erba medicinale non può essere sempre estrapolata indiscriminatamente a società con altre caratteristiche etniche.
Preparati che sono generalmente sicuri in condizioni normali possono essere pericolosi in circostanze specifiche. Per esempio, preparati ricchi di psoraleni possono causare ustioni fototossiche nei frequentatori di solarium o in pazienti sottoposti a terapia con PUVA.
Sono anche possibili interazioni indesiderate fra diversi farmaci vegetali e tra un farmaco vegetale e una medicina convenzionale. Secondo una recente osservazione sui numerosi effetti indesiderati associati al consumo di Ma Huang (Ephedra) negli Stati Uniti, gli effetti indesiderati di efedrina e caffeina combinate possono essere maggiori di quelli dovuti al consumo di ognuno dei due composti da solo.

PASSI VERSO UN UTILIZZO PIÙ SICURO
Per promuovere la sicurezza dei farmaci di origine vegetale si dovrebbero fare sforzi sistematici per raccogliere, valutare e diffondere dati circa le loro azioni indesiderate. Tali sforzi dovrebbero essere estesi alle piante non occidentali, non solo perché i rimedi a base di erbe hanno un ruolo vitale nei sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo, ma anche perché i medici occidentali si possono trovare di fronte a pazienti non occidentali che utilizzano rimedi tradizionali della loro terra di origine. Una recente indagine sulle medicine indiane e pakistane in uso nel Regno Unito ha identificato perlomeno 320 composti a base di erbe, molte delle quali non sono ben conosciute nella fitoterapia occidentale.
Le conoscenze tossicologiche relative ai medicamenti a base di erbe dovrebbero essere attivamente utilizzate per bandire i rimedi non sicuri e scoraggiare le pratiche pericolose ed un sistema speciale di autorizzazione alla commercializzazione per i farmaci di erboristeria potrebbe aiutare a ridurre l'introduzione sul mercato di preparati potenzialmente dannosi. Quando un certo tipo di erba non è sufficientemente sicuro per l'uso comune, la possibilità che i suoi rischi per la salute possano risiedere in costituenti che sono presenti anche in altre piante medicinali dovrebbe essere presa in considerazione in modo più sistematico. È di notevole interesse, per esempio, che la radice di robbia (Rubia tinctorum) sia stata bandita dal mercato tedesco senza alcun riferimento al fatto che alcuni dei suoi antranoidi genico tossici si trovino anche in piante medicinali orientali, quali la Morinda umbellata, la Rubia cordifolia, l’Hymenodictyon excelsum e il Damnacanthus indicus.
Un altro passo essenziale verso una maggiore sicurezza della commercializzazione delle piante medicinali è una politica attiva per scoprire quanto non è ancora noto circa la loro tossicità. Studi sperimentali in questo campo dovrebbero pertanto essere estesi e integrati con la farmacovigilanza sulle erbe.

Alcune piante potenzialmente tossiche
Piante
Costituente(i) potenzialmente tossici
Aconitum spp.

Acorus calamus (varietà tetraploide)

Adenostyles alliariae

Adonis vernalis

Anisodus tangutìcus

Anthoxanthum odoratum

Areca catechu

Arìstdlochia spp.

Artemisia absinthium (olio essenziale)

Artemisia dna

Asclepias tuberosa

Asperula odorata

Atropa belladonna

Bryonia alba

Callilepis laureola

Cannabis sativa

Catha edulis

Chenopodium ambrosioides

Chrysantemum vulgare (olio essenziale)

Citrullus colocynthis

Claviceps purpurea

Colchicum autumnale

Conium maculatum

Convallaria majalis

Convolvulus scammonia

Corydalis spp.

Crotalaria spp.

Croton tiglium (olio)

Cytisus scoparius (erba)

Datura spp.

Digitalis spp.

Dipteryx spp.

Dysosma pleianthum

Ecbalium elaterium

Ephedra spp.

Erythroxylum spp.

Euonymus europaeus, E. atropurpureus

Eupatorium cannabinum, E. purpureum

Eupatorium rugosum

Exogonium purga

Gaultheria procumbens (olio essenziale)

Genista tinctoria

Gossypium spp.

Hedeoma pulegioides (olio essenziale)

Heliotropium spp.

Hysoscyamus niger

Iphigenia indica

Juniperus communìs (olio essenziale)

Larrea tridentata

Lobelia inflata

Mallotus philippinensis

Mandragora officina rum

Mentita pulegium (olio essenziale)

Nerium oleander

Papaver somniferum

Pausinystalia yohimbe

Petasites spp.

