venerdì 12 ottobre 2018

TRATTAMENTO DELLE FERITE E DEI TRAUMI DELL’ADDOME 1° parte

categoria: pronto soccorso

TRATTAMENTO DELLE FERITE E DEI TRAUMI DELL’ADDOME 1° parte

La cavità addominale contiene molti organi (stomaco, intestino tenue, colon, fegato, milza e la vescica urinaria) e molti grossi vasi arteriosi e venosi. Un oggetto che perfora la parete addominale può danneggiare tali organi, provocare gravi emorragie e determinare un’infezione a causa dell’ingresso di germi. Le lesioni localizzate nell’addome sono particolarmente gravi perché la loro risoluzione richiede necessariamente un intervento chirurgico non realizzabile sul campo.


Le lesioni addominali sono classificate in “aperte” (o “penetranti”) e “chiuse” (senza perforazione della parete addominale).
Nelle ferite aperte dell’addome, quando la perforazione è causata da proiettili a bassa energia o oggetti appuntiti (es. armi bianche) si creano lesioni solo lungo il loro tragitto. Nel caso invece di proiettili ad alta velocità e frammenti da esplosione si creano lesioni lungo il loro tragitto ma anche a distanza a causa dell’effetto di “cavitazione” e dell’elevata quantità di energia trasferita ai tessuti. Qualche volta il contenuto addominale (ad es. parte dell’intestino) può protrudere all’esterno attraverso la ferita (eviscerazione). L’organo più spesso interessato è il fegato a causa del maggiore volume.
traumi chiusi dell’addome sono causati da contusioni o dalla compressione diretta sull’addome, dall’azione dell’onda di pressione che si accompagna ad un’esplosione o dalla brusca decelerazione del corpo. In questo caso si possono avere danni nonostante la cute e la parete addominale non sia perforata. Le strutture più a rischio sono il fegato, la milza, i reni e la parte retro peritoneale del duodeno, mentre gli organi cavi (apparato digerente e urinario) sono più resistenti ai traumi contusivi a meno che non siano pieni al momento del trauma (aria, feci, urine, succhi gastrici, bile, alimenti liquidi e solidi etc.), in quel caso, le pareti già distese, non resistono all’ulteriore sollecitazione e si lacerano. La liberazione del contenuto dei visceri nella cavità addominale provoca una peritonite. 
I traumi addominali mettono a rischio la vita del ferito per 2 motivi: l’emorragia (prevalentemente interna) e l’infezione.
E’ indispensabile identificare correttamente i feriti con lesioni addominali importanti che richiedono un intervento chirurgico. L’identificazione è semplice nel caso si osservino ferite penetranti dell’addome (dove si presume comunque un danno vascolare e viscerale), mentre è molto più difficile nel caso di traumi chiusi dove il soccorritore deve decidere l’evacuazione del ferito prendendo velocemente in considerazione la dinamica presunta del trauma e gli altri dati ricavabili dall’osservazione della scena; nel caso di incidente con veicoli verificare se le cinture erano indossate, le condizione degli altri passeggeri e i danni riportati dal veicolo, per stabilire l’entità di energia lesiva ricevuta.



Lesioni addominali non riconosciute spesso determinano l’accumulo di grandi grandi quantità di sangue nella cavità addominale, nello spazio retro-peritoneale ed a livello dei compartimenti muscolari della radice degli arti inferiori nonostante le manifestazioni cliniche siano minime. Devono mettere in allarme la comparsa progressiva di uno stato di shock, ecchimosi estesa sulla parete addominale, l’instabilità del bacino o una lesione della parte inferiore del torace, quindi è opportuno, quando il soccorritore esamina un ferito in stato di shock senza una evidente spiegazione, considerare l’eventualità di un trauma addominale e la necessità di una evacuazione rapida del ferito.

domenica 30 settembre 2018

La risposta dell’organismo al ferimento, controllo del dolore nel paziente


Categoria: pronto soccorso

La risposta dell’organismo al ferimento e l'importanza del controllo del dolore nel paziente


