domenica 3 dicembre 2017

Col miele si cura tutto (o quasi)

categoria: pronto soccorso, miele

Col miele si cura tutto (o quasi)



il miele è una delle medicine più antiche, ed efficaci, per curare ferite e piaghe (vedi articoli precedenti sull'argomento).
Un gruppo di scienziati ha confermato questo dato effettuando prove su oltre 2mila pazienti che hanno portato le seguenti conclusioni: il miele è antibatterico, antinfiammatorio, fa riassorbire gli edemi, stimola il rinnovamento epiteliale.



Il miele si trova ovunque, è relativamente poco costoso ed è la cura migliore per le popolazioni che vivono in situazioni disagiate.



Preparazione del sapone

categoria: fai da te, preparazione del sapone

Preparazione del sapone


Un vecchio testo di Farmacopea, la VI del 1940, riporta la formula di un sapone medicinale (sapone veneto o amigdalino) a base di olio di mandorla. Poiché l'indice di saponificazione di quest'olio (190-195) è praticamente uguale a quello dell'olio d'oliva (186-196), è possibile fare una sostituizione senza incidere sul risultato finale.
La formula è la seguente:


Olio di oliva                                             p. 100
Soluzione di sodio idrossido (30%)         p.  50

Etanolo 96%                                           p.   30

Si mettono in becher l'olio, la soluzione di sodio idrossido (ottenuta sciogliendo 30 g di NaOH in acqua depurata sino a 100 ml) e l'alcool e si lascia stare il miscuglio per 12 ore, agitando di tanto in tanto. Quindi si scalda su bagnomaria (b.m.) bollente mescolando finché una piccola quantità di prodotto (di consistenza pastosa), posto in acqua calda alla stessa temperatura del b.m., si sciolga completamente.
Continuando il riscaldamento, si aggiungono piccole quantità di acqua bollente, finché il miscuglio diventa pressoché liquido; l'aggiunta di acqua totale dovrebbe alla fine corrispondere a un volume circa doppio del miscuglio di partenza. A questo punto si toglie dal b.m., si profuma a piacere con qualche goccia di essenza (citronella, lavanda) e si aggiunge una soluzione ottenuta sciogliendo 25 g di cloruro di sodio in 75 g di acqua.
Durante la fase di raffreddamento il sapone viene a galla sotto forma di scaglie, che vanno raccolte con un colino, lavate a più riprese rapidamente con poca acqua calda e spremute sino a formare una massa compatta, ma plasmabile che, posta in forme di legno foderate di carta bianca, si lasciano seccare sino a che si ottiene un sapone leggero, duro e di consistenza tale da poter essere tagliato nella forma desiderata. E' consigliato lasciare il sapone all'aria per qualche altro giorno prima di tagliarlo in porzioni di circa 100 grammi.


Una formula alternativa utilizza l'olio di cocco:


Olio di oliva                                                    p. 9
Olio di cocco                                                  p. 4,5
Soluzione di potassio idrossido (40%)*         p. 7

Acqua depurata                                             p. 2
Etanolo 96%                                                  p. 1
Essenze                                                         q.b.
    *la soluzione (liscivia) si prepara sciogliendo 40 g di KOH in acqua sino a 100 ml
Si mettendo i vari componenti in becher lasciando a lungo su b.m. a 45°C, agitando di tanto in tanto. Terminata la fase di saponificazione si lascia seccare a riposo per alcune ore e si trasferisce la massa pastosa ottenuta in forme di legno operando come descritto in precedenza. Si ottiene un sapone di buona consistenza, anche se meno "duro" di quello descritto in precedenza.

I processi chimici durante il processo di preparazione del sapone
Chimicamente i saponi sono sali alcalini di acidi grassi, costituiti da una base forte (soda o potassa caustica) e da un acido debole. Il sapone fatto in casa si ottiene trattando un grasso (trigliceride) contenuto negli oli e nei burri, sotto forma di esteri della glicerina, con soda caustica (NaOH) o potassa caustica (KOH), secondo la seguente reazione:
Il grasso è completamente idrolizzato a caldo con soda caustica; in seguito si aggiunge sale (NaCl) per aiutare la separazione del sapone (aumentando la forza ionica degli elettroliti in soluzione si diminuisce la “concentrazione attiva”).
Dal liquido si potrebbe recuperare per distillazione il glicerolo, che trova largo uso come umidificatore per vari usi (es. cosmetici; le proprietà umidificanti sono dovute ai gruppi ossidrilici che si legano con legami di idrogeno all’acqua e ne prevengono l’evaporazione). Il sapone è infine purificato con acqua bollente per estrarre i residui di base, alcoli, sale e glicerolo, trattato con additivi (coloranti, profumi), e infine rifuso e lavorato in appropriati stampi.


