domenica 3 aprile 2016

Enterococchi negli alimenti: ruoli e potenziali pericoli

Categoria: alimentazione, farmacologia

Enterococchi negli alimenti: ruoli e potenziali pericoli


Marilena Marino
Dipartimento di Scienze degli Alimenti
Università degli Studi di Udine

Igiene Alimenti – Disinfestazione & Igiene Ambientale
Maggio/Giugno 2004

Estratto di un articolo del 2004 dove sono discusse le implicazioni connesse alla presenza di enterococchi negli alimenti, con particolare attenzione al loro ruolo batteri nella maturazione degli alimenti fermentati di origine animale, ma anche all'emergenza sanitaria correlata alla diffusione di ceppi resistenti agli antibiotici

Introduzione
Gli enterococchi sono un gruppo di batteri lattici particolarmente importanti in microbiologia ambientale, alimentare e clinica; sono presenti in una vasta gamma di habitat, soprattutto grazie alla loro elevata capacità di crescere e sopravvivere in ambienti ostili. Poiché costituiscono una parte essenziale della microflora autoctona nel tratto gastrointestinale dell'uomo e degli animali, possono essere considerati come normali commensali del loro organismo.
La presenza di Enterococcus faecalis ed E.faecium negli alimenti è stata considerata per lungo tempo un indice di contaminazione fecale: di fatto la sopravvivenza in ambienti ostili, la resistenza a condizioni frequenti di pH ambientale ed alle concentrazioni saline elevate, sono dei prerequisiti per far sì che un microrganismo venga considerato un indicatore di contaminazione. Attualmente, tuttavia, l'opinione più diffusa è quella che considera gli enterococchi una parte normale della microflora degli alimenti e non solo degli indicatori di scarsa igiene.

Presenza degli enterococchi negli alimenti
La presenza degli enterococchi nel tratto gastrointestinale degli animali può facilmente portare alla contaminazione delle carni nel corso della macellazione, infatti ceppi di E.faecalis ed E.faecium sono stati isolati nei tagli di carne bovina e suina fresca, insaccati cotti a base di carne suina e carni fermentate come salame e salsicce, dove questi batteri possono moltiplicarsi grazie alla loro capacità di resistere a condizioni estreme di temperatura, pH e concentrazioni saline.



Gli enterococchi sono, tra i batteri non sporigeni, i più termotolleranti; per questo motivo possono creare problemi di alterazione nelle carni nonostante i trattamenti termici cui vengono sottoposte, anche se questi portano la temperatura al cuore del prodotto a valori di 60-70°C; la sopravvivenza di E. faecalis ed E. faecium a questi trattamenti è la premessa alla comparsa di fenomeni di deterioramento in prodotti carnei pastorizzati. La termoresistenza degli enterococchi in questo tipo di prodotti è influenzata dalla presenza di componenti come il sale, i nitriti ed i tessuti carnei; per prevenire lo sviluppo di alterazioni è necessario limitare il più possibile la contaminazione iniziale delle carni ed adeguare le temperature di trattamento alla resistenza termica degli enterococchi isolati dalle carni. Anche la presenza degli enterococchi nei prodotti caseari è stata a lungo considerata un indice di condizioni igieniche inadeguate nel corso della produzione e dei successivi trattamenti del latte legata a episodi di contaminazioni dovute a feci bovine, acque di lavaggio, attrezzature utilizzate durante la mungitura e serbatoi per il latte.


Attualmente, invece, l'opinione della maggior parte degli autori è quella di suggerire l'ipotesi secondo cui la presenza degli enterococchi in alcuni formaggi potrebbe invece essere auspicabile, poiché contribuiscono alla sviluppo di aroma nel corso della maturazione, poiché l'alta quantità di enzimi proteolitici che producono degradano la caseina del latte, incrementando la concentrazione di gruppi amminici e frazioni azotate solubili, con conseguente miglioramento di sapore, aroma, colore, struttura e profilo sensoriale globale dei formaggi; tra gli effetti positivi correlati alla presenza di enterococchi nei formaggi vanno anche ricordati l'idrolisi dei grassi del latte a opera di esterasi specifiche e la formazione di aromi tipici legati a composti quali acetaldeide, acetoino e diacetile. In ragione del loro ruolo nello sviluppo dei fenomeni biochimici correlati alla maturazione ed alla formazione di composti dell'aroma nei formaggi, alcuni autori hanno proposto l'inclusione di alcuni ceppi di enterococchi in miscele di starter per diversi formaggi europei (Mozzarella, Feta greca ecc.).
L'isolamento di enterococchi in un gran numero di formaggi, specialmente quelli prodotti con metodiche artigianali utilizzando latte crudo o pastorizzato e anche in innesti naturali a base di latte o siero, utilizzati per la lavorazione di molti formaggi italiani prodotti con latte crudo o pastorizzato, può essere dovuto alla resistenza termica di questo tipo di microrganismi, in grado di resistere ai processi di pastorizzazione del latte crudo di buona qualità e alla successiva incubazione a 42-44°C per 12-15 ore, condizioni che favoriscono la selezione di batteri lattici termofili e termoresistenti, solitamente Streptococcus thermophilus ed Enterococcus spp.
La predominanza del gruppo microbico degli enterococchi nel corso del processo di stagionatura dei formaggi è legato alla loro capacità di crescere in un ampio intervallo di temperature e la loro tolleranza ai trattamenti termici, all'elevate concentrazioni saline e all'elevata acidità.