Quando un vaso sanguigno viene leso l’organismo mette in atto dei meccanismi di compenso: 
- la contrazione della muscolatura del vaso lo accorcia e ne riduce il diametro del vaso riducendo l’emorragia. La contrazione è solo temporanea e lentamente si riduce facendo ripartire la fuoriuscita di sangue 
- il contatto del sangue con le pareti lesionate del vaso attiva il processo di aggregazione delle piastrine e la produzione di fibrina portando alla formazione di un coagulo a livello del vaso lacerato e all’arresto della emorragia 
- in seguito ad una lesione traumatica si osserva una immobilizzazione della parte del corpo sede della lesione; questa reazione muscolare porta a ridurre il dolore e l’afflusso di sangue alla parte colpita.
Il dolore. Effetti sullo stato di shock ipovolumetrico dopo emorragia grave
Una emorragia importante porta alla ridotta perfusione dei tessuti causa di ipossia ed aumento della concentrazione di anidride carbonica nel sangue; la conseguenza di questi valori anomali è un abbassamento della soglia del dolore dell’individuo. Un forte dolore provoca nel ferito uno stimolo alla liberazione degli ormoni dello stress come l’adrenalina che causano tachicardia, vasocostrizione periferica, ridotta perfusione dei tessuti ed aumento della pressione intracranica. L’insieme di tutti i fattori citati aggravano le conseguenze cliniche dello stato di shock ben oltre la fase “compensata”.



tccc. cause di morte evitabili in combattimento

categoria: pronto soccorso, TCCC

Tactical Casualty Combat Care (TCCC)
Assistenza pre-ospedaliera in ambiente tattico


I protocolli della TCCC sono fondamentalmente diversi da quelli tradizionali dei traumi civili, per i quali sono in genere disponibili molte attrezzature coadiuvanti la diagnostica e staff medici completi.
Queste differenze non sono legate esclusivamente al tipo di trauma ma anche alla situazione in cui si è costretti ad operare. Un pur corretto intervento medico ma effettuato in un momento sbagliato, in un ambiente tattico caratterizzato da fuoco ostile, aumenta solo il numero delle vittime. Le differenze più importanti sono:
  • presenza di elementi ostili
  • buio o condizioni ambientali estreme
  • ferite particolari (da arma da fuoco, traumi da esplosione, ecc.)
  • dotazioni mediche limitate
  • necessità di natura tattica
  • ritardi prolungati prima di ottenere un’assistenza ospedaliera
  • diversa formazione medica ed esperienza dei soccorritori
Il destino del ferito è nelle mani di chi fornisce la prima cura, in genere un paramedico combattente, quasi mai un medico, la cui preparazione nel campo dell’intervento diretto in battaglia, cioè il TCCC, è decisiva nel ridurre la gravità degli incidenti. L’addestramento alle tecniche di pronto soccorso in ambito militare prepara il soldato a fornire assistenza sanitaria, soprattutto per intervenire sulle principali cause di morti evitabili in combattimento:
- emorragie agli arti
- pneumotorace iperteso
- ostruzione delle vie aeree
La maggior parte delle vittime sul campo di battaglia muore dopo pochi minuti dal ferimento. In caso di forte emorragia arteriosa ad un arto i soldati applicano un laccio emostatico (Tourniquet) insieme ad altre tecniche di controllo del sanguinamento e medicazioni emostatiche impregnate con agenti chimici che assistono i fattori naturali della coagulazione. In caso di completa amputazione di un arto, il tourniquet è l’unico metodo che consente di arrestare o ridurre il sanguinamento.
In caso di ferita al torace è possibile che si sviluppi un pneumotorace iperteso, dove la pressione dell’aria che si accumula all'interno della cavità toracica schiaccia i polmoni impedendone il funzionamento. Ai militari si raccomanda di applicare una medicazione occlusiva per le ferite di entrata e d'uscita ed eventualmente intervenire effettuando una decompressione del torace utilizzando un ago cannula calibro 14, lungo 3,25 pollici per perforare la parete toracica, permettendo al polmone di espandersi correttamente; non è un trattamento definitivo del pneumotorace iperteso, ma si guadagna tempo in attesa dell’evacuazione.
In caso di ostruzione delle vie aeree i soldati eseguono manovre semplici movimenti sulla testa e il collo del ferito al fine di allineare correttamente la vie aeree e impiegano dispositivi per la gestione delle vie aeree utili ad impedire alla lingua di bloccare il passaggio d'aria.

stop the bleed

categoria: pronto soccorso

Campagna sulle manovre di controllo del sanguinamento

In Italia il Corpo Militare della Croce Rossa Italiana mette a disposizione istruttori qualificati e la sua struttura logistica per corsi gratuiti alla popolazione e alle forze armate e forze dell'ordine.








domenica 9 settembre 2018

Bushcraft e medicina: Paracetamolo e ibuprofene

Bushcraft e medicina: Paracetamolo e ibuprofene: categoria: farmacologia Paracetamolo e ibuprofene Il paracetamolo e l'ibuprofene sono due molecole molto impiegate nella terapia ...