Come funziona il sapone
I saponi sono di solito sali di sodio di acidi carbossilici a lunga catena.
In termini più semplici una molecola di sapone è piuttosto lunga e da un lato si attacca molto bene all’acqua mentre dall’altro si attacca molto bene alle sostanze grasse; grazie al fatto che è lunga riesce a separare i grassi dall’acqua e quindi ad emulsionare lo sporco e a rimuoverlo:

(estremità che si attacca ai grassi) CH3-(CH2)n-COONa+: (estremità idrosolubile)

In acqua le molecole di sapone si attaccano allo sporco circondandolo e permettendo la sua rimozione.
Struttura di una micella, una struttura similcellulare formata dall'aggregazione di molecole di sapone (come il sodio stearato). L'esterno della micella è idrofilico (affine all'acqua) l'interno è idrofobico (affine all'olio).

sezione della micella




La Manna che vendiamo in farmacia è la stessa di memoria biblica?

categoria: alimentazione di emergenza, zuppa di licheni

La Manna che si vende in farmacia è la stessa di memoria biblica?

Il farmacista che lavora dietro il bancone della farmacia si trova spesso fra le mani un panetto bianco, il mannitolo, qualche volta su domanda di una neo mamma come blando purgante per il pargolo, ma più spesso, perchè richiesto, sopratutto di sera, da ragazzi, probabilmente anche loro un pò stitici, insieme a insuline e acque distillate. Dagli studi di botanica quando era studente, ha appreso che la mannite (o mannitolo) è contenuta nella manna dal 30 al 70%, ma il dubbio inconfessato da allora, che ogni tanto si riaffaccia è:

il panetto venduto in farmacia è la stessa manna biblica che salvò la vita agli ebrei morsi dalla fame nel deserto?


Leggendo un manuale di Botanica Farmaceutica si scopre che la biblica manna del deserto è il lichene dei deserti o Lecanora Esculenta. Questo lichene si sviluppa sui terreni desertici e nel frammentarsi forma pallottole di piccole dimensioni, che il vento trasporta a grande distanza, usato come alimento in situazioni di emergenza.
Anche i primi esploratori artici usarono licheni con finalità analoghe e tuttora in molte località scandinave si preparano zuppe e altri cibi con licheni, previa bollitura e allontanamento, con la prima acqua, dei principi amari.


La manna in vendita in farmacia è, invece, la sostanza zuccherina che indurisce all'aria dopo essere colata dalle incisioni provocate dall'uomo o dalle punture dell'insetto Cicada Orni, sul tronco del Fraxinus ornus o orniello o frassino da manna. L'orniello cresce spontaneo al Centro Italia ed è coltivato al Sud e nelle isole, oltre che in Asia Minore e Spagna.




La conservazione casalinga degli alimenti e il rischio dovuto alla tossina botulinica


categoria: alimenti, conservazione in casa dei cibi, tossina botulinica

La conservazione casalinga degli alimenti e il rischio dovuto alla tossina botulinica

Il batterio Clostridium botulinum produce la temibile tossina botulinica, della quale bastano pochi miliardesimi di grammo per uccidere un essere umano. Il batterio produce la tossina negli alimenti solo in condizione di assenza di ossigeno, in ambiente poco acido (pH superiore a 4,6) e temperatura ambiente, caratteristiche che si possono presentare nelle conserve vegetali fatte in casa. In Italia comunque questo tipo di avvelenamento è poco frequente.
Le spore del batterio, prive di tossicità, sono normalmente presenti nel terreno e possono arrivare nei barattoli dove si ripone l'alimento conservato in casa, insieme alle verdure non ben lavate; le spore sono molto resistenti al calore e sopravvivono facilmente alla bollitura che si effettua prima di mettere gli alimenti sott'olio.