Phytolacca americana

Pilocarpus pennatifoìius

Piper methysticum

Pithecellobium jiringa

Podophyllum peltatum

Prunus spp. (semi o gherigli crudi)

Rauwolfia spp.

Ricinus communis (olio non volatile)

Salvia miltiorrhiza

Salvia officinalis (olio essenziale)

Sassafras albidum (olio essenziale)

Scopalia carnioìica

Senecio spp.

Stephania spp.

Strophantus spp.

Strychnos nux-vomica

Symphytum officinale

Taxus celebica

Teucrium chaemaedrys, T. canadense, T. polium

Tripterygium spp.

Urginea maritima

Veratrum spp.

Xismalobium undulatum
alcaloidi (cardio)tossici

beta-asarone mutageno e cancerogeno

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
glicosidi cardioattivi

alcaloidi tropanici anticolinergici

cumarina epatotossica

alcaloidi colinergici

acidi aristolochici nefrotossici e cancerogeni, e aristoiattamioi
thujone neurotossico

santonina

glicosidi cardioattivi

cumarina epatotossica

alcaloidi tropanici anticolinergici

cucurbitacine purgative

atractiloside nefrotossica ed epatotossioa, e composti correlati
cannabinoidi psicoattivi

alcaloidi amfetamino-simili

ascaridolo

thujone neurotossico

cucurbitacine purgative

alcaloidi ergotaminici

colchicina

alcaloidi piperidinici teratogeni

glicosidi cardioattivi

resina purgativa

tetraidropalmatina depressiva del sistema nervoso centrale ed epatotossica (dl-forma)
alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
diesteri di forbolo purgativi e oncogeni

alcaloide sparteina cardiotossico e abortivo

alcaloidi tropanici anticolinergici

glicosidi cardioattivi

cumarina epatotossica

podofillotossina purgativa, neurotossica e teratogena
cucurbitacine purgative

alcaloidi simpaticomimetici e psicostimolanti

cocaina psicostimolante

componenti catartici ed emetici

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
tremetol

resina purgativa

salicilato di metile

alcaloidi chinolizidinici tossici e teratogeni

gossipolo che induce ipopotassiemia ed è un contraccettivo maschile
pulegone (epato)tossico

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
alcaloidi tropanici anticolinergici

colchicina

componente(i) che irrita il tratto gastroenterico
componente(i) epatotossico

lobelina e altri alcaloidi piridinici

tossina(e) purgativa ed emetica

alcaloidi tropanici anticolinergici

pulegone (epato)tossico

glicosidi cardioattivi

alcaloidi narcotici, come la morfina

yoimbina ansiogena e ipertensiva e alcaloidi correlati
alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
componente(i) purgativo, emetico e cardiotossico
alcaloide colinergico pilocarpinico

derivati pironici depressivi del sistema nervoso centrale e miorilassanti
componente(i) nefrotossico

podofillotossina purgativa, neurotossica e teratogena
glicoside amigdalina cianogeno

alcaloidi reserpinici e analoghi

tossina(e) emetica e purgativa

componente(i) che potenzia il farfari

thujone neurotossico

safrolo mutageno ed epatocarcinogeno

alcaloidi tropanici anticolinergici

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
tetraidropalmatina depressiva del sistema nervoso centrale ed epatotossica (/dorma)
glicosidi cardiotossici

stricnina convulsivante e altri alcaloidi

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
componente(i) nefrotossico

furanoditerpenoidi epatotossici


diterpenoidi tossici e immunosoppressori

glicosidi cardioattivi

alcaloidi ipotensivi

glicosidi cardioattivi





Ipotermia The Medical letter 1995

categoria: pronto soccorso

TRATTAMENTO DELL'IPOTERMIA

The Medical Letter 1/2/1995

L'età avanzata, la mancanza di abitazioni adeguate, il sovradosaggio di droghe o medicinali e l'ingestione di alcool sono spesso fattori predisponenti, ma un'ipotermia può verificarsi anche in persone giovani e sane dopo una prolungata esposizione al freddo dovuta a traumi invalidanti o a immersione in acqua gelida. Un'ipotermia associata a esaurimento fisico nel corso di attività sportive all'aperto può verificarsi anche a temperature non particolarmente rigide.