Paracetamolo. Allarme overdose. Fatali dosi anche se di poco superiori al dovuto

Categoria: farmacologia

Paracetamolo. Allarme overdose. Fatali dosi anche se di poco superiori al dovuto


L'ingestione, ripetuta nel tempo, di una quantità del farmaco anche solo leggermente aumentate rispetto a quelle consigliate, può portare a effetti tossici fatali. (studio pubblicato sul British Journal of Clinical Pharmacology)

Le persone hanno preso “confidenza” con il farmaco paracetamolo, usato quando non sisentono bene, come analgesico o antipiretico, alla dose di 500 mg come OTC, cioè come medicinale che si può ottenere in farmacia senza l’obbligo di ricetta. La dose da 1000 mg è “stranamente” limitata alla presentazione di ricetta medica e ormai in molti si “autoprescrivono” il dosaggio superiore per guarire prima dal problema di salute in cui sono incorsi, spesso non richiedendo il consiglio del medico o del farmacista. Quando il farmacista fa presente i rischi di sovradosaggio e intossicazione per un uso prolungato molti cadono dalle nuvole e ringraziano il sanitario che li ha avvisato del pericolo, ma qualcuno si comporta in modo anche poco civile nei suoi confronti.
Con la speranza che queste persone credano più a quello che leggono sul proprio telefonino quando “frequentano un corso universitario parallelo su Google” pubblico i risultati di uno studio dell’Università di Edimburgo, pubblicato sul British Journal of Clinical Pharmacology, chedimostra come il paracetamolo potrebbe essere pericoloso per la salute se presoindosi un po’ aumentate per un lungo periodo di tempo. L’overdose da paracetamolo ottenuta in questo modo è inoltreanche particolarmente difficile da riconoscere e dunque ancor più pericolosa. I pazienti infatti non riconoscono i sintomi dell’abuso e spesso non pensano che il malessere possa derivare proprio da quello. “Il rischio cresce nel tempo, non come per chi assume una dose massiccia tutta in una volta, magari per tentare il suicidio. Ma a un certo punto può arrivare ad essere fatale”, ha spiegato Kenneth Simpson, docente dell’Università di Edimburgo che ha condotto lo studio.
Il problema infatti è che questo tipo di overdose è difficile da riconoscere, anche se si fanno analisi del sangue. I pazienti che arrivano in ospedale con questo problema possono avere livelli di paracetamolo bassi nel sangue, anche se stanno andando incontro ad una crisi epatica o cardiaca. Questo dipende appunto dal fatto che l’abuso si è prolungato nel tempo e non è stato frutto di una overdose da dose singola.
Per arrivare a questo risultato i ricercatori scozzesi hanno considerato 663 pazienti della Royal Infirmary of Edinburgh, ricoverati tra il 1992 e il 2008 per lesioni al fegato legate all’uso di paracetamolo. Tra questi 161 avevano assunto dosi poco oltre le indicazioni mediche, a causa di dolori comuni come mal di testa, mal di denti, o dolori muscolari. U
nquarto dei soggetti era invece andato in overdose per aver preso due o più dosi senza rispettare le otto ore di distanza l'una dall'altra, superando dunque il limite giornaliero. Circa 48 pazienti avevano assunto in maniera eccessiva il farmaco per una settimana. In alcuni casi i pazienti avevano assunto due dosi di grandi dimensioni nello stesso giorno, altri invece due o tre compresse in piu' al di' in 4-5 giorni. Questi pazienti si presentavano all’accettazione con problemi ai reni o al cervello, avevano più spesso bisogno di dialisi o di aiuto nella respirazione e correvano un rischio maggiore di morire, in rapporto a quelli da normale abuso.
Lo studio ha dimostrato che i pazienti che vanno in overdose da paracetamolo non assumendolo in unica soluzione, hanno circa un terzo di probabilità in più di morire per questo. Un problema ulteriore dipendeva dal fatto che queste persone arrivavano in ospedale in media più di un giorno dopo essere andate in overdose e per questo in condizioni peggiori.
Poiché come già detto l’analisi del livello di paracetamolo nel sangue può non essere un buon metodo per definire lo stato di salute di un paziente in overdose, i ricercatori pensano che sia necessario trovare al più presto un metodo per valutare quando sia possibile dimettere i pazienti, quando si possano curare farmacologicamente e quando ancora invece debbano essere messi in lista per un trapianto di fegato.