sterilizzazione dei barattoli impiegati nelle conserve
Le spore del Clostridium botulinum una volta germinate, producono la tossina solamente se sono presenti le condizioni indicate precedentemente. Si deve sospettare la presenza della tossina se si notano a vista la formazione di bollicine, la deformazione del contenitore, il rigonfiamento del coperchio o liquido di copertura che cambia colore diventando opaco o biancastro In quel caso è preferibile, per sicurezza, scartare quel particolare barattolo di conserva e osservare con particolare attenzione gli altri prodotti (è sempre bene scrivere su ogni contenitore la data di preparazione per facilitare questa operazione).


La tossina prodotta è comunque sensibile al calore, quindi è bene sottoporre il prodotto conservato a una cottura a 100 °C per essere sicuri di gustare un prodotto sicuro.

Poichè manca la condizione di assenza di ossigeno, la tossina botulinica non si svilupperà in un barattolo sia già aperto, ma il prodotto deve comunque essere consumato rapidamente, per evitare lo sviluppo di altri batteri e muffe.

giovedì 30 novembre 2017

L'avvelenamento da istamina dopo un pasto a base di tonno

categoria: pronto soccorso, conservazione e lavorazione del pesce

L'avvelenamento da istamina dopo un pasto a base di tonno

Un articolo di giornale dava notizia di alcune persone ricoverate in ospedale, vittime di avvelenamento da istamina provocato dal tonno. Il tonno era stato regolarmente cotto e quindi la causa era da ricercare a monte, nella temperatura di conservazione e lavorazione del pesce.

Il tonno, consumato a tonnellate ovunque nel mondo, non viene sempre conservato come legge e buon senso prevedono, cioè a zero gradi centigradi o non è lavorato alle temperature adeguate, cioè prossime alla refrigerazione. Gli avvelenamenti da istamina provocati dal pesce sono quindi frequenti ma molti, la maggior parte, non arrivano all'attenzione del pubblico.


Quello da istamina da consumo di pesce è una reazione difficile da diagnosticare: non esiste infatti un test in grado di identificarlo immediatamente e con certezza. I sintomi, che si avvertono da pochi minuti a poche ore dall'ingestione dell'alimento incriminato, vanno dal vomito e dalla diarrea alla sensazione di bruciore intorno alla bocca, dal mal di testa fino alla palpitazione cardiaca.
Non di rado il medico è tratto in inganno e confonde questo avvelenamento con una forte allergia o una malattia cardiaca provocando in questo caso un eccesso di procedure e di interventi medici, spesso invasivi, quando basterebbero dosi adeguate di antistaminici per scongiurare qualsiasi complicazione.
L'istamina in questo caso non è prodotta dall'organismo, come quando si è vittima di un'allergia ma è introdotta con il cibo in forti quantità; si parla cioè di una tossina batterica, sintetizzata dai microrganismi fecali che contaminano il pesce. Questi batteri, quando gli animali uccisi sono conservati a temperature superiori a quella di congelamento, si moltipllcano rapidamente e producono un enzima che prontamente si dissolve nei tessuti del pesce, responsabile della produzione della tossina. Una buona cottura uccide i batteri e distrugge l'enzima, ma non ha alcun effetto sull'istamina, che finisce quindi nel piatto dello sfortunato commensale.
Il tonno, può non essere l'unico colpevole, anche altre specie marine - tutte molto comuni sulle nostre tavole, come le sardine, il pesce azzurro, per esempio - sono potenziali avvelenatori, ma sono meno vulnerabili alle fluttuazioni di temperatura di quanto non lo sia il tonno, e, di conseguenza, sono meno pericolose.