DIAGNOSI
Un'ipotermia può talvolta passare inavvertita; la maggior parte dei termometri clinici legge temperature non inferiori a 34°-35° C, e i segni e i sintomi di ipotermia non sono specifici. Confusione mentale, andatura difficoltosa, letargia e aggressività sono segni precoci, specie nelle persone anziane. Il brivido può essere una chiave diagnostica, ma i pazienti ipotermici la cui temperatura corporea è inferiore a 32° C possono non rabbrividire o persino non sentire freddo.


TRATTAMENTO SUL CAMPO
Gli abiti bagnati andrebbero tolti delicatamente e un'ulteriore perdita di calore prevenuta con coperte poste sopra e sotto il corpo, borse di acqua calda o pietre riscaldate e avvolte in panni e, se disponibile, con ossigeno riscaldato umidificato. L'attività fisica non dove essere usata per far riscaldare il paziente, come pure la somministrazione di bevande alcooliche.
Somministrare alcolici è una pratica vecchia di secoli, ma l'effetto di vasodilatazione periferica indotto dall’alcool porta in realtà a una perdita netta di calore. 

Un monitoraggio cardiaco deve essere iniziato appena possibile. I pazienti ipotermici sono abitualmente ipovolemici o disidratati a causa della ridotta introduzione di liquidi, del passaggio di liquidi nello spazio interstiziale e della diuresi indotta dal freddo. Liquidi per via endovenosa, preferibilmente glucosio al 5% in soluzione fisiologica senza potassio, possono talvolta essere somministrati sul campo; essi andrebbero riscaldati prima dell'uso utilizzando, in caso di mancanza di altre fonti di riscaldamento, il calore del corpo stesso del soccorritore.

MANEGGIARE CON PRUDENZA
Nella grave ipotermia, può essere necessario un minuto o più per riscontrare la presenza di sintomi vitali. I pazienti con un battito cardiaco avvertibile e che respirano spontaneamente, non importa quanto lentamente, dovrebbero essere maneggiati con delicatezza e non essere sottoposti a manovre non necessarie perché un cuore bradicardico per il freddo e estremamente irritabile, e anche stimoli minimi possono precipitare una fibrillazione ventricolare o un'asistolia. I pazienti con asistolia o fibrillazione ventricolare dovrebbero essere rianimati, ma il cuore freddo può essere relativamente non sensibile ai farmaci o a elettrostimolazione.

PAZIENTE FREDDO E APPARENTEMENTE MORTO Come la temperatura corporea interna scende sotto i 32° C, aumenta il tono muscolare, la frequenza cardiaca rallenta e la respirazione diviene lenta e superficiale. Le pupille possono essere dilatate e fisse, il polso e il respiro possono essere difficili da rilevare e il paziente può sembrare morto. Dato il diminuito fabbisogno di ossigeno da parte degli organi freddi, tuttavia, i pazienti con grave bradicardia o anche con arresto cardiaco prolungato possono recuperare senza gravi sequele. Con un'ipotermia così profonda, è preferibile rimandare il riscaldamento fino a che siano disponibili tutte le attrezzature ospedaliere. I pazienti che appaiono non vitali dopo esposizione al freddo non dovrebbero essere considerati morti fino a che la loro temperatura corporea è prossima alla norma, anche se rimangono insensibili alle manovre rianimatorie.

TRATTAMENTO IN OSPEDALE
Un'ipotermia prolungata deprime la funzione cardiaca, respiratoria, ematologica e renale e può causare ipovolemia e acidosi. Se una fibrillazione ventricolare avviene a temperatura corporea superiore a 29°-30° C, può essere fatto un tentativo di defibrillazione (al di sotto di 29° C lo shock ha scarse probabilità di successo).

Riscaldamento
I pazienti con temperatura rettale superiore a 32° C hanno generalmente una funzione cardiovascolare stabile e possono senza rischio essere riscaldati lentamente mediante coperte calde poste sopra e sotto il paziente o, se disponibile, mediante un sistema ad aria calda forzata. Il recupero è generalmente privo di inconvenienti. L'immersione del paziente in una vasca contenente acqua a temperatura di 32°-41° C aumenta rapidamente la temperatura corporea interna e può essere usata per il trattamento a breve termine dell'ipotermia, come nel caso di pazienti giovani sani che siano stati di recente immersi in acqua fredda, ma questa manovra rende difficile il monitoraggio cardiaco e può essere pericolosa per pazienti con ipotermia non leggera. In caso di ipotermia più grave, un riscaldamento esterno rapido può indurre instabilità cardiovascolare e arresto cardiaco perché il ripristino della circolazione verso la periferia può portare alla ricircolazione del sangue, freddo e acidosico, a livello degli organi interni ("afterdrop") o provocare ipotensione come conseguenza della vasodilatazione periferica.
I pazienti con temperatura rettale di 30°-32° C e condizione cardiaca stabile dovrebbero essere riscaldati lentamente ma attivamente, con coperte calde e aria calda forzata, liquidi EV caldi e ossigeno umidificato riscaldato. I pazienti con temperatura inferiore a 30° C o con instabilità cardiovascolare sono ad alto rischio per fibrillazione ventricolare. In questi pazienti, la temperatura interna dovrebbe essere aumentata mediante tecniche dirette quali dialisi peritoneale, emodialisi, bypass cardiopolmonare parziale o lavaggio con toracostomia a torace chiuso.

