giovedì 6 febbraio 2014

“Quel naufrago del Pacifico è il nostro amico José”

CATEGORIA: STORIE DI SOPRAVVIVENZA

Medici ancora scettici. Ma parenti e colleghi assicurano: era sparito da un anno

AFP
Il pescatore José Salvador Alvarenga dice di essere sopravvissuto per 13 mesi alla deriva nell’Oceano Pacifico sulla sua piccola barca in vetroresina

I medici che in questi giorni hanno visitato José Salvador Alvarenga a Majuro, la capitale delle isole Marshall, ancora non possono credere che abbia vissuto per 13 mesi alla deriva nell’Oceano Pacifico. Non ha le labbra screpolate, non ha la pelle bruciata dal sole, non ha l’aspetto emaciato e scheletrico che ci si potrebbe aspettare. Persino i suoi reni sono in ordine e l’unico problema di cui soffre è un gonfiore alle labbra e al viso.  

Ma dal Messico, da dove afferma di essere salpato per una battuta di pesca agli squali nel dicembre del 2012, arrivano in continuazione conferme alla sua strabiliante storia, destinata a diventare la più grande avventura mai capitata in mare ad un essere umano. Ora che si è fatto tagliare la lunga barba e i capelli, i vecchi amici, i compagni di pesca e i parenti che vivono nel Salvador lo hanno riconosciuto. È proprio lui, «La Chancha», come veniva soprannominato con un termine che indica il maiale, usato per deridere le persone di grossa corporatura. Vilermo Rodriguez, detto «Willie», ha confermato che José lavorava per la sua cooperativa «Camaroneros de la Costa», nel villaggio di Costa Azul, nel Chiapas e che era partito nel dicembre del 2012 con un compagno di pesca, Ezechiel Cordova, in cerca di squali. Il tempo volgeva al brutto e tutti avevano sconsigliato ai due di prendere il mare. I pescatori della zona si allontanano dalla riva anche per 80 miglia e stanno via un paio di giorni senza avere a bordo nessuna strumentazione. Nel pomeriggio l’oceano si mise a burrasca e la barca di José e Ezechiel venne spinta verso ovest da venti di oltre 90 chilometri orari, contro i quali non c’è nulla da fare. Jaime Marroquin, della protezione civile, ha confermato che furono avviate ricerche dei due dispersi, interrotte però dopo un paio di giorni per scarsa visibilità.  

La barca scoperta in vetroresina lunga 23 piedi sulla quale José ha percorso 15 mila chilometri di oceano è stata ora fotografata in secca nell’atollo di Ebon, dove è approdata dopo quasi 400 giorni alla deriva. È uno scafo decrepito, che non sembra avere mai avuto giorni migliori. Al centro ha ancora una grande scatola blu, che fungeva da ghiacciaia per il pescato, dentro la quale José ha detto di essersi riparato ogni giorno dai raggi del sole. Forse vi ha raccolto anche l’acqua piovana. Sul fianco destro compare la scritta «Camarones de la Costa», che conferma l’appartenenza della barca alla malconcia flottiglia di Vilermo Rodriguez. C’è anche un numero di telefono, che comincia con il prefisso 070.  

L’ambasciatore americano alle Marshall, Tom Armbruster, ha preso molto a cuore la vicenda e crede nel racconto di José. Se non fosse vero, ha detto, resterebbe da spiegare come una barca in vetroresina del Chiapas sia comparsa all’improvviso nell’atollo di Ebon. Mike Tipton, che ha scritto un libro di successo su come sopravvivere in mare, ha confermato che non è assolutamente impossibile che José ce l’abbia fatta e sia in buone condizioni. Il sangue di tartaruga che ha bevuto in abbondanza è un elisir di vita e contiene vitamine e proteine. Gli occhi delle tartarughe e dei pesci sono pieni di liquido e gli errori mortali che può commettere un naufrago sono quelli di bere acqua di mare e restare esposto al sole. Josè lo sapeva e i pescatori come lui che conoscono l’oceano sanno come affrontare le tempeste e sopravvivere in condizioni estreme.  

Nonostante i dubbi che ancora circondano una storia senza precedenti come questa, tutto lascia pensare che il viaggio di José entrerà nell’epica del mare, a conferma della capacità dell’uomo di adattarsi a ogni circostanza. Il suo compagno, morto dopo un mese perché non digeriva il pesce crudo, aveva un nome biblico, Ezechiel, come il protagonista di «Moby Dick», Ishmael. L’eroe di Melville si salvò dall’oceano dentro a una cassa da morto; José ce l’ha fatta solo perché a bordo aveva la cassa del ghiaccio.  
La Stampa

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