venerdì 29 giugno 2018

Uso del laccio emostatico (tourniquet) per fermare l'emorragia a livello degli arti. Studio sull'efficacia effettuato in un ospedale militare a Baghdad nel 2006

categoria: pronto soccorso, PHTLS, tourniquet

Uso del laccio emostatico (tourniquet) per fermare l'emorragia a livello degli arti. Studio sull'efficacia effettuato in un ospedale militare a Baghdad nel 2006


Lo studio sull’efficacia dell’uso dei lacci emostatici effettuato per più di 7 mesi nel 2006 in un ospedale militare a Baghdad (NCT00517166; ClinicalTrials.gov) ha coinvolto 2838 civili e militari ricoverati con ferite agli arti, 232 dei quali (8%) hanno ricevuto lacci emostatici. Lo studio ha valutato i tassi di sopravvivenza e l'esito degli arti cui era stato applicato il laccio emostatico distinguendo ulteriormente tra l'uso preospedaliero (PHTLS) e quello in ambito del dipartimento di emergenza (ED).


RISULTATI:
- dei 232 pazienti trattati con lacci emostatici 31 sono morti (13%); i tourniquet utilizzati quando lo shock non era ancora comparso sono associati ad alti tassi di sopravvivenza (90%)
- 194 pazienti hanno ricevuto lacci emostatici in ambito pre-ospedaliero e di questi 22 sono morti (11%)
- 38 pazienti hanno ricevuto i lacci emostatici in reparto di emergenza (emergency department; ED) e 9 di loro sono morti (24%)
- 4 pazienti (1,7%) hanno riportato una paralisi transitoria del nervo a livello del laccio, ma nessuno dei 232 pazienti trattati con laccio ha subito una amputazione esclusivamente per l’uso del laccio emostatico



CONCLUSIONI
I tourniquet utilizzati quando lo shock non è ancora comparso sono associati ad alti tassi di sopravvivenza (90%). Questo si intuisce anche confrontando la percentuale di morti nel gruppo di pazienti trattati precocemente in ambito preospedaliero (194 soggetti; 22 morti/11%) rispetto al gruppo arrivato all’ospedale senza essere stati trattati con laccio emostatico (38 soggetti; 9 morti/24%). I pazienti del secondo gruppo hanno ricevuto il laccio probabilmente più tardi rispetto all’altro gruppo e le loro condizioni, a causa del ritardato controllo dell’emorragia, dovevano essere state mediamente peggiori, quindi più probabile lo stato di shock.
L’osservazione su tutti i pazienti trattati con laccio emostatico ha evidenziato solo una bassa percentuale di effetti collaterali transitori (paralisi transitoria del nervo a livello del laccio; 1,7%) e nessuna amputazione all’arto trattato con il laccio emostatico è da attribuire unicamente all’applicazione di questo mezzo di controllo dell’emorragia.

giovedì 28 giugno 2018

Tutte le virtù della Malva


categoria: alimenti di origine vegetale, fitoterapia

TUTTE LE VIRTÙ DELLA MALVA


Per trattare le contusioni Dioscoride Pedanio (40 d.C-90 d.C), consigliava un impiastro di foglie di malva e di salice.
La Malva silvestris (fam. Malvaceae) è una pianta erbacea bienne o perenne alta 30-90 centimetri. Comune nei prati e nelle siepi di tutta Europa, preferisce i luoghi umidi e può essere facilmente confusa con specie affini.
Le foglie della Malva sono tondeggianti, lungamente picciolate con tipico margine crenato, la lamina è sottile, leggermente pelosa. I fiori sono rossastri con caratteristiche venature violacee dovute al contenuto in antocianidine (es. Malvidina).



Conosciuta e apprezzata per le proprietà lenitive e antinfiammatorie, la Malva è stata ed è tuttora impiegata popolarmente in numerose patologie: dalle punture di insetto agli eritemi solari, dalla tosse agli ascessi dentali, alla congiuntivite. Un tempo utilizzata per fini alimentari, resta diffuso il suo impiego medicinale. Era considerata la pianta del benessere intestinale e della vescica, sotto forma di decotto, consumata cruda o cotta oppure usando il decotto per clisteri e semicupi (microclismi di glicerina, malva e camomilla).
In fitoterapia moderna si usano le foglie e i fiori, raccolti poco prima della completa fioritura. La droga contiene principalmente mucillagine (fino al 12-15%) contenenti acido galatturonico, solfati flavonoidici e tannini in piccole quantità. Sono presenti anche vitamine (esempio Gruppo B, C ed E), acidi organici (es. clorogenico e caffeico), antociani. Questi ultimi sono contenuti quasi esclusivamente nei fiori, che hanno invece pochissimi tannini.
I principali impieghi della Malva riguardano le malattie delle vie respiratorie (tosse secca e grassa, laringiti, faringiti) e quelle dell'apparato gastrointestinale (coliti, enteriti, gastriti). Molto diffuso è l'uso esterno per calmare le infiammazioni del cavo orale, in particolare di origine gengivale e dentaria. Come l'Altea, questa pianta è utilizzata nelle infiammazioni oculari. Da ricordare l'impiego nelle tisane per i disturbi delle vie urinarie, in associazione con Uva ursina e altre piante ad attività diuretica. Studi recenti hanno dimostrato inoltre che l'estratto acquoso di Malva è attivo nei confronti sia dei batteri Gram + che Gram -.