CONCLUSIONI
La diagnosi di ipotermia lieve deve essere specificamente sospettata e richiede un termometro in grado di leggere temperature basse. Nell'ipotermia moderata o grave, lo sforzo fisico, una mobilizzazione passiva brusca o procedure invasive possono provocare fibrillazione ventricolare; un riscaldamento attivo dovrebbe essere attuato solo avendo la possibilità di un adeguato monitoraggio. I pazienti che sembrano morti dopo una prolungata esposizione al freddo dovrebbero essere riscaldati; essi possono rispondere a manovre rianimatorie e avere un recupero senza danni neurologici.



lunedì 24 agosto 2015

categoria: segnalazioni in emergenza

A British tourist who was lost for two days in a remote area of northern Australia has described being rescued after writing an SOS in the sand.

Geoff Keys, 63, lost his way in July after trying to find an isolated waterfall in the Jardine National Park in the state of Queensland.
His disappearance led to a big search by helicopters and other rescuers.
Police told the Brisbane Times newspaper that writing the message had probably saved his life.
Writing on his blog, Mr Keys explained that he was attempting to find the Eliot Falls. 
The map showed it was not far away from his campsite, he wrote, so he decided to walk some of the way and swim the rest in a creek.
"My outfit consisted of swimming trunks, a pair of swimming shorts over them, a T-shirt and a hat."
When he was unsuccessful, Mr Keys decided to stop swimming and return to his campsite.

"Instead of turning round and swimming back upstream, I decided to take to the bush and cut across to the track. It was nearly dark. I had no shoes. What was I thinking of?" he wrote.
He wandered around until 02:00 before bedding down for the night. His friends had reported his absence and a helicopter search began the next day.
Mr Keys said he decided to swim downstream and after some time got out to write the SOS message "HELP 2807" [the date, 28 July] with an arrow pointing downstream. 
He had to spend another night in the open, and resume swimming again before rescuers noticed the message and eventually winched him to safety. 
Police said they had been on the verge of re-directing their search to another area of dense bush land when they saw the SOS. 

domenica 16 agosto 2015

categoria: pronto soccorso. Le ustioni

categoria: pronto soccorso.

Le ustioni

L’ustione è un’alterazione nel tessuto vivente indotta da un agente fornito di energia termica superiore alle capacità omeostatiche dell’organismo.
Gli agenti termici causa di ustione possono essere:
• Solidi come oggetti metallici
• Liquidi: acqua, olio, soluzioni varie, metalli fusi
• Gassosi: vapore, gas infiammati, fiamma viva (con l’esplosione si sviluppano onde meccaniche e caloriche)
• Radiazioni da sorgente solare o nucleare (l’energia radiante è costituita da raggi luminosi, ultravioletti, infrarossi e gamma).
• Elettricità: il passaggio di corrente attraverso i tessuti produce calore in base al principio di Joule; nei punti di entrata e di uscita della corrente si hanno lesioni cutanee proporzionate all’intensità della corrente, la durata del passaggio e la resistenza opposta dalla cute.
• Agenti chimici: acidi, alcali, solventi organici, magnesio, fosforo bianco

Il trattamento preospedaliero

Il trattamento preospedaliero è volto a fermare il procedere del danno tissutale da calore, ridurre il rischio di contaminazione delle ferite, preservare le vie aeree superiori e garantire una corretta ossigenazione per allontanare il rischio di morte per ipossia o intossicazione.
Il primo provvedimento da mettere in atto é raffreddare la superficie ustionata irrorandola con acqua corrente (o tramite compresse sterili freddo-umide o soluzione fisiologica raffreddata); quando l’interessamento cutaneo è superiore al 10% di superficie totale, specie negli anziani e nei bambini, l’applicazione di freddo deve essere molto cauta per non provocare ipotermia nell’ustionato, già provato dal trauma e dalla perdita di liquidi.

