lunedì 31 agosto 2015

infermieri e medici militari nei pronto soccorso

categoria: pronto soccorso

Emilia Romagna. I militari reclutati nei reparti più a rischio degli ospedali. Al via protocollo tra Regione e Difesa

In questo modo verranno mantenute e migliorate le competenze dei professionisti e, in futuro, si penserà a come coinvolgerli nell'organizzazione del servizio sanitario regionale. Ma si tratterà anche di un servizio ulteriore ai cittadini. “In futuro potranno essere impiegati in condizioni estreme, anche sul territorio nazionale”.

28 AGO - Un accordo che consentirà a 35 tra medici e infermieri assunti dall’esercito di operare all’interno delle strutture sanitarie pubbliche dell’Emilia Romagna. Il protocollo, secondo quanto riportato dal quotidiano 'La Repubblica' verrà firmato nei prossimi giorni dal presidente della Regione Stefano Bonaccini e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti. Non si tratterà comunque della prima Regione a misurarsi con questa novità, dato che la strada è già stata intrapresa da Toscana e Friuli Venezia Giulia. Medici e infermieri che oggi lavorano negli ambulatori delle caserme “saranno impiegati nei reparti più a rischio: emergenza, pronto soccorso affinché non “perdano la mano – si legge nel protocollo - a causa dell'inattività nel caso debbano essere impiegati, in futuro, in condizioni estreme, anche sul territorio nazionale”.

“A noi sembra un'ottima idea – ha commentato Licia Petropulacos, direttore generale dell'assessorato alla Sanità - un bell'esempio di collaborazione tra settori della pubblica amministrazione. È un'esperienza tutta da costruire, con le dovute cautele, ma il senso è quello di mantenere e migliorare le competenze dei professionisti e, in futuro, pensare a come coinvolgerli nell'organizzazione del servizio sanitario regionale, visto che parliamo di personale formato”.
L’ottica complessiva dell’operazione è quella di fornire un servizio ai cittadini, come spiega il testo del protocollo. "Il personale sanitario militare, adeguatamente addestrato, può rappresentare una risorsa aggiuntiva del sistema sanitario regionale. Può rappresentare una sinergia virtuosa ampliando le disponibilità per i cittadini”.

effetti indesiderati da piante

categoria: piante

EFFETTI INDESIDERATI DA PIANTE MEDICINALISOMMARIO

Adverse Drug reaction bulletin 4/1997
I preparati da erboristeria sono usati sempre più ampiamente, anche se la conoscenza dei loro effetti indesiderati è limitata, perché l'esperienza di coloro che li usano tradizionalmente può non essere applicabile alla pratica occidentale; inoltre, i prodotti possono essere contaminati da altre piante, da farmaci, impurità chimiche, e anche preparati puri di erbe possono avere effetti rimasti sconosciuti o diversi in popolazioni differenti.

INTRODUZIONE
Diverse piante mostrano un'attività terapeutica o procurare sollievo anche solo attraverso un importante effetto placebo.
Questa rassegna prende in esame alcuni dei problemi generali e descrive i potenziali rischi a cui possono andare incontro i consumatori di piante medicinali.
Effetti indesiderati diretti sono facilmente riconosciuti specialmente se avvengono subito dopo l'inizio del trattamento. Inoltre, l'efficacia di una medicina convenzionale può essere compromessa da una interazione indesiderata con un farmaco di origine vegetale. Per esempio, il preparato oleoresinoso gugulipid (derivato da un'antica pianta medicinale indiana, Commiphora mukul) riduce di un terzo la biodisponibilità di alcuni farmaci sintetici (diazepam e propranololo). Una diminuzione di tale entità sarebbe certamente importante se si verificasse anche con farmaci che possiedono un ristretto range terapeutico.