La Malva è utilizzata da sempre in cosmetica: gli estratti acquosi o glicerici sono attualmente inseriti nella formulazioni ad attività rinfrescante, decongestionante e idratante per pelli secche e sensibili. Questa pianta è presente nella Farmacopea Ufficiale ed è interessante notare come debba essere evitata la sofisticazione con altre specie congeneri e con la Lavatera thuringia. E bene prestare attenzione anche alla presenza della specie fungina Puccinia malvacearum, riconoscibile per le spore di colore rosso ruggine sulla pagina inferiore della foglia.

lunedì 25 giugno 2018

l'importanza della vitamina D

Categoria: farmacologia, prevenzione malattia

L'importanza della vitamina D

In una situazione di sopravvivenza di lungo termine, prevenire le malattie può essere quasi l’unica arma a disposizione della persona isolata, lontana da una qualsiasi forma di assistenza sanitaria. Il seguente articolo tratta dell’importanza della vitamina D.



Emergenza vitamina D. In calo tra gli italiani giovani e anziani
Gli ormoni che regolano i livelli di calcio e stimolano la crescita dei muscoli sono carenti tra giovani e anziani. La colpa è attribuibile a una dieta insufficiente a garantire giusti livelli di vitamina D ed alla crisi economica, che non permette di andare in vacanza e ricaricarne le scorte. Il problema è in crescita in Italia, soprattutto tra giovani e anziani.

Per preservare la massa ossea nell’arco della vita ci affidiamo alla vitamina D, un insieme di ormoni che il nostro corpo sintetizza durante il giorno attraverso la pelle, grazie all’esposizione alla luce solare.
Il ruolo della vitamina è quello di ottimizzare la disponibilità di calcio e stimolare la crescita del tessuto muscolare, ecco perché mantenerne un livello sufficiente è importante sia per i più piccoli che per gli anziani, nei quali può prevenire il rischio di fratture.

Nei mesi invernali, secondo gli esperti, questacarenza vitaminica colpisce l’80% delle donne over 70 e il 50% degli adulti; anche i giovani sono a rischioperché il tiepido sole invernale delle nostre latitudini non è in grado di stimolare la produzione della vitamina D.In pratica, al di sopra del 37° parallelo che passa pressappoco a livello della città di Catania, nel periodo invernale non vi è la possibilità di produrre adeguate quote di vitamina D attraverso l’irradiazione solare e questo fattore è accentuato nelle grandi città dove glialti livelli di inquinamento atmosferico determinanouna minore penetrazione dei raggi solari fino alla superficie terrestre. Si tratta di una situazione ampiamente documentata,alla base ad esempio dei numerosi casi di rachitismo osservati all’inizio del Novecento nelle città del nord Europa fortemente industrializzate. Nonsi salva nemmeno chi invece ha continuato ad andare al mare sfoggiando abbronzature evidenti, visto che la melanina, la sostanza che determina il colore scuro, agisce da schermo per i raggi ultravioletti. Anche lacrisi economica è chiamata in causa per spiegare i bassi livelli di vitamina D degli italianiperché fa diminuire il periodo che gli italiani passano in vacanza al mare e in montagna.
Anche la dieta non permette di sopperire alla carenza di questi ormoni, perché il pesce non sempre è presente sulle nostre tavole. Salmone e sgombro andrebbero mangiati almeno tre volte alla settimana, ma il menù degli italiani non sempre li prevede.

un pool di esperti italiani di tutte le discipline mediche hanno preparato delle linee guida allo scopo di far emergere il problema dell’insufficienza della vitamina D, la sua importanza per la salute scheletrica e numerose altre funzioni, individuare le condizioni di carenza e trattarle. Secondo gli esperti è necessario controllare regolarmente i propri livelli di vitamina D ed eseguire un’attenta anamnesi al fine di valutare quale possa essere lo stato vitaminico D.
Allegato 1