Un potenziale problema legato alla presenza di enterococchi negli alimenti fermentati quali insaccati, formaggi, vino, birra, olive e prodotti a base di pesce è correlato alla produzione di ammine biogene, metaboliti che derivano dalla decarbossilazione degli amminoacidi; quando queste ammine sono presenti in concentrazioni elevate, come conseguenza di contaminazioni massicce, possono verificarsi dei casi di intossicazione alimentare, i cui sintomi possono essere anche molto intensi: emicrania, vomito, aumento della pressione sanguigna e fenomeni allergici. I microrganismi coinvolti nella produzione di ammine biogene negli alimenti possono appartenere alla microflora starter come anche a quella contaminante. I formaggi, in particolare, possono costituire un ottimo substrato per la produzione e l'accumulo di ammine biogene, in particolare la tiramina, da parte di ceppi di enterococchi in grado di decarbossilare la tirosina.

Enterococchi come produttori di batteriocine
Molti ceppi di enterococchi, tra cui E. faecium ed E. faecalis, producono batteriocine, peptidi attivi contro bersagli di membrana, in grado di inattivare microrganismi simili alla specie che produce la batteriocina, in genere altri enterococchi e Listeria monocytogenes, un'altro microrganismo molto affine ad un enterococco da un punto di vista filogenetico. Alcune enterocine sono attive nei confronti di alcuni batteri lattici e di ceppi di Clostridium, fra cui C. botulinum, C. perfringens e C. tyrobutyricum.
Enterococchi produttori di batteriocine sono stati isolati da un gran numero di substrati alimentari, tra cui carni fermentate, prodotti lattiero-caseari e vegetali; questi ceppi sono stati utilizzati come agenti anti-Listeria nell'industria casearia, in particolare in alcuni tipi di formaggi molli (Camembert e Taleggio), dove il pH nella zona esterna aumenta a livelli che possono essere compatibili con la crescita di L. monocytogenes. L'attività batteriocinogenica degli enterococchi è stata testata con successo anche nei confronti di Clostridium tirobutyricum, che causa gonfiori nei formaggi a lunga stagionatura. L'utilizzo di colture starter di ceppi di enterococchi produttori di batteriocine al fine di incrementare la sicurezza sanitaria dei formaggi o di prolungarne la conservabilità non è ancora praticato su scala industriale, ma tentativi finalizzati a questo scopo sono auspicabili per il futuro.

Enterococchi come probiotici
I probiotici sono colture singole o miste di microrganismi che, se ingeriti, sono in grado di produrre benefici nel consumatore migliorando le proprietà della flora autoctona dell'ospite. Tra gli effetti funzionali dei probiotici si possono includere l'inibizione dei microrganismi patogeni, il rafforzamento della barriera mucosa dell'apparato gastro-intestinale, l'effetto antimutagenico e anticarcinogenico, la stimolazione del sistema immunitario e la riduzione dei livelli di colesterolo nel sangue. La maggior parte delle colture probiotiche sono di origine intestinale e contengono bifìdobatteri e lattobacilli; tuttavia, anche microrganismi appartenenti al gruppo degli enterococchi sono stati a volte utilizzati come probiotici. Una coltura di E. faecium è stata utilizzata con successo nel trattamento di disordini intestinali come alternativa all'utilizzo di antibiotici; un altro tipo di coltura, contenente Streptococcus thermophilus ed E. faecium, è stata in grado di ridurre, nel breve termine, il livello di colesterolo nel sangue. L'utilizzo di ceppi di enterococchi come probiotici è, tuttavia, ancora in discussione: sebbene gli effetti benefici di alcuni ceppi siano ormai assodati, l'emergenza relativa ai ceppi antibiotico-resistenti ed all'incremento dell'associazione di ceppi di enterococchi, con l'insorgenza di talune malattie nell'uomo, hanno fatto sorgere in alcuni studiosi numerosi dubbi sull'opportunità di utilizzare questi ceppi come probiotici. Il timore che a livello del tratto gastrointestinale possano venire trasferiti, ai ceppi di probiotici, geni che codificano per la resistenza agli antibiotici o per taluni fattori di virulenza contribuisce ad aumentare le perplessità.