LIMITI DELL'ESPERIENZA TRADIZIONALE
Il fatto che esista un'antica tradizione per molte cure a base di erbe dimostra che vi è una considerevole esperienza informale sui loro effetti desiderati e indesiderati. Questo è un mezzo efficace per l'identificazione degli effetti indesiderati che possono insorgere rapidamente dopo l'inizio della terapia in una elevata percentuale di utilizzatori. Classici esempi sono gli effetti cardiotossici della digitale e i sintomi anticolinergici indotti dalla belladonna. Tuttavia può essere più difficile identificare le reazioni che cominciano a manifestarsi solo durante un uso prolungato. Un esempio è il manifestarsi di miastenia da ipopotassiemia per chi usa per lungo tempo lassativi antranoidi a base di erbe (quali senna e cascara). Può essere anche difficile riconoscere gli effetti indesiderati che non sono correlati alle proprietà farmacologiche principali di un farmaco e che non migliorano dopo la riduzione della dose. Tali reazioni cosiddette di tipo B sono spesso mediate immunologicamente. Ne sono esempi le rare reazioni cutanee e respiratorie da Echinacea, e casi isolati di epatotossicità negli utilizzatori di certe formule tradizionali cinesi per malattie cutanee.
Possono anche non essere riconosciuti gli effetti teratogeni e cancerogeni dei medicamenti a base di erbe. Per esempio le amine di alcune piante medicinali nigeriane, in condizioni gastriche simulate, possono essere convertite in cancerogeni N-nitrosi. Un esempio clinico è la presenza di acidi aristolochici in diverse specie medicinali del genere Aristolochia. Questi acidi sono altamente cancerogeni nei roditori, e sono stati descritti casi di tumore nell'uomo associati ad Aristolochia.
In conclusione, una esperienza consolidata può insegnarci moltissimo circa tossicità acute sorprendenti e prevedibili, ma è uno strumento meno affidabile per la scoperta di reazioni che non si manifestano comunemente, che si instaurano con gradualità o dopo un prolungato periodo di latenza, o che diano segni e sintomi che potrebbero essere senza difficoltà ascritti a cause non-vegetali.

RISCHI NON TRADIZIONALI
Modi non tradizionali di usare piante tradizionali possono anche portare a effetti indesiderati prima non noti. Ci si può chiedere, per esempio, fino a che punto l'eccellente primato di sicurezza orale che vantano certe erbe sia applicabile alle sigarette di erba. Inoltre, vi sono prove a sostegno del fatto che certi rischi respiratori attribuiti al fumo di tabacco possono essere estesi al fumo di prodotti vegetali diversi dal tabacco, in particolare la marijuana. In una segnalazione da Taiwan, un'epidemia di bronchiolite obliterante era correlata all'ingestione di Sauropus androgynus, un’erba tradizionalmente cotta prima di essere consumata come una verdura, ma in questo caso consumata come succo di foglie non cotte, secondo un metodo non dimostrato di controllo del peso.

CAUSE DI REAZIONI LEGATE AL MEDICAMENTO
La composizione reale e la modalità d'uso sono i principali determinanti della tossicità potenziale di un particolare medicamento a base di erbe. Sfortunatamente, non sempre è sufficiente il controllo dell'etichetta di una confezione di erbe per escluderne la nocività, perché alcune delle preparazioni attualmente disponibili sono contaminate, sia intenzionalmente che accidentalmente, con potenti sostanze vegetali o non vegetali. Per esempio, un avvelenamento anticolinergico è stato associato a un South American Paraguay Tea, che conteneva alcaloidi tossici della belladonna invece degli attesi derivati delle xantine. Di particolare preoccupazione è la costante presenza di metalli tossici (piombo, arsenico, mercurio, cadmio, tallio) e di farmaci occidentali (per esempio, corticosteroidi, antiinfiammatori non steroidei e benzodiazepine) in medicamenti a base di erbe e altri rimedi etnici di origine asiatica.
I medicamenti sicuri a base di erbe dovrebbero anche essere privi di residui di pesticidi o di sostanze fumiganti e di microorganismi patogeni, ma la contaminazione è sempre un rischio da non sottovalutare. Esemplificativo è il caso segnalato di un soggetto che aveva ricevuto un trapianto di midollo, il quale aveva probabilmente contratto una micosi epatica per ingestione di un farmaco naturale contaminato da un fungo.