Una curiosità: il tonno utilizzato per la preparazione del sushi presenta normalmente un rischio di contaminazione più basso di quello destinato ad altre pietanze per diverse ragioni: proviene da un taglio migliore dell'animale, il filetto, meno suscettibile all'attacco dei batteri ed è inoltre comunemente conservato alle giuste temperature.


mercoledì 29 novembre 2017

L'influenza. la via "naturale"

categoria: pronto soccorso, sindrome influenzale

L'influenza. la via "naturale"


Prima di tutto occorre ricordare l'importanza delle norme igieniche utili alla persona colpita da influenza per superare meglio il periodo di degenza a letto, come riposo a letto, assunzione (cessata la fase della nausea) di bevande calde e ben zuccherate per contrastare la disidratazione conseguente all'eventuale vomito e alla febbre e anche per fornire le calorie disperse dalla febbre stessa. L'alimentazione deve essere molto leggera e comprendere cibi facilmente digeribili; evitare quindi carni lesse e formaggi e preferire brodi vegetali, carne bianca ai ferri, patate lesse non condite. I succhi di frutta vanno sorbiti lontano dai pasti. La particolare attenzione all'alimentazione si impone, in quanto nella fase acuta della viremia e a volte anche durante il decorso si ha una riduzione di produzione dei succhi gastrici digestivi.


Chi si affida alle cure fitoterapiche (per scelta o perché presenta controindicazioni all'uso di farmaci) può prendere Propoli tintura al 25% X (leggi 10) gtt. tre volte al dì in poca acqua e un infuso di Timo al 5%, 3-4 tazze al dì edulcorato con miele monoflora al Tiglio. Questa terapia oltre ad avere una certa attività antivirale, grazie ai polifenoli della Propoli e all'olio essenziale del Timo, previene le complicanze dell'influenza. Per superare il senso spossatezza tipico della patologia influenzale si può prendere X gtt. di Genziana estratto fluido in poca acqua sorseggiata tre volte al dì per stimolare le difese organiche. Per una quota di soggetti selezionati (no soggetti ipertesi ad esempio) che hanno necessità di riprendere velocemente a muoversi XX (leggi 20) gtt. di Ginseng estratto fluido 2 volte al dì (mattina e primo pomeriggio; evitare la sera essendo per alcuni troppo eccitante e disturbare il sonno).




venerdì 24 novembre 2017

Gli zuccheri

categoria: alimentazione, apporto calorico, dolcificanti

Gli zuccheri


Gli zuccheri semplici non devono mancare in un'alimentazione sana, ma è meglio che non superino il 15% delle calorie totali giornaliere. Poichè un uomo ha in media un fabbisogno di circa duemila calorie al giorno, la "quota" di zuccheri semplici non dovrebbe superare 300 calorie, ovvero 75 grammi di zuccheri al giorno.
Consideriamo l'alimentazione tipo di un adulto, vediamo quanto zucchero ingeriamo ogni giorno:
  • in una tazza di latte da 300 ml ci sono 15 grammi
  • nel mezzo chilo di frutta raccomandato sono presenti 40 grammi
  • qualche grammo proviene da verdure dolce, carote o peperoni.
  • Lo zucchero “voluttuario” consentito giornalmente, a questo punto, non deve superare i 20 grammi: lo zucchero nel caffè, qualche biscotto o dolcetto.
Le donne hanno necessità caloriche diverse, circa 1700 calorie giornaliere e quindi la quota di zuccheri scende a 64 grammi. Se restano stabili le percentuali del latte al mattino e della frutta è ovvio che devono diminuire quelle voluttuarie. Quindi occorre qualche sacrificio in più.
Non ci sono differenze sostanziali tra zucchero bianco o di canna, sebbene molti credano diversamente, quindi è necessario moderare il consumo di tutti gli zuccheri, anche del fruttosio, sebbene questo non faccia aumentare la glicemia come il saccarosio.

Gli altri zuccheri naturali, i cosiddetti polialcoli, hanno un alto potere dolcificante e non forniscono troppe calorie, ma se si eccede troppo nel loro consumo, possono provocare tensione e gonfiore intestinale. Quanto agli edulcoranti artificiali, le linee guida internazionali li sconsigliano ai bambini sotto i tre anni, alle donne in gravidanza e allattamento e invitano alla cautela anche nei bambini con più di 3 anni.

martedì 21 novembre 2017

Influenza e raffreddore. Il ruolo del vaccino per l'influenza

categoria: medicina, malattie invernali

Influenza e raffreddore. Il ruolo del vaccino per l'influenza


Non è sempre facile distinguere l'influenza dal raffreddore. In un caso su due chi crede di aver preso l'influenza è stato contagiato da uno dei tantissimi virus parainfluenzali che circolano in inverno e da cui la vaccinazione per l'influenza non protegge.