In questa fase del soccorso si devono rimuovere gli indumenti prossimi alla lesione, ma non si deve tentare di staccare i lembi di stoffa rimasti adesi alla cute ustionata.
Orologi, anelli o gioielli devono essere rimossi perché a causa del probabile edema si possono strozzare i tessuti vicini.
In caso di presenza di flittene, un tipo di vescicola caratterizzata da un rigonfiamento dovuto a una raccolta di liquido, generalmente sieroso, al di sotto dello strato esterno dell'epidermide, il trattamento sul posto prevede di lasciarle intatte per conservare la sterilità ed evitare l’essiccamento dei tessuti sottostanti. Solo all’arrivo in ospedale si possono rimuovere le membrane che ricoprono le flittene per evitare che il liquido contenuto possa infettarsi.
Alla presenza di ustioni profonde ed estese del torace con escara o situazioni ischemiche pericolose agli arti e alle dita può essere necessario procedere all’incisione della cute, da compiersi anche in ambiente preospedaliero.
Il paziente o il solo arto ustionato deve essere poi avvolto in un telo sterile (o almeno in un panno pulito) senza tentare una toeletta chirurgica, improponibile sul campo, coperto in un telo termico per ridurre il rischio di ipotermia e avviato al pronto soccorso.

Nei casi previsti, quando cioè la dinamica dell’evento fa pensare a danni alla colonna vertebrale, il soccorritore deve muovere il paziente con attenzione e proteggere il rachide cervicale con l’applicazione del collare.

I cosiddetti rimedi della nonna, quali l'applicazione di olio, vino o unguenti vari, vanno evitati, perché hanno l’unico risultato di impiastrare l'area ustionata rendendo difficoltosa la detersione.

Ventilazione
L’inalazione di vapori ad alte temperature e di fumi tossici determina ustioni delle vie aeree superiori e lesioni a carico dell’endotelio alveolare, causando edema delle mucose entro le prime 24 ore.
L’edema della laringe può verificarsi precocemente e trasformarsi rapidamente in ostruzione delle vie aeree.
L’uso di steroidi non riduce la formazione dell’edema ed aumenta il rischio di infezioni.
La causa principale di morte durante la fase acuta dell’ustione è legata alle lesioni da inalazione. Oltre il 50% dei decessi per ustione è dovuto ai danni da inalazione.
Un polmone “ustionato” dall’inalazione di fumi presenta un’alterata permeabilità alveolare e tendenza a sviluppare un edema polmonare in caso di sovraccarico di liquidi; la sua funzionalità si tiene sotto controllo con l’auscultazione e la saturimetria.
L’ossigenoterapia ad alta concentrazione è sempre necessaria, soprattutto se esiste il sospetto di una intossicazione da monossido di carbonio o cianati (sostanze liberate dalla combustione di sostanze plastiche).
Il paziente non cosciente, ipossico o apnoico deve essere trattato con intubazione oro-tracheale per assicurare un’adeguata ossigenazione e prevenire la polmonite ab ingestis, che si sviluppa per l'ingresso di materiali estranei nell'albero bronchiale.
Nel caso di lesioni delle vie aeree, quando l’intubazione oro-tracheale è difficile da eseguire per l’edema delle mucose e laringospasmo, si può tentare la cricotiroidotomia chirurgica o con ago.
Il soccorritore, nella fase di valutazione del paziente, in base alla dinamica dell’evento, deve ricercare anche le lesioni toraciche associate: ferite penetranti, contusioni polmonari e pneumotorace.

Circolo
Il paziente con estese ustioni di II e III grado è spesso vittima di shock per riduzione del volume plasmatico; questa complicazione si instaura in genere non prima di cinque ore dall’evento ed è trattata ormai preventivamente infondendo soluzioni di Ringer lattato e fisiologica da un accesso venoso con cannule di grosso calibro (14-16 gauge).

La quantità di liquidi da infondere è calcolata con la formula di Parkland:

Quantità di liquidi da infondere nelle prime 24 ore =
4ml x (% superficie ustionata) x (peso Kg)
Il calcolo va fatto dei liquidi da infondere parte dall’ora in cui e avvenuta l’ustione.