CAUSE DI REAZIONI LEGATE AL CONSUMATORE
La possibilità che un farmaco di origine vegetale determini un effetto indesiderato può anche dipendere dalle caratteristiche del consumatore, quali età, caratteristiche genetiche e malattie concomitanti. Per esempio, i metabolizzatoti lenti della chinolizidina, alcaloide della sparteina, saranno più predisposti al potenziale effetto ossitocico e ad altri effetti tossici del Cytisus scoparius rispetto ai metabolizzatoli rapidi. Un altro esempio interessante è che i cinesi sono più sensibili agli effetti dell'atropina sulla frequenza cardiaca rispetto ai bianchi, che a loro volta sembrano essere più sensibili dei neri. Una conseguenza teorica di queste differenze razziali è che l'esperienza locale con un'erba medicinale non può essere sempre estrapolata indiscriminatamente a società con altre caratteristiche etniche.
Preparati che sono generalmente sicuri in condizioni normali possono essere pericolosi in circostanze specifiche. Per esempio, preparati ricchi di psoraleni possono causare ustioni fototossiche nei frequentatori di solarium o in pazienti sottoposti a terapia con PUVA.
Sono anche possibili interazioni indesiderate fra diversi farmaci vegetali e tra un farmaco vegetale e una medicina convenzionale. Secondo una recente osservazione sui numerosi effetti indesiderati associati al consumo di Ma Huang (Ephedra) negli Stati Uniti, gli effetti indesiderati di efedrina e caffeina combinate possono essere maggiori di quelli dovuti al consumo di ognuno dei due composti da solo.

PASSI VERSO UN UTILIZZO PIÙ SICURO
Per promuovere la sicurezza dei farmaci di origine vegetale si dovrebbero fare sforzi sistematici per raccogliere, valutare e diffondere dati circa le loro azioni indesiderate. Tali sforzi dovrebbero essere estesi alle piante non occidentali, non solo perché i rimedi a base di erbe hanno un ruolo vitale nei sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo, ma anche perché i medici occidentali si possono trovare di fronte a pazienti non occidentali che utilizzano rimedi tradizionali della loro terra di origine. Una recente indagine sulle medicine indiane e pakistane in uso nel Regno Unito ha identificato perlomeno 320 composti a base di erbe, molte delle quali non sono ben conosciute nella fitoterapia occidentale.
Le conoscenze tossicologiche relative ai medicamenti a base di erbe dovrebbero essere attivamente utilizzate per bandire i rimedi non sicuri e scoraggiare le pratiche pericolose ed un sistema speciale di autorizzazione alla commercializzazione per i farmaci di erboristeria potrebbe aiutare a ridurre l'introduzione sul mercato di preparati potenzialmente dannosi. Quando un certo tipo di erba non è sufficientemente sicuro per l'uso comune, la possibilità che i suoi rischi per la salute possano risiedere in costituenti che sono presenti anche in altre piante medicinali dovrebbe essere presa in considerazione in modo più sistematico. È di notevole interesse, per esempio, che la radice di robbia (Rubia tinctorum) sia stata bandita dal mercato tedesco senza alcun riferimento al fatto che alcuni dei suoi antranoidi genico tossici si trovino anche in piante medicinali orientali, quali la Morinda umbellata, la Rubia cordifolia, l’Hymenodictyon excelsum e il Damnacanthus indicus.
Un altro passo essenziale verso una maggiore sicurezza della commercializzazione delle piante medicinali è una politica attiva per scoprire quanto non è ancora noto circa la loro tossicità. Studi sperimentali in questo campo dovrebbero pertanto essere estesi e integrati con la farmacovigilanza sulle erbe.

Alcune piante potenzialmente tossiche
Piante
Costituente(i) potenzialmente tossici
Aconitum spp.