I segni tipici sono tre e perché sia vera influenza è necessario che siano presenti tutti contemporaneamente:
  • febbre improvvisa oltre i 38 gradi; la febbre è il segno più tipico, spesso il primo a comparire: soltanto negli anziani e nei bimbi al di sotto di un anno l'influenza può manifestarsi con febbre non molto elevata
  • sintomi generali (dolori muscolari, una grande stanchezza, debolezza)
  • sintomi respiratori (tosse, naso che cola)

La raccomandazione è quella di non usare antibiotici, a meno che non ci sia anche un'infezione batterica oltre a quella virale.
L'ideale è restare a casa a riposo, per evitare di spargere il contagio. Per prevenire l'attacco virale è utile evitare gli sbalzi di temperatura, coprire naso e bocca quando si è all'aperto, lavare spesso le mani e seguire un'alimentazione ricca di frutta e verdura.



Il vaccino non impedisce l'aggressione virale all'organismo, ma riduce l'entità dei sintomi della malattia e i giorni di malattia. Dopo la vaccinazione occorrono anche dieci giorni prima di avere una copertura completa.


lunedì 30 ottobre 2017

ZECCHE: UNA PROBLEMATICA DI STAGIONE

Categoria: veterinaria, patologie del cane

ZECCHE: UNA PROBLEMATICA DI STAGIONE


Ogni anno, con le prime uscite nei boschi dopo la pausa invernale, si ripropone il problema zecche, responsabili di reazioni di ipersensibilità e di malattie molto gravi, sovente non diagnosticate e sottovalutate dai proprietari dei cani che scoprono sul proprio quattrozampe uno di questi artropodi.

La zecca è un parassita che necessita per il suo sviluppo compiere un pasto di sangue sull'ospite; le zecche "molli" o Argasidae, parassitano uccelli e rettili mentre le zecche "dure" o Ixodidae, attaccano i mammiferi.
In Italia, le principali specie di zecche dure sono le Rhipicephalus sanguineus e le Ixodes ricinus.

La prima è la principale zecca del cane e parzialmente dei ruminanti domestici, la seconda ha uno stadio larvale sui roditori selvatici e quello ninfale e adulto sui ruminanti selvatici.

Il ciclo sull'ospite
Il ciclo di sviluppo della zecca può prevedere 1, 2 o 3 ospiti, cioè il parassita svolge la trasformazione da larva a ninfa e a parassita adulto sullo stesso animale oppure la larva si alimenta e si trasforma in ninfa su un ospite, cade a terra e diventa adulto e risale su un altro ospite. Il cane è parassitato da una zecca a 3 ospiti.
L'adulto femmina, dopo essere stata fecondata, cade dall'animale ospite e depone un ammasso di uova (anche più di 15.000) e poi muore.
Le uove sono depositate negli ambienti che meglio ne permettono la sopravvivenza (fessure, anfratti, crepe di muri e del legno). Le larve che si sono sviluppate dalle uova, restano dunque in attesa di un ospite (primo o definitivo, a secondo del tipo di zecca) a cui attaccarsi e su cui effettuare il pasto di sangue. In genere questi parassiti hanno una predilezione per certe specie, ma in mancanza dell'ospite "prediletto" possono attaccarsi su animali diversi, uomo compreso.



IMPORTANTE
Dopo che la zecca si è fissata alla cute dell'ospite, non inizia subito il pasto di sangue causa della possibile trasmissione dei patogeni, quindi una attenta ispezione della superficie cutanea per ricercare la presenza del parassita, è sempre consigliata al rientro a casa, dopo aver frequentato aree a rischio infestazione.

Dove cercare la presenza della zecca sul cane
La zecca si fissa facilmente al suo ospite, grazie alla facilità con cui il suo apparato pungitore-succhiatore penetra la cute (nel cane le zone di attacco privilegiate sono quelle dove la pelle è fine: a livello dei padiglioni auricolari, sui margini dell'ano o sotto la coda). 