Supplementazione di calcio e vitamina D. Studio su JAMA fa discutere 10 gennaio 2018 

Il recente studio pubblicato su JAMA, che analizza i benefici della supplementazione di vitamina D e dell’integrazione di calcio nella prevenzione delle fratture ossee, può creare confusione in coloro che potrebbero trarne giovamento.
Per cercare di fare chiarezza, arriva un monito dell’American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR), l’ organizzazione scientifica leader mondiale per gli esperti di salute ossea.Andiamo con ordine e vediamo prima cosa dice lo studio, poi la dichiarazione dell’ASBMR ed, infine, un commento del presidente della SIOMMMS.
Studio di JAMA
Il 26 dicembre è stata pubblicata su JAMA una metanalisi, ossia l’analisi di più ricerche sullo stesso argomento, realizzata da un gruppo di ricercatori guidati dal dottor Jia-Guo Zhao del Dipartimento di Chirurgia Ortopedica all’ospedale cinese di Tianjin [Association Between Calcium or Vitamin D Supplementation and Fracture Incidence in Community-Dwelling Older Adults: a Systematic Review and Meta-analysis . JAMA. 2017; 318: 2466-2482].
Questa metaanalisi ha preso preso in esame un periodo di 10 anni (dicembre 2006- dicembre 2016 ) ed ha selezionato un totale di 33 studi clinici randomizzati, che hanno arruolato complessivamente 51.145 partecipanti, che rispondevano ai criteri di selezione identificati dagli autori; e cioè: la popolazione analizzata doveva avere un’età superiore ai 50 anni e vivere nelle proprie comunità e cioè non in ospedali, case di cura o residenze assistite; gli studi dovevano analizzare l’effetto della supplementazione di calcio, di vitamina D o dell’associazione calcio-vitamina D avendo come “end point” le fratture da fragilità rispetto a placebo o nessun trattamento.Sono stati invece esclusi gli studi che includevano soggetti con osteoporosi secondaria da glucocorticoidi o che assumevano farmaci per l’osteoporosi, quelli che utilizzavano analoghi della vitamina D o preparati idrossilati della vitamina D e, infine,quelli che consideravano l’apporto di calcio e vitamina D con la dieta.
La metaanalisi di JAMA ha evidenziato come non vi sia un’associazione significativa tra l’assunzione di supplementi di calcio o di vitamina D o dell’associazione calcio-vitamina D con il rischio di frattura dell’anca rispetto al placebo o nessun trattamento (“end point “ primario dello studio). Non sono state inoltre riscontrate associazioni significative tra la supplementazione con calcio o vitamina D, o integratori combinati di calcio e vitamina D e l’ incidenza di fratture nonvertebrali, di fratture vertebrali o di fratture totali.
La conclusione degli Autori è che gli anziani non istituzionalizzati che assumono calcio o vitamina D oppure calcio più vitamina D hanno la stessa probabilità di subire fratture di quelli che non seguono alcun trattamento.
Dichiarazione dell’ASBMR
In considerazione dell’eco che i risultati della metaanalisi del Dottor Zhao stavano avendo su alcuni importanti organi di stampa statunitensi, quali il Washington Post, l’ASBMR, il 29 Dicembre u.s., ha diffuso una dichiarazione nella quale si chiarisce che, anche se lo studio riporta come non vi sia alcuna prova che i supplementi a base di calcio e vitamina D prevengano le fratture negli adulti di età superiore a 50 anni che non vivono in ospedali, case di cura o altre strutture, è fondamentale tenere presente che questa analisi si è concentrata sugli adulti sani. 
Di conseguenza, i risultati di questo studio non si applicano alle persone affette da osteoporosi o da altre malattie metaboliche dell’osso né a coloro che assumono farmaci protettivi dell’osso. Per questi, è necessario garantire un adeguato apporto di calcio e mantenere adeguati livelli di vitamina D affinché i loro farmaci siano efficaci nella prevenzione delle fratture.“Questi risultati possono causare confusione continua per i pazienti, i loro caregiver e i loro medici su chi dovrebbe e chi non dovrebbe assumere supplementi di vitamina D e calcio “, ha detto il professor Michael Econs, presidente dell’ ASBMR e professore di Medicina presso la Indiana University School of Medicine.” È importante che ognuno comprenda le linee guida che riguardano le proprie condizioni di salute e i propri rischi”.
Il commento dell’ASBMR prosegue sottolineando che per gli adulti con più di 50 anni in buona salute che vivono nella comunità, si dovrebbe mirare ad ottenere il necessario fabbisogno di calcio con la dieta da alimenti come latte, verdura, frutta e legumi. La vitamina D è presente in alcuni alimenti ed è sintetizzata nella cute e può essere ottenuta attraverso l’esposizione quotidiana alla luce del sole. La nota dell’ ASBMR conclude affermando che ciò è in linea con le raccomandazioni aggiornate della Task Force Servizi Preventivi statunitensi dell’ ottobre 2017, anche se le raccomandazioni finali non sono ancora state pubblicate.
Commento del Presidente della SIOMMMS
Questa vicenda ci deve far riflettere su quanto sia importante interpretare correttamente i dati della ricerca onde evitare di diffondere messaggi sbagliati. Da un punto di vista generale occorre tener presente che non è corretto considerare i risultati delle metaanalisi come indicazioni da trasferire direttamente nella pratica clinica, in quanto sono ovviamente influenzati sia dalla qualità degli studi considerati che dai criteri seguiti per la loro selezione. In particolare , anche per quanto riguarda la metanalisi pubblicata su JAMA, è stato rilevato che non tutti gli studi presi in considerazione sono di “qualità” elevata ed inoltre presentano differenze importanti per quanto riguarda dosi, tipo e modalità di somministrazione della vitamina D ed inoltre l’uso del calcio in associazione alla vitamina D nei vari studi è risultato essere poco consistente, tutto ciò può avere influito sui risultati.
Nonostante questi limiti, il messaggio che possiamo ricavare dal lavoro di Zhao e coll. è chiaro e cioè la supplementazione con calcio e vitamina D va fatta nei soggetti che che ne hanno bisogno e non nella popolazione generale magari proponendola come trattamento universale al di sopra di una certa età.
Nella popolazione generale adulta vanno invece promosse campagne educazionali con l’obbiettivo di far raggiungere un adeguato apporto di calcio e vitamina D attraverso una corretta alimentazione ed una adeguata esposizione alla luce solare. E’ noto però come tali norme comportamentali non siano generalmente sufficienti a ripristinare i valori normali di vitamina D in chi ne e’ carente; in tali casi si rende necessario suggerirne una supplementazione.
Il raggiungimento di adeguati livelli di vitamina D è di particolare importanza nei soggetti affetti da osteoporosi in quanto, come ci ricorda la Nota AIFA 79, una carenza di vitamina D riduce in maniera significativa l’effetto dei farmaci anti-fratturativi, sia anti-riassorbitivi che anabolici. Il dosaggio sierico della 25OHvitamina D è sicuramente opportuno per stabilire la presenza e l’entità della carenza di vitamina D. E’ infine importante ricordare come nei pazienti osteoporotici, e/o con elevato rischio fratturato, la supplementazione con calcio e vitamina D non può in nessun modo sostituire il trattamento farmacologico specifico.