Acorus calamus (varietà tetraploide)

Adenostyles alliariae

Adonis vernalis

Anisodus tangutìcus

Anthoxanthum odoratum

Areca catechu

Arìstdlochia spp.

Artemisia absinthium (olio essenziale)

Artemisia dna

Asclepias tuberosa

Asperula odorata

Atropa belladonna

Bryonia alba

Callilepis laureola

Cannabis sativa

Catha edulis

Chenopodium ambrosioides

Chrysantemum vulgare (olio essenziale)

Citrullus colocynthis

Claviceps purpurea

Colchicum autumnale

Conium maculatum

Convallaria majalis

Convolvulus scammonia

Corydalis spp.

Crotalaria spp.

Croton tiglium (olio)

Cytisus scoparius (erba)

Datura spp.

Digitalis spp.

Dipteryx spp.

Dysosma pleianthum

Ecbalium elaterium

Ephedra spp.

Erythroxylum spp.

Euonymus europaeus, E. atropurpureus

Eupatorium cannabinum, E. purpureum

Eupatorium rugosum

Exogonium purga

Gaultheria procumbens (olio essenziale)

Genista tinctoria

Gossypium spp.

Hedeoma pulegioides (olio essenziale)

Heliotropium spp.

Hysoscyamus niger

Iphigenia indica

Juniperus communìs (olio essenziale)

Larrea tridentata

Lobelia inflata

Mallotus philippinensis

Mandragora officina rum

Mentita pulegium (olio essenziale)

Nerium oleander

Papaver somniferum

Pausinystalia yohimbe

Petasites spp.

Phytolacca americana

Pilocarpus pennatifoìius

Piper methysticum

Pithecellobium jiringa

Podophyllum peltatum

Prunus spp. (semi o gherigli crudi)

Rauwolfia spp.

Ricinus communis (olio non volatile)

Salvia miltiorrhiza

Salvia officinalis (olio essenziale)

Sassafras albidum (olio essenziale)

Scopalia carnioìica

Senecio spp.

Stephania spp.

Strophantus spp.

Strychnos nux-vomica

Symphytum officinale

Taxus celebica

Teucrium chaemaedrys, T. canadense, T. polium

Tripterygium spp.

Urginea maritima

Veratrum spp.

Xismalobium undulatum
alcaloidi (cardio)tossici

beta-asarone mutageno e cancerogeno

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
glicosidi cardioattivi

alcaloidi tropanici anticolinergici

cumarina epatotossica

alcaloidi colinergici

acidi aristolochici nefrotossici e cancerogeni, e aristoiattamioi
thujone neurotossico

santonina

glicosidi cardioattivi

cumarina epatotossica

alcaloidi tropanici anticolinergici

cucurbitacine purgative

atractiloside nefrotossica ed epatotossioa, e composti correlati
cannabinoidi psicoattivi

alcaloidi amfetamino-simili

ascaridolo

thujone neurotossico

cucurbitacine purgative

alcaloidi ergotaminici

colchicina

alcaloidi piperidinici teratogeni

glicosidi cardioattivi

resina purgativa

tetraidropalmatina depressiva del sistema nervoso centrale ed epatotossica (dl-forma)
alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
diesteri di forbolo purgativi e oncogeni

alcaloide sparteina cardiotossico e abortivo

alcaloidi tropanici anticolinergici

glicosidi cardioattivi

cumarina epatotossica

podofillotossina purgativa, neurotossica e teratogena
cucurbitacine purgative

alcaloidi simpaticomimetici e psicostimolanti

cocaina psicostimolante

componenti catartici ed emetici

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
tremetol

resina purgativa

salicilato di metile

alcaloidi chinolizidinici tossici e teratogeni

gossipolo che induce ipopotassiemia ed è un contraccettivo maschile
pulegone (epato)tossico