Enterococchi come patogeni opportunisti nell'uomo
Gli enterococchi sono da tempo noti come importanti patogeni ospedalieri che causano batteriemie, endocarditi, infezioni del tratto urinario e di altri apparati. Negli Stati Uniti sono responsabili di circa il 12% di tutte le infezioni ospedaliere; tra i microrganismi causa di queste infezioni prevale Enterococcus faecalis (80% dei casi) mentre ceppi di Enterococcus faecium lo sono per la percentuale restante dei casi.
La batteriemia è la forma più comune di infezione da enterococchi, con mortalità generalmente elevata probabilmente a causa delle complicazioni della malattia; i fattori di rischio sono operazioni chirurgiche cui i pazienti vengono sottoposti, traumi multipli o precedenti terapie antibiotiche.
Altre forme di infezione da enterococchi sono costituite da endocarditi batteriche, infezioni del tratto urinario, specialmente in pazienti ospedalizzati, infezioni del sistema nervoso centrale in neonati e persone sottoposte a procedure di tipo neurologico, ascessi ed episodi di sepsi addominali e pelviche. Un importante fattore che contribuisce all'insorgere di superinfezioni enterococciche è l'utilizzo di taluni antibiotici cui gli enterococchi sono resistenti. In effetti, una causa specifica che contribuisce alle caratteristiche di patogenicità degli enterococchi è la loro resistenza ad una grande varietà di antibiotici: questa può essere innata, e in questo caso è legata alla presenza di geni specifici sul cromosoma o su plasmidi, oppure acquisita. Tra gli esempi di resistenza innata si possono ricordare la resistenza alle cefalosporine e ai beta-lattamici, mentre tra le resistenze acquisite quella al cloramfenicolo, all'eritromicina ed alla vancomicina.
La resistenza alla vancomicina è di grande interesse in quanto questo antibiotico era, fino a qualche tempo fa, considerata l'ultima risorsa per il trattamento delle infezioni da enterococchi a resistenza multipla, non trattabili con le comuni terapie antibiotiche.
L'elevata resistenza agli antibiotici e la loro ampia diffusione nelle materie prime alimentari di origine animale e vegetale sono i due elementi chiave che contribuiscono al frequente ritrovamento di enterococchi antibiotico-resistenti sia negli alimenti fermentati che non fermentati; ceppi di questo tipo sono di fatto stati isolati da prodotti a base di carne, prodotti lattiero-caseari, prodotti pronti per il consumo e persino in colture proposte come probiotici. Nel corso di un'indagine effettuata nel 1999, da formaggi europei sono stati isolati numerosi ceppi di E. faecalis ed E. faecium resistenti a molti antibiotici di uso comune nella terapia clinica; lo stesso quadro emerge per quanto riguarda i prodotti carnei, dove oltre il 70% dei ceppi isolati da pollame erano resistenti a tetraciclina, eritromicina e vancomicina. Questi dati, piuttosto preoccupanti, pongono la questione relativa al possibile trasferimento nella catena alimentare di geni che codificano per la resistenza agli antibiotici: esiste di fatto una forte evidenza epidemiologica dell'esistenza di un legame stretto tra l'uso massiccio di antibiotici in medicina umana ed animale e l'emergenza relativa alla diffusione e persistenza di ceppi resistenti negli alimenti di origine animale che potrebbero poi diffondersi nell'uomo. L'emergenza relativa agli enterococchi antibiotico-resistenti pone di fatto due importanti problematiche: il ruolo giocato da questi batteri nella diffusione ambientale di geni legati alla resistenza agli antibiotici e il rischio per la salute umana correlato all'utilizzo massiccio di tali sostanze in agricoltura.

Bibliografia
Bourgeois C.M., Mescle J.F., Zucca J., 1990 -
 Microbiologia alimentare. Aspetti microbiologici della sicurezza e della qualità. Tecniche nuove/Milano.
Jay J.M., 1996 - Modem food microbiology. Chapman & Hall, New York.

Tiecco G.,1997 - Igiene e tecnologia alimentare. Edagricole, Bologna.

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