Allegato 2
Linee guida su prevenzione e trattamento dell’ipovitaminosi D con colecalciferolo 
Guidelines on prevention and treatment of vitamin D deficiency 
S. Adami1, E. Romagnoli 2, V. Carnevale2, A. Scillitani3, A. Giusti4, M. Rossini1, D. Gatti1, R. Nuti5, S. Minisola2
1Unità di Reumatologia, Dipartimento di Medicina, Università di Verona;2Dipartimento di Medicina, Università La Sapienza, Roma; 3Unità di Endocrinologia, Ospedale S. Giovanni Rotondo, Foggia; 4Ospedale Galliera, Genova, Italia; 5Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Siena 
SUMMARY
The Italian Society for Osteoporosis, Mineral Metabolism and Bone Diseases (SIOMMMS) has elaborated the following guidelines about the definition, prevention and treatment of inadequate vitamin D status. The highlights are presented here. 
  • Daily vitamin D allowance ranges from 1,500 IU (healthy adults) to 2,300 IU (elderly with low calcium 
    intake). Since the average Italian diet includes around 300 IU/day, subjects with no effective sun exposure 
    should be supplemented with 1,200-2,000 IU vitamin D per day. 
  • The serum 25-hydroxy-vitamin D [25(OH)D] levels represents the most accurate way to assess vitamin D 
    repletion, even though there are still no standardized assay methods. 
  • Conditions of “deficiency” and “insufficiency” are defined by the following ranges of 25(OH)D levels: less 
    than 20 ng/ml and 20-30 ng/ml, respectively. 
  • In Italy, approximately 50% of young healthy subjects have vitamin D insufficiency during the winter months. 
    The prevalence of deficiency increases with ageing, affecting almost all elderly subjects not on vitamin D 
    supplements.
  • When a condition of deficiency has been identified, a cumulative dose of 300,000-1,000,000 IU, over 1-4 
    weeks is recommended. 
  • In subjects recently treated for deficiency-insufficiency, a maintenance dose of 800-2,000 IU/day (or weekly 
    equivalent) is recommended. In patients on daily doses over 1,000 IU, 25(OH)D levels should be checked 
    regularly (e.g. once every two years). 
  • The highest tolerated daily dose has been identified as 4,000 IU/day. 
  • Vitamin D supplementation should be carefully monitored in patients at higher risk of vitamin D intoxication 
    (granulomatosis) or with primary hyperparathyroidism. 
  • In pregnant women, vitamin D supplements should be given as in non-pregnant women, but bolus administra- 
    tion (i.e.: single dose >25,000 IU) should be avoided. 