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
alcaloidi tropanici anticolinergici

colchicina

componente(i) che irrita il tratto gastroenterico
componente(i) epatotossico

lobelina e altri alcaloidi piridinici

tossina(e) purgativa ed emetica

alcaloidi tropanici anticolinergici

pulegone (epato)tossico

glicosidi cardioattivi

alcaloidi narcotici, come la morfina

yoimbina ansiogena e ipertensiva e alcaloidi correlati
alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
componente(i) purgativo, emetico e cardiotossico
alcaloide colinergico pilocarpinico

derivati pironici depressivi del sistema nervoso centrale e miorilassanti
componente(i) nefrotossico

podofillotossina purgativa, neurotossica e teratogena
glicoside amigdalina cianogeno

alcaloidi reserpinici e analoghi

tossina(e) emetica e purgativa

componente(i) che potenzia il farfari

thujone neurotossico

safrolo mutageno ed epatocarcinogeno

alcaloidi tropanici anticolinergici

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
tetraidropalmatina depressiva del sistema nervoso centrale ed epatotossica (/dorma)
glicosidi cardiotossici

stricnina convulsivante e altri alcaloidi

alcaloidi pirrolizidinici epatotossici e cancerogeni
componente(i) nefrotossico

furanoditerpenoidi epatotossici


diterpenoidi tossici e immunosoppressori

glicosidi cardioattivi

alcaloidi ipotensivi

glicosidi cardioattivi





Ipotermia The Medical letter 1995

categoria: pronto soccorso

TRATTAMENTO DELL'IPOTERMIA

The Medical Letter 1/2/1995

L'età avanzata, la mancanza di abitazioni adeguate, il sovradosaggio di droghe o medicinali e l'ingestione di alcool sono spesso fattori predisponenti, ma un'ipotermia può verificarsi anche in persone giovani e sane dopo una prolungata esposizione al freddo dovuta a traumi invalidanti o a immersione in acqua gelida. Un'ipotermia associata a esaurimento fisico nel corso di attività sportive all'aperto può verificarsi anche a temperature non particolarmente rigide.

DIAGNOSI
Un'ipotermia può talvolta passare inavvertita; la maggior parte dei termometri clinici legge temperature non inferiori a 34°-35° C, e i segni e i sintomi di ipotermia non sono specifici. Confusione mentale, andatura difficoltosa, letargia e aggressività sono segni precoci, specie nelle persone anziane. Il brivido può essere una chiave diagnostica, ma i pazienti ipotermici la cui temperatura corporea è inferiore a 32° C possono non rabbrividire o persino non sentire freddo.


TRATTAMENTO SUL CAMPO
Gli abiti bagnati andrebbero tolti delicatamente e un'ulteriore perdita di calore prevenuta con coperte poste sopra e sotto il corpo, borse di acqua calda o pietre riscaldate e avvolte in panni e, se disponibile, con ossigeno riscaldato umidificato. L'attività fisica non dove essere usata per far riscaldare il paziente, come pure la somministrazione di bevande alcooliche.
Somministrare alcolici è una pratica vecchia di secoli, ma l'effetto di vasodilatazione periferica indotto dall’alcool porta in realtà a una perdita netta di calore. 

Un monitoraggio cardiaco deve essere iniziato appena possibile. I pazienti ipotermici sono abitualmente ipovolemici o disidratati a causa della ridotta introduzione di liquidi, del passaggio di liquidi nello spazio interstiziale e della diuresi indotta dal freddo. Liquidi per via endovenosa, preferibilmente glucosio al 5% in soluzione fisiologica senza potassio, possono talvolta essere somministrati sul campo; essi andrebbero riscaldati prima dell'uso utilizzando, in caso di mancanza di altre fonti di riscaldamento, il calore del corpo stesso del soccorritore.

MANEGGIARE CON PRUDENZA
Nella grave ipotermia, può essere necessario un minuto o più per riscontrare la presenza di sintomi vitali. I pazienti con un battito cardiaco avvertibile e che respirano spontaneamente, non importa quanto lentamente, dovrebbero essere maneggiati con delicatezza e non essere sottoposti a manovre non necessarie perché un cuore bradicardico per il freddo e estremamente irritabile, e anche stimoli minimi possono precipitare una fibrillazione ventricolare o un'asistolia. I pazienti con asistolia o fibrillazione ventricolare dovrebbero essere rianimati, ma il cuore freddo può essere relativamente non sensibile ai farmaci o a elettrostimolazione.