Tempi di infusione:
-  50% nelle prime 8 ore
-  50% nelle restanti 16h

In assenza di un’accurata valutazione dell’estensione del danno da ustione si raccomanda un carico di liquidi iniziale di 20ml/Kg con soluzioni di Ringer lattato infusi nella prima ora post-danno.

I bambini hanno una maggiore necessità di liquidi per il maggiore rapporto superficie corporea/peso e maggiore percentuale di acqua corporea in rapporto al peso; anche le necessità di sodio sono maggiori. I bambini sono anche più sensibili a una somministrazione di fluidi insufficiente o eccessiva: un ritardo di infusione maggiore di due ore dal momento del trauma causa un incremento di mortalità nel bambino ustionato.

Occorre ricordare che le formule di infusione sono soltanto delle guide, pertanto l’apporto di liquidi deve essere corretta in base alla risposta clinica del paziente.
La somministrazione eccessiva di liquidi, soprattutto in presenza di ipoproteinemia, aggrava l’edema tissutale, aumenta la pressione interstiziale, riduce la perfusione dei tessuti, aumenta la profondità delle lesioni ed aumenta il rischio di una sindrome compartimentale e/o di edema polmonare.
Dalle ventiquattro alle quarantotto ore successive è usata la metà del volume di liquidi calcolato con la formula di Parkland, associato alla somministrazione di colloidi.
I colloidi sono efficaci nel mantenere il volume plasmatico e ridurre l’edema tissutale soltanto se la permeabilità di membrana è integra. Con una rianimazione adeguata la permeabilità è restaurata entro ventiquattro ore.
I bambini e gli anziani tollerano meno gli effetti dell’edema tissutale rispetto ai pazienti adulti, per cui è possibile iniziare l’infusione di colloidi dodici ore dopo il trauma per ridurre la quantità totale necessaria di liquidi.
Dalle quarantotto alle settantadue ore l’obbiettivo diventa il mantenimento del volume plasmatico.
Catetere urinario è applicato per valutare correttamente il valore della diuresi.

Secondary Survey

Il soccorritore deve rilevare sul luogo dell’evento i seguenti dati:
- tempo intercorso dall’ustione
- meccanismo che lo ha provocata (fiamma, energia elettrica, agenti chimici)
- se l’ustione è avvenuta in spazi chiusi o aperti
- età del paziente, presenza di malattie concomitanti.

Il trattamento ospedaliero

Per stabilire la gravità della lesione si osserva la localizzazione, l'estensione e profondità dell’ustione, l’età del paziente e le sue condizioni generali.
La valutazione delle ustioni è fatta in base alla loro profondità ed estensione, facendo riferimento alla Regola del Nove (Schema di Wallace) e alle eventuali lesioni associate.
La presenza di ustioni del volto o del torace, peli del volto bruciati, stridore laringeo e sputo nerastro devono far sospettare lesioni delle vie aeree da inalazione e il rischio di intossicazione da ossido di carbonio.
Le successive valutazioni riguardano: la frequenza respiratoria e cardiaca, la pressione arteriosa, lo stato di coscienza mediante il Glasgow Coma Scale, la saturimetria, la presenza di segni specifici es. cianosi.
Funzioni di organi vitali ridotte, diminuita resistenza alle infezioni e malattie vascolari arteriosclerotiche rendono l’età un fattore determinante nel trattamento delle ustioni.
I pazienti anziani presentano più frequentemente patologie che complicano il quadro clinico dell’ustionato, inoltre la depressione del sistema immunitario e della capacità di reazione rende l’insulto termico più pericoloso di quanto ipotizzabile osservando il grado e l’estensione dell’ustione.

Regola di Wallace per gli adulti:
9% per il capo
9% per ciascun arto superiore
18% per ciascun arto inferiore
18% per la parte anteriore del tronco
18% per la parte posteriore del tronco
1% per i genitali

La regola di Wallace per l’adulto non può essere adottata per il bambino, nel quale testa e arti rappresentano le superfici più estese.
Regola di Wallace per i bambini:
18% per il capo
9% per ciascun arto superiore
14% per ciasun arto inferiore
18% per la parte posteriore del tronco
18% per la parte anteriore del tronco
1% per i genitali
Il palmo della mano (comprese le dita) del paziente rappresentano approssimativamente l’1% della superficie corporea.