Dopo la penetrazione della cute, la zecca emette una secrezione salivare che ha lo scopo di rendere più solido l'ancoraggio all'ospite, una sorta di “cemento”. La fase di fissazione può durare parecchie ore ed è seguita dal pasto di sangue che dura alcuni giorni. Solamente le zecche femmina, le larve e le ninfe fanno un pasto di sangue completo, mentre i maschi si accontentano di una breve fase di suzione ematica.


Quali danni provoca?
L'infestazione causa diversi problemi all'ospite: reazioni di ipersensibilità all'ospite, inoculazione di tossine, trasmissione di agenti infettivi.

Reazioni di ipersensibilità
Alla primo contatto con il parassita sulla cute del cane si osserva una reazione infiammatoria caratterizzata da un aumento di istamina e serotonina. In caso di reinfestazione, la reazione può essere più violenta e precoce, dominata da una infiltrazione di basofili ed eosinofili, che sono causa di edema e necrosi. L'edema e necrosi, determinano però anche la caduta prematura dei parassiti, prima che questi abbiano completato il loro pasto di sangue, permettendo agli animali infestati di sopravvivere più facilmente all'attacco delle zecche.


Inoculazione di tossine
Alcune specie possono inoculare delle tossine a tropismo nervoso in grado di provocare paralisi ascendente e disordini cardiaci e respiratori.

Vettori di agenti infettivi
Le zecche possono veicolare diversi agenti patogeni perchè il parassita ingerisce grosse quantità di sangue; i germi passano facilmente nelle uova delle zecche e questo consente la trasmissione del germe patogeno alle generazioni future, rendendo le zecche un importante vettore di malattie che colpiscono gli animali (domestici e selvatici), ma talvolta anche l'uomo (zoonosi).



La lotta alle zecche
la lotta alle zecche passa attraverso una efficace protezione individuale e la disinfestazione ambientale. La protezione individuale si attua attraverso il trattamento dell'animale. Numerosi sono i prodotti disponibili sul mercato: polveri, spray, lozioni, collari, bagni, etc. Tutti i cani che più facilmente vengono in contatto con questi parassiti (cani da caccia, cani che vengono spesso portati in campagna o in aree verdi, etc.) o che comunque vivono in zone endemiche per malattie trasmesse da zecche, devono essere trattati a intervalli regolari e sistematicamente protetti, anche attraverso un'ispezione visiva della cute e l'eventuale allontanamento manuale di questi parassiti dalla cute dell'animale.
La disinfestazione ambientale è riconosciuto essere un metodo di lotta difficile da attuare e il più delle volte inefficace, poiché trattare un'area non eradica il problema, ma semplicemente libera temporaneamente (e nemmeno in modo certo e totale) la zona; le zecche inoltre sono molto resistenti ai trattamenti e, riportati in zona dagli animali parassitati, ripopolano facilmente le aree trattate, rendendo ogni tipo di trattamento ambientale poco o nulla efficace.

COME ALLONTANARE LE ZECCHE DALLA CUTE?
In linea generale, un cane che ospita delle zecche sul suo corpo deve essere trattato con un antiparassitario, che indurrà automaticamente il distacco dei parassiti, senza necessità di altro intervento.
Tuttavia, nei casi in cui non è opportuno trattare (presenza solo di 1 o 2 zecche sull'animale, cane malato o molto giovane, etc.) è possibile allontanare manualmente questi dannosi "inquilini" cutanei.
La procedura deve essere eseguita con cautela e molta pazienza, per non correre il rischio di rompere il corpo del parassita nella cute dell'ospite, causando un'infezione locale. Nel caso in cui il rostro restasse infisso nella ferita, questo deve assolutamente essere asportato.
La tecnica migliore è quella di ruotare il corpo del parassita in modo da indurre la chiusura dei palpi, che rappresentano l'apparato di ancoraggio della zecca all'ospite.

Eventualmente, si può usare un batuffolo di cotone impregnato di etere da apporre qualche secondo prima sulla zecca, per facilitarne l'allontanamento. Attenzione particolare va posta anche ad evitare di comprimere troppo il corpo del parassita, in quanto ciò potrebbe causare il rigurgito del pasto a base di sangue aumentando il rischio di trasmissione di agenti patogeni.
Una volta estratto il parassita, bisogna disinfettare la zona.