Reumatismo, 2011; 63 (3): 129-147 

domenica 27 maggio 2018

Shock, tipi e fisiopatologia

categoria: pronto soccorso

Shock, tipi e fisiopatologia


Shock
Si definisce lo shock come una situazione circolatoria anomala che porta a riduzione globale della perfusione tissutale e che sfocia in alterazioni del funzionamento degli organi vitali fino alla loro compromissione totale ed irreversibile.
Tipi di shock ed eziologia
Nel traumatizzato si possono riscontrare contemporaneamente tutti i seguenti tipi di shock:
1) Insufficienza cardiaca (shock cardiogeno), una insufficienza di pompa che può avere molte cause tra cui la contusione cardiaca, l'infarto miocardico, l'insufficienza cardiaca congestizia, il tamponamento cardiaco, lo pneumotorace iperteso, l'anafilassi, la scarica elettrica ad elevato voltaggio e l'avvelenamento.
2) Riduzione del volume circolante (shock ipovolemico) provocato da emorragia sia interna che esterna o perdita di liquidi ed elettroliti provocata da vomito e diarrea, da insufficienza surrenalica acuta, da iperglicemia, da embolia polmonare o da strozzamento intestinale.
3) Danni al letto capillare da perdita di liquido plasmatico e di elettroliti in situazioni quali le ustioni termiche, le lesioni da freddo, l'anafilassi, lo shock endotossico (da tossine batteriche come, ad esempio, quelle della cancrena gassosa) e le lesioni da schiacciamento.
4) Aumento della capacità circolatoria (shock neurogeno). È provocata dalla dilatazione del letto vascolare per perdita del controllo vasomotorio a seguito di lesione del midollo spinale.
La descrizione che segue si applica principalmente allo shock ipovolemico.

Fisiopatologia
Quando la gettata cardiaca si riduce, diminuiscono anche la perfusione dei barorecettori carotidei nel seno carotideo e la stimolazione del centro cardioinibitore nel midollo allungato, per cui la frequenza cardiaca aumenta. Il centro vasomotorio midollare risponde alla diminuzione della gettata con una vasocostrizione delle arteriole cutanee, splacniche e muscolari e una vasodilatazione delle arteriole cardiache e cerebrali. All'inizio, il polso (la cui pressione è uguale a quella della pressione sistolica meno quella diastolica) si fa piccolo, mantenendo per un certo periodo stabile la pressione ematica che, successivamente, crolla. L'intensa vasocostrizione periferica porta ad anossia stagnante e a cianosi periferica da eccessiva riduzione della emoglobina (se presente in circolo in quantità superiore a 5 g/100 ml).
L'anossia stagnante fa sì che l'ossigeno non giunga agli organi bersaglio e che si accumuli anidride carbonica. I processi metabolici passano da aerobi ad anaerobi, con accumulo di acido lattico e acidosi metabolica. I chemorecettori carotidei nel corpo carotideo sono sensibili a questo tipo di acidosi e stimolano il centro respiratorio, provocando un incremento della frequenza respiratoria. La vasocostrizione arteriolare periferica comporta riduzione della pressione idrostatica all'estremo arteriolare del capillare, con netto riassorbimento di liquido interstiziale ed elettroliti (a patto che la pressione osmotica resti stabile) all'interno dei capillari e nello spazio intravascolare.

L’organismo del soggetto ferito risponde all’emorragia sostituendo al più presto le proteine del plasma e gli eritrociti persi.