Classificazione delle ustioni

Superficiale
Epidermiche: interessa solo lo stato corneo (1° grado)
Aspetto: eritematoso
Prognosi: guarigione spontanea in 5-8 giorni
Dermiche superficiali (2° grado): distruzione cellulare più profonda ma rispetta lo stato basale dell’epidermide
Aspetto: flittene con fondo rosso vivo
Prognosi: riepitelizzazione spontanea 10-15 giorni
Profonda
Dermiche profonde (2° grado): distruzione totale dell’epidermide con risparmio di follicoli piliferi e ghiandole
Aspetto: aree disepitelizzate biancastre
Prognosi: riepitelizzazione con retrazioni cicatriziali in 20-25 giorni
A tutto spessore (3° grado): distruzione completa della cute, può interessare sottocute, fascia e muscoli
Aspetto: escara biancastra o nerastra
Prognosi: guarigione possibile solo utilizzando autoinnesti cutanei







Le prime 48-72 ore dall’incidente sono quelle più critiche per il paziente ustionato. Ritardare la correzione dell’ipovolemia con un’adeguata terapia infusionale reidratante, può danneggiare gli organi vitali.
Un corretto trattamento dell’ustione è uguale a quello di una qualsiasi ferita: detersione, disinfezione e medicazione.
La detersione è il lavaggio dell’area ustionata con soluzione fisiologica e rimozione, anche chirurgica, dello sporco e dei tessuti necrotici, terreno ideale per la crescita di microorganismi.
La disinfezione combatte la proliferazione di microorganismi nel letto della ferita e l’estensione all’intero organismo, perché il paziente ustionato è spesso in una situazione di immunodepressione temporanea.
Le soluzioni di antisettici applicabili sulle ustioni sono molte, ma le più utilizzate sono la clorexidina e lo iodopovidone, applicate con impacchi locali o immergendo il paziente in una vasca, nel caso di ustioni che interessano vaste zone di cute.
Un altro presidio terapeutico molto utilizzato per l'ampio spettro germicida e per le proprietà eutrofiche é la pomata a base di sulfadiazina d'argento, utilizzata in medicazioni occlusive nelle ustioni di primo secondo e terzo grado.
La soluzione di acido borico al 3% non deve essere usata nei bambini perché è assorbita dalla cute lesa fino ad arrivare a livelli tossici.
Le pomate antibiotiche non andrebbero usate perché non si riesce quasi mai a ottenere concentrazioni sufficienti a garantire l’effetto battericida, con il risultato di selezionare ceppi batterici resistenti.

Il tipo di medicazione scelta, umida o asciutta, esposta od occlusiva dipende dalle caratteristiche della lesione stessa ed entro certi limiti dalle scelte del chirurgo.
Le medicazioni esposte, utilizzate in genere per le lesioni a livello del viso, sono praticate solamente in un ambiente a sterilità controllata, mentre negli altri casi é preferibile utilizzare medicazioni occlusive che isolano la ferita dall’ambiente esterno.
Le medicazioni biologiche, che si avvalgono di materiali di derivazione biologica quali l'acido ialuronico, hanno proprietà eutrofiche superiori alle medicazioni tradizionali.
Le lesioni limitate di primo o secondo grado che non interessano aree critiche (mani, volto, genitali, zona perianale), possono essere trattate in qualunque pronto soccorso, mentre le lesioni più estese, che interessano le aree prima citate o sono di pazienti in età pediatrica, dovrebbero essere indirizzate in strutture ospedaliere specializzate.

Controllo delle infezioni

L’infezione è la causa principale di morte dei pazienti che sopravvivono alla fase acuta. 
La comparsa di una immunodeficienza secondaria che interessa la componente cellulare e umorale facilità di comparsa di complicanze infettive, sia in sede di lesione, che a distanza. 
I presidi terapeutici da adottare sono: 
- isolamento del paziente
- medicazioni frequenti
- balneoterapia
- monitoraggio dell’infezione mediante tamponi delle zone ustionate
- emoculture, urinoculture, bronco aspirati
- terapia antibiotica mirata


Controllo del dolore

I farmaci oppiacei (morfina) hanno una azione centrale, ma possono provocare depressione respiratoria. Stretto monitoraggio; controindicazione in caso di lesioni da inalazione.
Morfina
solo e.v. in somministrazione continua (20 mg in 500 ml di soluzione fisiologica /20-50ml/h

I farmaci non oppiacei (paracetamolo, ketorolac) hanno una azione periferica, quindi hanno meno effetti collaterali e necessitano di un monitoraggio minore rispetto ai primi.
Paracetamolo 
15 mg/Kg ogni 4/6 ore, disponibile per tutte le vie di somministrazione
Ketorolak
0.2 mg/Kg. Ogni 4/6 ore, ev o per os