PAZIENTE FREDDO E APPARENTEMENTE MORTO Come la temperatura corporea interna scende sotto i 32° C, aumenta il tono muscolare, la frequenza cardiaca rallenta e la respirazione diviene lenta e superficiale. Le pupille possono essere dilatate e fisse, il polso e il respiro possono essere difficili da rilevare e il paziente può sembrare morto. Dato il diminuito fabbisogno di ossigeno da parte degli organi freddi, tuttavia, i pazienti con grave bradicardia o anche con arresto cardiaco prolungato possono recuperare senza gravi sequele. Con un'ipotermia così profonda, è preferibile rimandare il riscaldamento fino a che siano disponibili tutte le attrezzature ospedaliere. I pazienti che appaiono non vitali dopo esposizione al freddo non dovrebbero essere considerati morti fino a che la loro temperatura corporea è prossima alla norma, anche se rimangono insensibili alle manovre rianimatorie.

TRATTAMENTO IN OSPEDALE
Un'ipotermia prolungata deprime la funzione cardiaca, respiratoria, ematologica e renale e può causare ipovolemia e acidosi. Se una fibrillazione ventricolare avviene a temperatura corporea superiore a 29°-30° C, può essere fatto un tentativo di defibrillazione (al di sotto di 29° C lo shock ha scarse probabilità di successo).

Riscaldamento
I pazienti con temperatura rettale superiore a 32° C hanno generalmente una funzione cardiovascolare stabile e possono senza rischio essere riscaldati lentamente mediante coperte calde poste sopra e sotto il paziente o, se disponibile, mediante un sistema ad aria calda forzata. Il recupero è generalmente privo di inconvenienti. L'immersione del paziente in una vasca contenente acqua a temperatura di 32°-41° C aumenta rapidamente la temperatura corporea interna e può essere usata per il trattamento a breve termine dell'ipotermia, come nel caso di pazienti giovani sani che siano stati di recente immersi in acqua fredda, ma questa manovra rende difficile il monitoraggio cardiaco e può essere pericolosa per pazienti con ipotermia non leggera. In caso di ipotermia più grave, un riscaldamento esterno rapido può indurre instabilità cardiovascolare e arresto cardiaco perché il ripristino della circolazione verso la periferia può portare alla ricircolazione del sangue, freddo e acidosico, a livello degli organi interni ("afterdrop") o provocare ipotensione come conseguenza della vasodilatazione periferica.
I pazienti con temperatura rettale di 30°-32° C e condizione cardiaca stabile dovrebbero essere riscaldati lentamente ma attivamente, con coperte calde e aria calda forzata, liquidi EV caldi e ossigeno umidificato riscaldato. I pazienti con temperatura inferiore a 30° C o con instabilità cardiovascolare sono ad alto rischio per fibrillazione ventricolare. In questi pazienti, la temperatura interna dovrebbe essere aumentata mediante tecniche dirette quali dialisi peritoneale, emodialisi, bypass cardiopolmonare parziale o lavaggio con toracostomia a torace chiuso.

CONCLUSIONI
La diagnosi di ipotermia lieve deve essere specificamente sospettata e richiede un termometro in grado di leggere temperature basse. Nell'ipotermia moderata o grave, lo sforzo fisico, una mobilizzazione passiva brusca o procedure invasive possono provocare fibrillazione ventricolare; un riscaldamento attivo dovrebbe essere attuato solo avendo la possibilità di un adeguato monitoraggio. I pazienti che sembrano morti dopo una prolungata esposizione al freddo dovrebbero essere riscaldati; essi possono rispondere a manovre rianimatorie e avere un recupero senza danni neurologici.