PRINCIPALI ZECCHE DEL CANE IN EUROPA E IL LORO RUOLO
Specie
Ospite
Germe trasmesso
Rhipicephalus sanguineus





Dermacentor reticulatus


Ixodes ricinus
cane, gatto, ruminanti





erbivori domestici e selvatici, carnivori

ruminanti, cervidi, carnivori selvatici
Babesia canis, Babesia vogeli, Babesia gibsoni, Rickettsia canori, Hepatozoon canis, Ehrlichia canis

Babesia canis


Borrelia burgdorferi

QUALI MALATTIE TRASMETTONO AL CANE ?
La malattia di Lyme
L'agente eziologico del morbo della malattia di Lyme è Borrelia burgdorferi, che appartiene alla famiglia delle Spirochete. I serbatoi potenziali della malattia sarebbero dei piccoli roditori selvatici. In Europa, la trasmissione é assicurata da Ixodes ricinus, che può trasmettere la malattia al cane ma anche all'uomo.
L'Ehrlichiosi canina
Si tratta di una malattia sostenuta da Ehrlichia canis, parassita dei leucociti dei canidi selvatici e domestici. L'Ehrlichiosi è trasmessa ai cani dalla zecca Rhipicephalus sanguineus: la zecca più comunemente riscontrata sui nostri cani.
La Babesiosi del cane
Malattia pressoché universale, che colpisce una grande varietà di animali e l'uomo. Tra i compagni più vicini all'uomo, il cane è quello più colpito dalla Babesiosi. L'agente eziologico è Babesia canis, un parassita endoeritrocitario, trasmesso da Rhipicephalus sanguineus e Dermacentor reticulatus.
L'Epatozoonosi canina
Hepatozoon canis è un protozoo trasmesso da Rhipicephalus sanguineus responsabile di questa malattia che causa a volte un quadro clinico molto grave nei soggetti colpiti. Gli animali sensibili sono i canidi selvatici e domestici ed eccezionalmente i gatti.
L'Emobartollenosi
Si tratta di un'altra malattia trasmessa da Rhipicephalus sanguineus al cane. Il segno clinico più evidente è l'anemia, associata spesso ad altre malattie. Tuttavia, la maggior parte dei cani infetti non mostra alcun sintomo.


giovedì 26 ottobre 2017

Quanto “dura” una cartuccia?

categoria: armi


Quanto “dura” una cartuccia?





Una delle domande più ricorrenti degli appassionati è relativa alla durata di una cartuccia, ovvero dopo quanti anni possa essere considerata non sicura da sparare. Non c’è una risposta precisa a questa domanda, perché tutto dipende dalle condizioni di conservazione. Se, tuttavia, le cartucce vengono tenute in un luogo fresco e asciutto, al riparo dall’umidità e da fonti di calore, la loro efficienza può mantenersi pressoché inalterata anche per oltre mezzo secolo. Ovviamente a risentire di più del trascorrere del tempo possono essere le cartucce da caccia a pallini con bossolo in cartone, che non è completamente impermeabile agli agenti atmosferici.


Una cartuccia per pistola o carabina a bossolo metallico è pressoché a tenuta stagna (specialmente i lotti militari con sigillatura alla bocca del bossolo e all’innesco mediante vernici speciali) e, se si evita la degradazione (ossidazione) del metallo del bossolo, è virtualmente eterna.






Rivista Armi e tiro  

sabato 30 settembre 2017

Museo delle Clarisse. Grosseto (ITALIA) Raccolta di lacci, tagliole e trappole per pesci usate nel passato e raccolte nel territorio maremmano

categoria: caccia e pesca
Museo delle Clarisse. Grosseto (ITALIA) Raccolta di lacci, tagliole e trappole per pesci usate nel passato e raccolte nel territorio maremmano
vetrina con le trappole impiegata per la caccia del territorio maremmano
TAGLIOLE E LACCI PER LA CATTURA DI UCCELLI E PICCOLI MAMMIFERI








ATTREZZATURA DA PESCA FATTA CON MATERIALE RICAVATO DAI VEGETALI LOCALI, PER CATTURARE PESCI E CROSTACEI




roncole o pennati per farsi largo nel fitto sottobosco maremmano; acciarini per accendere il fuoco