Approfondimento: variazioni fisiopatologiche dopo ustioni estese

L’ustione contribuisce sia all’infiammazione locale che a quella sistemica. Nella fase precoce del periodo post-ustione, sotto il tessuto necrotico è presente una zona di ischemia, danneggiata dal calore e con la struttura vascolare compromessa.   Questo tessuto marginalmente vitale si può modificare rapidamente in tessuto non-vitale per successiva ipoperfusione, edema esteso, ipossia o infezione. Nel periodo di rianimazione, la prevenzione della trasformazione della ferita da vitale a non-vitale è di estrema importanza prognostica nella maggioranza dei pazienti gravemente ustionati. 
La zona di ischemia è circondata da tessuto infiammatorio. Diversi mediatori chimici dell’infiammazione (citokine, kinine, istamina, tromboxano, radicali liberi, interleuchina-1, interleuchina-8 e interleuchina-6) sono prodotti e rilasciati nella sede dell’ustione,
aumentano la permeabilità capillare localmente e, quando le ustioni sono estese, negli organi danneggiati a distanza . 
Nelle ustioni maggiori il danno locale, che stimola il rilascio dei mediatori dell’infiammazione circolanti, induce una Risposta Infiammatoria Sistemica responsabile della riduzione del volume circolante per perdita di liquidi sia per la loro uscita attraverso la superficie cutanea lesa, sia per il loro riversarsi nei tessuti vicini e distanti. Il meccanismo principale di questo passaggio di liquidi è l’aumento di permeabilità del microcircolo.
L’ipovolemia è la conseguenza di questi spostamenti di liquidi che avvengono dopo il danno esteso da ustione; se la perdita è copiosa si ha l’instaurarsi di uno shock ipovolemico che, se non corretto tempestivamente e in maniera idonea, diventa irreversibile.
D’altra parte, se la somministrazione dei liquidi non è calcolata bene, il problema dell’ipovolemia è rimpiazzato da quello dell’edema generalizzato, che induce danni per l’aumento della pressione del tessuto e una riduzione della pressione parziale di ossigeno tissutale (danno ischemico).
La perdita di proteine dai capillari del tessuto ustionato (ipoproteinemia) può accentuare ulteriormente la formazione di edema nei tessuti non ustionati e negli organi a distanza.

Il trattamento in centri specializzati

Accesso endovenoso: se è interessata più del 40% della superficie corporea la via preferenziale è l’inserzione di un catetere venoso centrale a doppio lume per la somministrazione di liquidi (lume distale) e per le infusioni di farmaci (lume prossimale).
Monitoraggio elettrocardiografico continuo.
Ossimetria: per il monitoraggio continuo dell’ossigenazione arteriosa.
Catetere urinario: per il monitoraggio orario della diuresi.
Monitoraggio continuo della temperatura corporea.
Sondino naso-gastrico a doppio lume.
In alcuni ospedali si esegue la coltura dei microorganismi presenti nell’area lesa dall’ustione, per testare i diversi prodotti antisettici e impostare la migliore terapia locale; per medicare zone che hanno subito perdita di sostanza, sono disponibili inoltre lamine di cheratinociti eterologhe, ottenute da cellule cutanee coltivate in vitro prelevate da soggetti sani (poiché il patrimonio genico è differente da quello del soggetto ustionato queste lamine possono attecchire solo per alcuni giorni) che danno al paziente il tempo per ricostruire l'epitelio sottostante o permettono al chirurgo di ricevere dal laboratorio gli innesti cutanei o le lamine di cheratinociti ottenute da cellule prelevate dallo stesso paziente (lamine autologhe); queste medicazioni biologiche rilasciano inoltre mediatori che aiutano il processo di guarigione, diminuiscono il dolore e difendono l'area lesa dall'aggressione di microorganismi.

Nutrizione

Il paziente con ustioni gravi presenta un metabolismo superiore del 100 - 150% rispetto al loro metabolismo basale. Per prevenire l’immunodepressione e i ritardi di guarigione delle lesioni, si raccomanda la nutrizione enterale precoce, entro le prime ventiquattro ore post-ustione, in associazione ad una nutrizione parenterale bilanciata.
Nel periodo successivo all’ustione è necessario raggiungere quanto prima un bilancio positivo dell’azoto, soprattutto nel paziente con ustioni superiori al 20% della superficie corporea.